Il Fatto 10.7.17
Quel gran copione del signor Georg Friedrich Händel
di Fabrizio Basciano
Per
quanto si possa amare la sua musica, è abbastanza difficile avvicinarsi
senza incorrere nelle numerosissime accuse di plagio che nel corso dei
secoli a suo carico si sono avvicendate. Parliamo di Georg Friedrich
Händel, il musicista tedesco naturalizzato inglese che in pieno periodo
barocco divenne di fatto il compositore della famiglia reale britannica,
sviluppando nel tempo una fama oggi indissolubilmente legata ai suoi
celebri oratori, Messiah in testa.
Sebbene la stessa idea di
plagio sia difficilmente attribuibile a tempi nei quali il concetto di
diritto d’autore doveva ancora farsi strada e dunquei prestiti da autori
terzi erano all’ordine del giorno, quello di Händel è certamente un
caso estremo sul quale, non per nulla, si dibatte da molto tempo: “Il
sistema del plagio da lui massicciamente adottato non ha forse
precedenti nella storia della musica. Handel non solo ha scopiazzato
singole melodie, ma frequentemente interi movimenti delle opere di altri
Maestri, alterandole un poco o per nulla e senza una parola di
riconoscenza”, recita una voce dell’Enciclopedia Britannica riportata
nel volume L’indebitamento di Handel verso le opere di altri
compositori: una presentazione di prove scritto da Sedley Taylor per
l’Università di Cambridge.
Come infatti faceva già notare nel
lontano 1831 William Crotch, professore di musica all’Università di
Oxford, “Handel ha citato o copiato opere di Josquin de Prez,
Palestrina, Turini, Carissimi, Calvisius, Urio, Corelli, Alessandro e
Domenico Scarlatti, Sebastiano Bach, Purcell, Locke, Caldara, Colonna,
Clari, Cesti, Kerl, Habermann, Muffat, Kuhnau, Telemann, Graun,
Mondeville, Porta, Pergolesi, Vinci, Astorga, Bononcini, Hasse, eccetera
eccetera”, in una kermesse di nomi spesso molto illustri e tra i quali
non si stenta certo a rilevare il gran numero di autori italiani. A
mancare in questa lunga lista di compositori, dai quali Händel attinse a
piene mani al fine di rimpinguare la sua musica, sono invece i nomi di
Alessandro Stradella, uno dei maggiori compositori del periodo barocco, e
Dionigi Erba, a proposito dei quali, e facendo riferimento a un altro
oratorio handeliano, l’Israel in Egypt, Sedley Taylor scrive nel suo
volume: “Per quanto riguarda il materiale utilizzato, le parti
superstiti attingono con larghezza, quasi unica persino nel catalogo di
Händel, a lavori di altri autori.
Le opere più saccheggiate furono
la serenata Qual prodigio di Stradella, un Magnificat del compositore
milanese Dionigi Erba e un Te Deum di Francesco Antonio Urio (il lavoro
di quest’ultimo era servito già in precedenza ad Händel per il
cosiddetto Dettinger Te Deum e per alcuni brani del Saul)”. C’è anche al
contempo chi giustifica, non senza le dovute analisi del caso, la
pratica dei prestiti che tanto caratterizza l’opera handeliana: “Mentre
la pedagogia barocca fornisce giustificazione teorica all’argomento per
cui Händel era creativo piuttosto che plagiatore – recita Murray in una
tesi dedicata all’argomento –, la prova musicale solidifica la validità
di questo argomento (…) Se fosse stato un plagiatore pigro, Handel
avrebbe sicuramente capitalizzato sugli elementi di maggior successo
della musica a lui disponibili. Invece, ha in gran parte preso in
prestito idee musicali a causa del loro potenziale per essere
sviluppato, rielaborato o messo in un nuovo contesto”.
Ciò
nonostante, l’idea di un Händel fin troppo attento alle altrui idee
musicali si è fatta molta strada, riguardando non solo i suoi maggiori
oratori ma anche il repertorio operistico. Come infatti fa notare il
critico Gregorio Moppi in un articolo apparso su rrepubblica.it qualche
anno addietro: “Plagio plurimo bello e buono è il Catone di Georg
Friedrich Händel proposto dal festival toscano di Barga. Infatti questo
pasticcio cucinato dal musicista tedesco nel 1732 per il pubblico di
Londra è un patchwork di pagine arraffate a colleghi di scuola
napoletana e veneziana. Sulla carcassa del Catone di Metastasio messo in
note da Leonardo Leo vengono impiantate arie di Porpora, Vinci, Hasse,
Vivaldi. Händel si limita ad arrangiarle per i suoi cantanti. Però il
lavoro è così ben condotto che delle ruberie si perdono le tracce”.
Chi
intende giustificare l’enorme mole di prestiti che videro protagonista
la penna di Georg Friedrich Händel fa spesso riferimento ad autori com
Johann Sebastian Bach, anche lui, sommo contrappuntista, notoriamente
dedito alla trascrizione di concerti altrui, specie quelli degli
italiani Marcello e Vivaldi.
I detrattori invece, una lunga lista
di nomi che si perde nei secoli, si affrettano a far notare le dovute
differenze tra le vere e proprie rielaborazioni bachiane e la grossa
mole di pure riproposizione handeliane di interi pezzi di opere altrui:
“Salomon – recita Samuel Wesley in una lettera del 1808 – ha detto
sagacemente e con giustezza che gli inglesi conoscono davvero poco le
opere dei Maestri tedeschi, a eccezione di Handel, che com’egli osserva è
venuto da noi quando c’era scarsezza di buona musica, e qui c’è
rimasto, dice lui, per farsi una reputazione tutta fondata sulle spoglie
del continente. E questo irrita terribilmente gli handeliani, anche se è
la pura verità, perché tutti sappiamo come Handel ha scopiazzato da
qualsiasi autore, rubacchiando qualunque idea valesse la pena
incorporare”.
Convinti sostenitori della tesi anti-handeliana sono
infine Luca Bianchini e Anna Trombetta, il duo di musicologi che ha già
fatto tanto discutere sulla scorta del doppio volume Mozart, la caduta
degli dei: “Il Sassone – Händel, ndr – è stato un abile organizzatore,
arrangiatore e ha profittato lì a Londra della poca conoscenza dei suoi
contemporanei della musica del continente, per far passare composizioni
d’altri come fossero pezzi suoi. Pensiamo ad esempio al Largo di Handel
che non è di Handel, o alla Fuga del Messia che non è del Messia, ma di
Corelli. Un record di plagi il suo. Bononcini, che Handel ha plagiato in
lungo e in largo, ha perso il posto di lavoro per un’accusa falsa di
plagio. Handel invece l’ha fatta franca”.