Corriere 14.7.17
L’italia che scappa di mano
di Ernesto Galli della Loggia
L’
Italia è di chi se la vuol prendere, da noi chiunque può fare quello
che vuole. E quasi sempre lo fa. Oggi, nei giorni di una torrida estate
che sembra conferire a ogni cosa i colori e i calori di un non troppo
metaforico inferno, questa è l’immagine che il nostro Paese da di sé.
Quella di un Paese in cui il governo e con lui tutti i pubblici poteri
appaiono sul punto di perdere il controllo del territorio. Sono parole
pesanti, lo so, e non prive anche di precisi echi ideologici, ma a un
certo punto bisogna convincersi che la realtà non è né di destra né di
sinistra. È la realtà e basta.
Una brutta realtà. Dalla Sicilia
alla Calabria, alla Basilicata, a Napoli, decine di incendiari spinti da
interessi criminali mettono tranquillamente a fuoco vastissime zone
della Penisola. Da giorni, sotto la minaccia delle fiamme, città, paesi,
centri turistici devono essere sgombrati precipitosamente senza che per
ora si sappia di uno solo di questi delinquenti scoperto, arrestato e
incriminato. Nelle periferie delle grandi città, in questa stagione
ancora più soffocanti e orribili, dove i servizi sono perlopiù al
collasso, può capitare benissimo — come capita a Roma — che dopo il
tramonto sia virtualmente in vigore il coprifuoco, che viaggiare su un
autobus la sera rappresenti un pericolo, che il cielo si copra per
giorni e giorni dei fumi tossici dei materiali più inquinanti bruciati
illegalmente; o — come capita a Milano — che interi caseggiati, interi
gruppi di palazzi, e piazze e vie, siano di fatto nelle mani di bande di
malavitosi abituati a farla da padroni.
Dappertutto nelle
periferie dei grandi centri urbani della Penisola regnano praticamente
indisturbati lo spaccio, la prepotenza, le risse continue specialmente
fra immigrati. In questa stagione più che mai le classi meno favorite
della popolazione sentono la loro esistenza quotidiana abbandonata dai
poteri pubblici in una vera e propria terra di nessuno.
Le zone
centrali e/o cosiddette residenziali non se la passano meglio. Sindaci
pusillanimi e preoccupati solo dei loro interessi elettorali (percepiti
peraltro con la miopia tipica di una classe di nani politici quali sono
in larghissima maggioranza quelli di questi anni infausti) hanno
lasciato dovunque dilagare le movide notturne: in pratica la licenza di
fare ciò che vogliono rilasciata a coorti di giovani perlopiù desiderosi
di ubriacarsi e di schiamazzare all’aperto, ma essendo sempre pronti
alla rissa, al vandalismo, al gesto teppistico. Di fatto molte zone
centrali (ma non solo) di un gran numero di città italiane stanno
diventando di notte letteralmente invivibili.
Ma sempre più spesso
lo sono anche di giorno. Numerose strade del centro di Roma sono
ridotte ad esempio a una sorta di suk con decine e decine di luride
lenzuola stese per terra a mostrare impunemente le più varie merci
contraffatte, mentre schiere di altri abusivi non si stancano di
circondare dappresso i turisti con la loro mercanzia. Sempre a Roma può
capitare che per tutta l’estate un club privato organizzi per i festini
dei suoi soci illustri spettacoli di fuochi artificiali e di botti
assordanti che si prolungano anche dopo la mezzanotte: il tutto a poche
centinaia di metri dal Comando generale dell’Arma dei Carabinieri. A
Torino, sui lungo Po e dintorni nulla e nessuno sembra in grado di
fermare il commercio clandestino di alcool ad opera specialmente di
rivenditori bengalesi, all’occasione protetti contro le forze
dell’ordine dalla complicità omertosa della collettività dei loro
clienti. A Milano, dopo una certa ora il centralissimo corso Como si
tramuta da luogo di abituale rifornimento della droga in una specie di
zona di caccia libera dove, come riportano le cronache, è altissima la
probabilità di essere aggrediti da bande di maghrebini a caccia di
orologi e portafogli. Sia a Roma che a Torino che a Milano e in altre
decine di città d’Italia, poi, la prostituzione — spessissimo minorile,
spessissimo collegata alla tratta e a reti criminali africane o est
europee — occupa impunemente di notte le zone urbane che più le
aggradano: un fenomeno che per vastità non trova paragone in
nessun’altra città dell’Europa occidentale.
Dappertutto infine,
per dirne ancora una, specie dopo una certa ora le stazioni ferroviarie
sono luoghi frequentabili solo a proprio rischio e pericolo, così come
dappertutto o quasi le corse serali o notturne sui treni vicinali o
regionali sono altamente sconsigliabili per le donne.
La realtà,
dicevo all’inizio, non è né di destra né di sinistra, è la realtà e
basta. E la realtà odierna dell’Italia è questa: una realtà che sta
scappando di mano. Di fronte alla quale viene da chiedersi se il
ministro degli Interni — cui spetta principalmente l’onere di provvedere
in prima persona nonché istruendo e sollecitando prefetti, questori ma
anche i sindaci e i corpi di polizia urbana — viene da chiedersi,
dicevo, se il ministro Minniti sia informato adeguatamente di questa
grigia realtà capillarmente diffusa. Se egli si rende conto che agli
occhi di un numero crescente di italiani il loro Paese sta diventando un
luogo sempre più difficilmente abitabile, un luogo tale da apparire
addirittura ostile. Se egli si rende conto che anche l’allarme che in
tanti nostri concittadini suscitano le ondate di immigrati è enormemente
accresciuto dalla loro percezione di questa precarietà ambientale che
monta, dalla sensazione di un degrado dei contesti urbani prodotta da
incontrollati fenomeni di illegalità. Se non gli venga il sospetto,
infine, al nostro Ministro, che pure la difficoltà dell’Italia di farsi
ascoltare quando si tratta d’immigrazione, di farsi prendere sul serio
dai suoi partner europei, forse dipenda per l’appunto dalla sua immagine
di un Paese che, si sa, è abituato al disordine, al tirare a campare,
alla prassi di un comando della legge sempre elastico e contrattabile.
Ma
non basta. Di fronte all’Italia così malmessa di oggi è pure
inevitabile chiedersi quale sia stata l’azione della magistratura. Se
essa sia stata effettivamente all’altezza del suo compito di tutela
giuridica della comunità tutte le volte, ad esempio — le non poche
volte, direi — che è parsa indulgere a interpretazioni dei delitti e
delle pene ottimisticamente irreali.
Una magistratura che
prontissima e ferratissima nel criticare l’azione legislativa
dell’esecutivo quando si tratta di quella che essa ritiene la propria
sfera d’interessi e di prerogative, è viceversa timidissima quando si
tratta di proporre, lei, leggi o procedure efficaci per difendere gli
interessi elementari dei cittadini.