Il Fatto 15.7.17
Tutti gli omissis del libro di Matteo
“Avanti” - Fonzie non chiedeva mai scusa, Renzie non nomina il caso che coinvolge il padre e gli amici
di Marco Lillo
La
versione di Renzi non prevede la parola Consip. Come Fonzie, l’eroe
degli Happy Days di Matteo, non riusciva a dire scusa, così il leader
del Pd non ce la fa a citare nel suo libro la società che tanti problemi
ha creato non solo a lui ma agli italiani. Bisogna capirlo. Se Renzi
nel libro avesse citato Consip poi avrebbe dovuto inserire anche la
parola odiata dal suo idolo di infanzia. Come fai a scrivere Consip
senza chiedere scusa per aver favorito la nomina di un amico di papà
Tiziano al vertice? Come fai a non vergognarti di una società capace di
una performance così imbarazzante sulla gara più grande d’Europa?
Meglio
non citare Consip che dover spiegare perché in tre anni e mezzo di
corso renziano la centrale acquisti non sia riuscita ad assegnare la
gara più importante di cui si è mai occupata, la FM4 per la manutenzione
e la pulizia di tutti gli uffici pubblici italiani.
Secondo la
testimonianza di Luigi Marroni quella gara interessava tanto al compare
del Babbo e Tiziano Renzi lo raccomandò a lui. Il compare si chiama
Carlo Russo e il suo nome ovviamente nel libro non c’è.
La
sindrome Renzie è in realtà più grave della sindrome Fonzie. Il mitico
bullo americano in fondo non riusciva a pronunciare solo la parola
“scusa”, il suo emulo toscano ha difficoltà con più nomi.
Renzi non ha mai scritto il nome Consip, ma in 240 pagine roboanti di storytelling
mancano
anche i nomi di altri due protagonisti dello scandalo che tiene banco
da mesi: Luigi Marroni e Filippo Vannoni, i manager renziani che con le
loro dichiarazioni hanno inguaiato Luca Lotti e il padre Tiziano sono
fantasmi.
Il libro Avanti
pubblicato da Feltrinelli riesce
nel miracolo di non citare né l’ex amministratore delegato di Consip né
il presidente della Publiacqua fiorentina.
Renzi salta a pié pari
le loro deposizioni, al centro dell’indagine per rivelazione di segreto e
favoreggiamento per la quale è stato ieri interrogato Luca Lotti.
Peccato davvero. Così Matteo perde la grande occasione di spiegare agli
italiani perché il manager Marroni, nominato da lui e amico del babbo,
avrebbe dovuto accusare falsamente il padre di avergli raccomandato un
“facilitatore”, compare di Tiziano, cioè il solito Carlo Russo.
Peccato
davvero. Perché così Matteo Renzi perde l’occasione di rispondere a
quelle domande che i distratti intervistatori tv incontrati finora mai
gli hanno posto.
Per esempio Renzi non spiega il comportamento
tenuto da lui e dal padre nei confronti di Carlo Russo. Non ci dice
perché, dopo avere scoperto (secondo le ipotesi dei carabineri del Noe
ma anche dei pm romani), che Russo spendeva il nome di babbo Tiziano con
l’imprenditore Alfredo Romeo in diversi incontri per ottenere la
promessa di soldi da Romeo stesso anche per il babbo, non lo hanno preso
pubblicamente a male parole.
Perché il babbo ha citato in giudizio noi del Fatto
,
che abbiamo pubblicato le notizie, e non Russo? Né spiega perché il
massimo che sia uscito dalla bocca dell’avvocato di Tiziano Renzi,
Federico Bagattini, contro Russo sia la sanguinosa frase: “Tiziano è
stato vittima di un abuso di cognome”, un’espressione ben più dolce di
quelle riservate da babbo Renzi ai cronisti. Le omissioni su Consip, su
Marroni, su Vannoni e su Russo lasciano il lettore a bocca asciutta ma
permettono al leader Pd di non dover spiegare altre cose imbarazzanti.
Per esempio perché Marroni, da testimone obbligato a dire la verità, ha
confermato le accuse a Lotti mentre Vannoni – da indagato che può
mentire – ha cambiato versione, confermando quella di Lotti? Né Renzi
spiega nel libro se ci sia una relazione tra la diversa scelta dei due e
il loro destino.
Renzi avrebbe potuto spiegare se Vannoni sarebbe
rimasto al suo posto anche se avesse confermato la sua versione. E se
davvero Marroni sia stato sfiduciato perché ha confermato la sua
testimonianza accusatoria. Sarà per il prossimo libro.