Corriere 15.7.17
Mario Monti
«Renzi è un disco rotto, ripete accuse a impatto zero Insensato il deficit al 2,9%»
di Federico Fubini
L’ex premier: senza il Fiscal compact lo spread sarebbe risalito
Io ho lasciato una finanza riequilibrata a chi è venuto dopo
Mario
Monti non è tipo da tirarsi indietro in una polemica, ma stavolta ne
avrebbe quasi voglia. «Dibattere con il presidente Matteo Renzi è,
purtroppo, impossibile — dice il senatore a vita —. Le argomentazioni
degli altri non gli interessano. Come un disco rotto, ormai ripete senza
fine i suoi slogan e le sue accuse. Il rumore e la rissosità crescono
esponenzialmente. L’impatto, in Italia e all’estero, tende
asintoticamente a zero. Pari a zero è anche il suo rispetto per gli
interlocutori e per la realtà».
Però Renzi la accusa di aver
approvato il Fiscal compact, lasciando ai governi successivi l’onere di
applicarlo. Vorrà pur rispondergli.
«Il Fiscal compact ha un
padre, Mario Draghi, che lanciò l’idea nel dicembre 2011 appena
diventato presidente della Bce, e una madre, Angela Merkel, che la
spinse politicamente. Draghi doveva accreditarsi presso quel mondo
tedesco che era preoccupato per l’arrivo al vertice della Bce di un
italiano, sia pure con ottima reputazione. Draghi decise anche di
cessare gli acquisti di titoli di Stato italiani da parte della Bce, che
avevano dato ossigeno al governo Berlusconi nell’estate e autunno 2011,
senza peraltro riuscire a frenare l’impennata dello spread a causa
della sfiducia dei mercati verso un governo che non era in grado di
prendere i provvedimenti necessari».
Dunque lei non lo sostenne?
«Quando
a metà novembre fui chiamato a fronteggiare l’emergenza finanziaria,
l’esigenza di Draghi di presentarsi come “falco”, che pure comprendevo,
rendeva il compito del mio governo ancora più difficile: fine del
sostegno ai titoli italiani e corsetto ancora più stretto sui conti
dello Stato. Nacque allora la strategia del governo. Avremmo dovuto
farcela senza l’aiuto della Bce, senza ricorrere a prestiti Ue o Fmi che
avrebbero messo per anni le decisioni del governo e del parlamento in
mano alla troika , ma con le sole nostre forze. Questo voleva dire: in
Italia, risanamento dei conti pubblici e riforme strutturali, per
riacquisire credibilità; in Europa, uso delle nostre credenziali europee
e della ritrovata credibilità dell’Italia, per spingere la Germania e
gli altri a rendere la governance dell’eurozona, più forte di fronte
alla crisi finanziaria. Contribuire in modo decisivo a migliorare
l’Europa da una posizione iniziale di estrema debolezza, è stato motivo
di soddisfazione».
Dunque lei vede la stretta di bilancio di allora come inevitabile?
«Quei
miglioramenti hanno portato vantaggi, in particolare all’Italia. Draghi
difficilmente avrebbe potuto, di colpo, motu proprio , annunciare nel
luglio 2012 una politica monetaria espansiva e poi metterla in opera, se
non si fosse creato un contesto per lui rassicurante, tale da escludere
che la Merkel prendesse posizione contro il suo annuncio. Quel contesto
si realizzò a fine giugno 2012 quando al Vertice dell’eurozona, a
seguito del pressing italiano sulla Germania, anche la Merkel si
rassegnò a dare il suo assenso allo scudo anti-spread».
Renzi dice che ha lasciato un deficit più basso di lei...
«Sulla
gara a chi è stato più rigoroso, i dati annui grezzi di deficit, come
il 2,3% del Pil esibito da Renzi, hanno poco significato. Molto è dovuto
alla spesa per interessi, che Renzi si è trovata fortemente ridotta per
effetto del risanamento fatto dai suoi predecessori e della politica
della Bce».
Altra accusa del leader del Pd: lei non ha «saputo trattare in Europa», sulle banche oltre che sul Fiscal compact.
