Il Fatto 7.7.17
Franceschini-Catilina: via Renzi se salta la Sicilia
Il ministro e Orlando in Direzione contro il segretario. E preparano la congiura
di Wanda Marra
“La
solitudine”. Citava Laura Pausini ieri pomeriggio un membro della
direzione del Pd per sintetizzare lo stato del segretario nella prima
direzione dell’era Renzi senza streaming. Una scelta motivata dal fatto
che l’ex premier non ha più voglia di esibire davanti al Paese né le
liti interne (che pure ieri non sono mancate), né le discussioni sulle
alleanze (che “interessano a 3 o 300 persone”, come ha detto pure ieri).
Di certo, non era neanche il caso di mostrare sia l’assenza di una
strategia definita, sia il suo essere isolato nel partito. Tanto più con
le voci che si rincorrono sempre più insistenti. Da settimane. I big
del Pd, in primis Dario Franceschini e Andrea Orlando, starebbero
preparando il cosiddetto “biscotto” all’ex premier, nel caso perda le
elezioni in Sicilia, il 5 novembre.
Sconfitta talmente annunciata e
senza una candidatura definita, dopo il rifiuto del presidente del
Senato, Grasso, che era uno dei motivi per cui Renzi avrebbe voluto le
politiche prima. E Se perde la Sicilia, il piano è costringere Renzi a
dimettersi. Ci sarebbe già pronto persino il reggente: lo stesso
Franceschini. I numeri ci sono? Sulla carta no, visto che il segretario
ha portato in Assemblea abbastanza fedelissimi, da avere la maggioranza
da solo. Ma quando un leader si indebolisce, le discese dal carro sono
veloci e di massa. Ci sarebbe anche un manipolo di renziani
insospettabili, pronti a mollarlo. È da quando sono state indette le
primarie che pure gli alleati raccontavano: “Perde le Amministrative,
poi perde le Politiche, ed è finito”. Le Politiche sono in là, le
Amministrative le ha perse, la prossima tappa è la Sicilia. E poi?
Chissà. “Intanto ci stringiamo a Gentiloni”, altro commento classico. Il
quale, tra l’altro, ieri era presente. Renzi intervenendo rimane sulle
sue posizioni: “In due milioni hanno votato alle primarie. Sia chiaro,
io rispondo a loro, non ai capicorrente”. Ancora: “Sono interessato a
portare il Pd in alto. Non mi interessa cosa farete voi nella prossima
legislatura”.
Alla luce del clima, sembra quasi l’ennesima sfida a
disarcionarlo. Sulle alleanze: “Parliamo di contenuti, invece”. E
infatti ha ribadito l’intenzione di approvare lo ius soli. Fermi sulle
loro posizioni anche gli altri. Molto duro Franceschini, che dalla
settimana scorsa è passato ufficialmente all’attacco frontale: “Io sono
tra i 350 residuati bellici che pensano che ci sia anche il tema delle
alleanze. Il Pd da solo non vince, servono le alleanze”. E Orlando:
“Dobbiamo aiutare Pisapia e tutte le forze che nel centrosinistra non
hanno impostato la linea sull’antirenzismo”.
Il segretario nella
replica tira diritto: “Capisco che Orlando voglia aiutare Pisapia ma io
voglio aiutare il Pd. Una coalizione spuria è un regalo al
centrodestra”. In disaccordo pure con Franceschini: “Non mi pare che sia
una sede di partito”, ironizza, accusandolo di aver scelto
un’intervista per la discussione a un quotidiano che – peraltro – sta
tirando la volata a Pisapia. Alla fine, si vota la relazione. Il
ministro della Cultura dice sì. Magari per l’ultima volta. Le minoranze
di Orlando e Emiliano (che però è assente) non partecipano. “La
relazione e le conclusioni non sono soddisfacenti”, rincara l’orlandiano
Martella. Il segretario è pronto a girare l’Italia in treno per 10
mesi. Si va “Avanti”, dal titolo del suo libro in uscita. Verso un Pd
senza Renzi. O forse verso una versione del Pd dove resta solo Renzi? La
(sua) citazione di Guccini sembra quasi un invito a prendere la porta a
nemici e oppositori: “Ognuno vada dove vuole andare, ognuno invecchi
come gli pare”