Corriere 15.7.17
Gioco di specchi tra il pd e la nebulosa di sinistra
di Massimo Franco
Il
«no» di Giuliano Pisapia alla propria candidatura in Parlamento è
soprattutto il rifiuto di assecondare lo schema che alcuni suoi compagni
di strada vorrebbero imporgli. E insieme è la conferma della difficoltà
di rompere l’involucro delle forze politiche che tendono a abbracciarlo
e a usarlo. In miniatura e con contorni per il momento più nebulosi,
quanto sta avvenendo somiglia un po’ all’operazione che negli Anni
Novanta del secolo scorso fece Romano Prodi con l’allora Pds per
costruire l’Ulivo. Lo scioglimento dell’ Mdp uscito dal Pd renziano per
costruire qualcosa di totalmente nuovo, per ora non sembra né scontata
né indolore.
Lo si era capito nella manifestazione d’esordio del
1° luglio scorso a Roma, con le bandiere spuntate in piazza nonostante
l’intenzione di rinunciare ai vessilli delle singole formazioni. E con
la presenza sul palco di Pier Luigi Bersani, leader al quale Pisapia
sente di essere riconoscente: nonostante Prodi avesse consigliato
un’apparizione solitaria per marcare una totale novità. Lo scarto
dell’ex sindaco di Milano sulla propria candidatura è un messaggio,
seppure in ritardo, a Massimo D’Alema e a quanti, nella sinistra
radicale, tendono a conferire al suo progetto una piega di sinistra e
antirenziana.
È un’impostazione che Pisapia non condivide: anche
perché sembra convinto che l’unico modo per attrarre altre componenti
del Pd e soprattutto elettori di centrosinistra, sia di insistere
sull’unità e non sullo scontro. Va segnalato il fatto che ieri il
portavoce del Pd, Matteo Richetti abbia insistito sull’esigenza di
«lavorare per combattere lo spettro della scissione». È l’ammissione che
qualcosa non sta funzionando; e del timore che la politica dell’«io
contro tutti» di Renzi finisca per favorire i suoi avversari, interni e
esterni.
E soprattutto che aumentino i rischi di una seconda
rottura in pochi mesi: sebbene Richetti parli della scissione come di
una «remota possibilità». Ma a suo avviso «le scissioni fanno comunque
male, perché dimostrano che non si riesce a stare insieme». Letto in
modo speculare a quanto avviene tra i dem, il passo indietro di Pisapia
appare dunque una sfida ai propri alleati che non vogliono abbandonare
l’ossessione della rivincita su Renzi. È un invito implicito a lasciare
in secondo piano ambizioni personali e a a mettersi tutti in gioco.
Anche
perché prima è necessario trovare un equilibrio tra le varie componenti
basato su criteri nuovi. Non si tratta di una strategia facile. Il
problema è che Pisapia e chi gli è più vicino la considerano
irrinunciabile. Dunque, il «no» è una sorta di bussola per tutti. Non
nel senso che non ci si debba candidare, ma che quel problema viene dopo
la definizione della politica e degli equilibri all’interno del suo
movimento. Su questo sfondo, il «ripensamento» di Pisapia invocato dallo
stesso D’Alema è altamente probabile: sempre che si accetti un metodo
nuovo.