«Il
Fiscal compact l’ho firmato, certo. Se in quel momento l’Italia, il
Paese più a rischio dell’eurozona, non l’avesse sottoscritto, lo spread
sarebbe subito tornato ben oltre i livelli ai quali l’avevo trovato. Ma
l’ho firmato in base a due considerazioni: quegli stessi vincoli su
disavanzo e debito pubblico erano già stati introdotti in forma cogente
nelle regole europee, durante il governo precedente al mio; e prima di
firmarlo eravamo riusciti a far modificare, in senso meno penalizzante
per i Paesi ad alto debito, la procedura per sanzionare gli eventuali
eccessi.
E sulle banche?
«Forse Renzi ignora che il
trattamento più severo della storia sulle banche tedesche fu operato
quindici anni fa, quando ero commissario europeo per la Concorrenza; che
il passaggio dal bail-out al bail-in , che a me peraltro sembra
ragionevole perché credo che il denaro dei contribuenti debba essere
rispettato, è stato deciso a livello europeo con il consenso dell’Italia
non durante il mio governo, ma durante i due governi seguenti; che se
vuol sentirsi spiegare ancora una volta perché, nel momento difficile in
cui mi è stato chiesto di governare, mi sono ben guardato
dall’immaginare di mettere a carico dello Stato, esso stesso quasi in
default, oneri per salvare le banche da eventuali problemi che dovessero
avere a seguito dell’incompetenza o delle malefatte di politici legati a
banchieri o di banchieri legati a politici, può sempre leggere una mia
lettera pubblicata dal Corriere il 2 agosto 2016. Ma dove Renzi brilla
per viltà è quando mi accusa di avere lasciato oneri a carico dei futuri
governi».
Che intende dire?
«Ho accettato di governare in
un momento in cui nessuno voleva prendersi quel rischio e non ho, come
lui, preteso di governare quando un collega lo stava facendo
decorosamente. Il mio governo, con il conforto del presidente Napolitano
e l’appoggio del Parlamento, ha lasciato a chi è venuto dopo una
finanza pubblica riequilibrata, un Paese uscito dalla procedura di
disavanzo eccessivo, integro nella sua sovranità senza cessioni di
poteri alla troik a , uno spread ridottosi ad un terzo di quello
trovato, un processo di riforme avviato, una governance europea
migliore, con una Bce più libera di esprimere la propria indipendenza e
una disciplina di bilancio che per la prima volta ammetteva una certa
flessibilità, limitatamente alla spesa pubblica per investimenti. Sarà
stato forse per questi motivi che un Matteo Renzi già rottamatore, ma
non ancora accecato prima dal successo e poi dall’insuccesso, scriveva
nel programma delle Primarie 2012 : “A livello europeo, l’autorevolezza
di Mario Monti ha facilitato l’assunzione di decisioni importanti, che
vanno nella giusta direzione”».
Che pensa della proposta di un deficit al 2,9% del Pil per cinque anni?
«Confido
che non venga fatta propria dal governo. Appartiene al genere delle
improvvisazioni in cui l’annuncio precede la riflessione, come del resto
fu la strategia fiscale del governo Renzi, annunciata ad un’assemblea
Pd a Milano senza che neanche il ministro dell’Economia — scommetto, e
spero per lui — ne sapesse nulla. Anziché “tornare a Maastricht”,
bisogna far evolvere il patto di Stabilità introducendo uno spazio
legittimo per veri investimenti pubblici. Una volta fatto questo, si può
puntare verso il pareggio (al netto del disavanzo per investimenti),
corretto per tenere conto del ciclo economico. Creare uno spazio
indiscriminato del 2,9%, dichiaratamente per ridurre le tasse in
disavanzo, mi sembra una recidiva senza senso».
E che dice
dell’idea, che avanza nel Pd e nel governo, di mettere un veto
all’inserimento del Fiscal compact nel diritto dell’Unione Europea?
«Si
è riusciti a rendere anche questa una questione di bandiera, per
misurare chi ce l’ha più duro. Intendo, naturalmente, il senso
dell’orgoglio nazionale».