Il Fatto 14.7.17
La stalla fascista, i buoi sono già usciti
di Antonio Padellaro
Nella
vicenda di Punta Canna l’attenzione mediatica si è comprensibilmente
concentrata sugli aspetti offensivi e grotteschi (l’apologia del
fascismo del duce balneare Gianni Scarpa) tralasciando il messaggio
politico più insidioso condensato nel cartello pedagogico che recita:
“In un paese devastato da ladri istituzionali e maleducati qui ci sono
le regole che mancano, ordine, pulizia , disciplina, severità”. Nel
mondo a parte che l’Italia democratica e antifascista si rifiuta di
frequentare quelle parole sono senso comune e suscitano approvazione.
Parliamo delle fiaccolate che divampano da Nord-est a Nord-ovest
ogniqualvolta si annunci l’arrivo di extracomunitari richiedenti asilo o
irregolari. E non importa se molti o pochi ma per questioni diciamo
così di principio (immigrati fora dai ball). Parliamo del cosiddetto
popolo della popolare Zanzara, su Radio24, che ogni pomeriggio scatena
gli istinti peggiori contro extracomunitari, rom, ebrei, comunisti gay e
assimilati, straordinaria materia di studio per comprendere “il
presente che nutre il fascismo” (Nadia Urbinati su la Repubblica).
Parliamo della realtà che formicola sotto la superficie della Repubblica
nata dalla Costituzione, un’Italia che per mille motivi si sente
calpestata e che ricicla simboli del passato anche i più abietti con la
stessa voluttà di chi spacca a sassate le vetrine per lasciare comunque
un segno. Un’Italia sporca, brutta e cattiva che a lungo andare potrebbe
riservarci qualche non gradita sorpresa, come è accaduto all’America
che ha portato in braccio Donald Trump alla Casa Bianca.
Da questa
sommaria lista abbiamo volutamente escluso le forze cosiddette
“populiste” come la Lega di Matteo Salvini e i 5Stelle per la semplice
ragione che pur coltivando con diversa intensità xenofobia e cultura
antimoderna rappresentano, ancora, dentro le istituzioni, un argine e
insieme un filtro alle pulsioni più allarmanti della crescente rabbia
collettiva. Ecco perché certamente animato dalle migliori intenzioni il
ddl Fiano che inasprisce le sanzioni contro i comportamenti apologetici
del fascismo appare come una medicina tardiva e inefficace. Come sempre
accade quando si tenta di colpire gli effetti e non le cause della
malattia.
Il fascismo del presente, del resto, vive e lotta a
pieno titolo nelle istituzioni democratiche. Quelli del movimento di
Casa Pound, per esempio, autoproclamatisi “fascisti del terzo
millennio”, nella tornata amministrativa di qualche giorno fa hanno
colto un lusinghiero successo a Lucca (quasi l’8%) e per un soffio non
ha determinato l’elezione a sindaco del candidato del centrodestra.
Bissando così il 6% dell’anno scorso a Bolzano (da uno a tre
consiglieri) dove addirittura hanno sperimentato prove di dialogo col
Pd. Per non parlare di Monza dove l’altro ieri è stato nominato un
assessore del movimento neonazista LibertàAzione.
Perciò vorremmo
chiedere pacatamente a Fiano come sia possibile oggi impedire ai corpi
militarizzati di Casa Pound di esibire labari e braccia teso nelle
sfilate per le strade di Roma o di Milano quando proprio predicando
ordine, pulizia, disciplina, severità, ovvero i medesimi “valori” del
camerata con la bandana di Chioggia stanno in modo del tutto legittimo
raccogliendo vasti consensi tra gli elettori? Ha un senso chiudere la
stalla quando i buoi sono scappati da quel dì, e ci riferiamo ai tanti
giovanotti e giovanotte che in quei lugubri raduni inneggiano al duce
senza averne la minima cognizione storica, mossi esclusivamente
dall’impulso di sputare sulla democrazia come se fosse un app da
cancellare sull’iphone. Intollerabile certo, ma esattamente come risulta
insopportabile la solita frase fatta che accompagna i rituali dibattiti
“sul ruolo della scuola che dovrebbe educare i giovani al rispetto
della memoria”.
Al che per reazione uno davvero diventa fascista
anche se non vuole. È chiaro a tutti che il fascismo contemporaneo si
nutre anche dei problemi lasciati per troppo tempo a marcire dalla
democrazia, che esso cresce e prospera sullo sputtanamento progressivo
della politica, sulla distruzione del lavoro, sulle guerre infinite tra i
poveri italiani e gli immigrati ancora più disperati, sulla solitudine
esistenziale che alligna sulle “macerie dell’etica comunitaria”
(Urbinati).
Ma soprattutto la voglia di un “uomo forte” è come un
pugno sul tavolo davanti all’ossessiva coazione a ripetere che ogni sera
ci giunge dagli schermi televisivi. Finché capita che Vittorio Feltri
interpellato per la milionesima volta sulla questione che mai sarà
risolta dell’immigrazione prorompa in un liberatorio : “Basta non ne
posso più” e se ne vada a cena. Che fu in fondo lo stesso grido esausto
con cui la democrazia liberale esalò l’ultimo respiro prima dell’avvento
del bagnino Benito.