Il Fatto 14.7.17
“Migranti prodotti dall’Occidente: salviamoli”
Hanif Kureishi
Lo scrittore anglo-pachistano sull’inazione europea e il caso del piccolo malato di Londra
di Andrea Valdambrini
Nel
suo romanzo più noto, Il Budda delle periferie, ha descritto
l’esplodere del multiculturalismo nei quartieri poveri e caotici della
Londra anni ’90. Britannico di origine pakistana, romanziere,
sceneggiatore (My Beautiful Laundrette è il film di Stephen Frears che
lo ha lanciato nel 1985) e regista, Hanif Kureishi è in questi giorni a
Roma dove ha presentato ieri sera al Festival delle Letterature di
Massenzio, curato da Maria Ida Gaeta, il suo ultimo romanzo, Uno zero
(pubblicato in Italia da Bompiani).
Dai tempi del Budda delle periferie a Londra di oggi, come è cambiato il multiculturalismo?
Sono
nato a Londra a metà anni ’50, cresciuto negli anni ‘60 e ‘70. Durante
la mia giovinezza, l’idea di una società multietnica era appena agli
albori. Ho vissuto fino in fondo in un Paese che usciva faticosamente
dal passato coloniale, in cui i bianchi e i loro valori rappresentavano
la normalità. Finalmente, durante gli anni ’80 le persone hanno
cominciato a pensare che la società era cambiata, e con essa i suoi
riferimenti: grazie ai molti migranti, arrivati a Londra dopo la guerra,
si era ormai un mosaico di differenze. Resta importante capire due
cose: da un lato, come noi figli del multiculturalismo ci percepiamo.
Dall’altro se la Gran Bretagna vuole tornare all’illusione
neo-imperiale, o se invece non ha bisogno, come credo, di tornare a
riflettere sul tema dell’inclusione.
Si riferisce all’impatto di Brexit sulla società?
Durante
la campagna elettorale, abbiamo visto un enorme crescita del
nazionalismo. È rinata l’identità britannica, l’idea della razza,
perfino del sangue e il territorio. Da molto tempo non avevo sentito
parole d’ordine di questo genere. Si è trattato di un’operazione che ha
approfittato della debolezza di persone marginalizzate per gli effetti
del capitalismo e dalla globalizzazione.
Cosa ci insegna la tragedia di Grenfell Tower, il grattacielo londinese nel cui rogo il 14 giugno sono morte 87 persone?
Latimer
Road (la strada del quartiere di Kensington in cui sorgeva il
grattacielo andato a fuoco ndr) è vicinissima a dove abito: ricordo il
fumo, il caos, che vedevo dalla finestra di casa. Questi fatti hanno
toccato direttamente poveri, rifugiati, richiedenti asilo, oltretutto in
uno dei quartieri tradizionalmente più ricchi della città.
Come
giudica Sadiq Khan – sindaco di Londra di origine pakistane, proprio
come lei – che ha avuto un importante ruolo nella gestione
dell’emergenza a Grenfell?
Lui è esattamente il simbolo della
nuova Gran Bretagna, è intelligente, profondo. Speriamo che in futuro
non sarà mai come Boris Johnson, che ha svenduto la città al
capitalismo. Londra è diventata, anche per colpa sua, un posto dove
vivono o super-ricchi o poverissimi, e questo non mi piace.
Dall’altra
parte della Manica, a Calais, centinaia di disperati attendono di
essere accolti nel Regno Unito. Una speranza legittima o, come dicono
altri, una pretesa impossibile da soddisfare?
Chi ha prodotto i
rifugiati? Risponderei il capitalismo che genera disuguaglianze, le
guerre che hanno destabilizzato il Medio Oriente, il cambiamento
climatico. In una parola, l’Occidente. Dobbiamo guardare alle cause
prima di vedere solo il risultato. Ecco perché è nostro dovere morale
accogliere queste persone.
Ha un’opinione sul caso Charlie Gard che lega idealmente il suo Paese all’Italia, in questo momento?
Da
un lato c’è l’autorità dei medici e dell’ospedale che ha in cura il
bambino, dall’altro il diritto dei genitori: esempio di una burocrazia
in cui gli individui non sono più protagonisti. Personalmente, non ho
fiducia nella scienza, quando essa ha la pretesa di dominare la vita
delle persone.