Il Fatto 10.7.17
Statali beffati: 85 euro in più e 80 euro in meno
Prima del referendum Renzi promise l’aumento in busta paga, dopo otto anni di blocco
di Roberto Rotunno
L’aumento
di stipendio previsto dal nuovo contratto costerà a tanti dipendenti
pubblici la perdita del bonus “80 euro”. Non sembrano esserci più dubbi,
almeno stando alla direttiva emanata in questi giorni dalla Funzione
pubblica, il documento che dà il via alle negoziazioni tra governo e
sindacati. Una dimostrazione del fatto che fare una promessa quattro
giorni prima di un referendum, nel quale ci si è giocati la faccia, è
più semplice di mantenerla sette mesi dopo. Ora che la contrattazione è
entrata nel vivo, infatti, il governo si è rimangiato la parola data.
Partiamo
dall’inizio: i contratti dei 3 milioni di statali sono fermi da otto
anni, motivo per cui i sindacati della funzione pubblica si sono
mobilitati per tutto il 2016 chiedendo un rinnovo che contenesse gli
aumenti salariali. La ministra Marianna Madia ha continuamente
rassicurato le sigle ma per arrivare all’incontro decisivo i richiedenti
hanno dovuto aspettare fino al 30 novembre. In pratica, la situazione
si è sbloccata solo durante l’ultima settimana di campagna referendaria
per la riforma costituzionale (comunque bocciata il 4 dicembre dal 60%
dei votanti). Nel documento sottoscritto in quella giornata, esecutivo e
sindacati hanno trovato un’intesa per aumenti medi da 85 euro lordi al
mese, quindi 1.105 euro all’anno considerando le tredici mensilità. Un
altro punto dell’accordo prevedeva sostanzialmente di sterilizzare gli
effetti dell’incremento in busta paga sul diritto a percepire gli 80
euro. Questo bonus – va ricordato – è destinato ai redditi medi e bassi:
a beneficiarne, infatti, sono quei lavoratori che guadagnano minimo 8
mila euro e massimo 26 mila euro all’anno. Dai 24 mila euro in poi, il
premio (che quando è pieno vale 960 euro all’anno) inizia a calare per
scaglioni e passa da 720 a 480 a 240 euro annui, fino ovviamente ad
azzerarsi quando si supera il tetto. Insomma, chi passa (grazie
all’aumento previsto dal nuovo contratto) da 25 mila a 26 mila euro
annui, dovrà dire addio al bonus. In pratica, l’incremento salariale
sarà più che dimezzato. Il governo si era impegnato a evitare questo
automatismo nel pubblico impiego, alle prese con il rinnovo, ma la
direttiva non ha recepito quella parte dell’accordo. Il testo infatti
chiarisce che ci sarà una valutazione sugli effetti che gli aumenti
avranno sul bonus, per proporre correttivi “solo se necessario” e “nei
limiti delle risorse destinate”. Dicitura che sembra lasciare pochi
margini di manovra.
Un paradosso che penalizzerebbe proprio quelle
fasce di reddito che – stando alla narrazione renziana – vanno
protette. Secondo stime del Sole 24 Ore, il nuovo contratto potrebbe
avere la beffa incorporata per 200 mila impiegati.