martedì 4 luglio 2017

Corriere 4.7.17
«Buone idee nei due campi Ma tra Matteo e Insieme un accordo è impossibile»
di Aldo Cazzullo

Il sindaco: sto con il Pd, però Renzi è un po’ indisponente
Migranti non solo da sfamare, la sfida è farli lavorare
Sindaco, lei sta con Renzi o con Pisapia?
«Sto col Pd. Il weekend mi consegna due consapevolezze, una bella una brutta».
La bella?
«Vasco è un mito».
La brutta?
«Non si arriverà a nessuna intesa tra Pd e Insieme prima delle elezioni».
Perché dice questo?
«Lo dico con rammarico, ma vedo qualcosa che si avvicina molto a un’ostilità. Non sarebbe logica; ma il sentimento è questo, e a volte i sentimenti non sono logici. Anch’io ho tentato di richiamare la necessità di un accordo. Si può continuare a provare; ma nella vita tutto ha un tempo. Temo che l’unica soluzione sia che ognuna di queste componenti sfidi non solo l’altra ma tutto l’arco costituzionale, in termini di proposte. Gli elettori decideranno».
Per quale motivo è impossibile un’alleanza vasta di centrosinistra?
«In parte è legato alla personalità di Renzi. Ma onestamente non ho visto segni di convergenza. Ho sentito buone idee, in entrambi i campi. Ripeto: io sto col Pd. Ma nel discorso di Bersani mi è piaciuto ad esempio il passaggio sulla necessità di nuovi investimenti».
Cosa c’è che non va in Renzi?
«Come sempre si torna a lui. Io lo apprezzo, perché non è afflitto dalla tipica voluttà della sconfitta che caratterizza la sinistra italiana. Le primarie gli hanno dato ragione, e le primarie si rispettano. Detto questo, Renzi è un po’ indisponente. Lo sa anche lui. Resta da capire se questo suo modo d’essere fa arrabbiare solo i compagni di viaggio della politica, o anche gli elettori. Lo vedremo presto, alla resa dei conti. Io all’assemblea dei circoli Pd, con la libertà di uno che non ha la tessera, mi sono sentito di fargli presente che le amministrative sono state un campanello d’allarme».
Renzi replica che le politiche sono un’altra cosa.
«Non ci credo molto. Temo che il tipico emiliano o toscano o romagnolo di famiglia ex comunista che ha votato Lega continuerà a farlo. Forse ha ragione Cacciari: Renzi non cerca un’alleanza con Insieme perché ritiene di pescare di più verso il centro. Alla conta dei voti capiremo se è la strategia giusta».
Che impressione le fa il ritorno di Prodi?
«Lo stimo, abbiamo un ottimo rapporto, lo conosco da anni. Credo che durerà molta fatica a fare da collante tra le varie anime. Era giusto provarci. Ma conosco anche il suo caratterino. Non credo avrà ancora voglia di giocare questa parte in commedia».
È inevitabile dopo il voto l’alleanza tra Renzi e Berlusconi?
«Sarebbe obiettivamente una delusione. Bisogna anche vedere con quali rapporti di forza si arriva. È essenziale per il Pd avere un voto in più del secondo partito».
Chi sarà il candidato premier del Pd?
«È un dibattito vano. Non credo che lo diranno. E non vedo Renzi che prima del voto annuncia: il candidato premier non sono io. Sono certo che Renzi covi l’ambizione di essere lui; e se così non fosse, bisogna capire chi rimane in campo. Non è facile fare il presidente del Consiglio avendo una forte personalità come Renzi alla segreteria Pd. Se sei troppo morbido ti considerano debole; ma se sei troppo forte rischi di spaccare. Renzi è tutto fuorché stupido, queste cose le sa meglio di me».
Gentiloni è troppo morbido?
«Stimo Gentiloni. Ha ereditato una situazione difficile. Compatibilmente con quanto poteva fare, ha fatto il meglio. A lui va la mia riconoscenza da italiano. Non penso sia troppo morbido. Ma un conto è fare un anno; non so se riuscirebbe a reggere un mandato lungo, con Renzi che lo incalza il mattino, il pomeriggio e la sera».
Di chi è il merito del modello Milano? Chi è stato il miglior sindaco? Pisapia, la Moratti, Albertini?
«Il più amato è stato Tognoli. Albertini 1 è stato efficace. La Moratti ha avuto la grande intuizione dell’Expo e uno standing internazionale che non aveva nessun sindaco; ma si è ritrovata ostaggio delle pressioni di Lega e Forza Italia, che ne limitavano l’azione e ha vissuto il suo mandato troppo isolata dalla città. Pisapia ha avuto il merito di ridare entusiasmo a componenti della società milanese che si erano sentite escluse».
E lei?
«Io vorrei aver imparato un po’ da tutti. Esprimere una sintesi tra pragmatismo, operatività e zero deroghe ai principi, ai diritti che sono nel dna dei milanesi; anzi, sui diritti vorrei spingermi ancora più in avanti».
Ma lei tra Prodi e Berlusconi chi votava?
«Prodi. Ho sempre votato a sinistra. Il primo voto l’ho dato ai repubblicani, poi ho avuto il mio innamoramento per i radicali. Quindi ho votato per gli antesignani del Pd».
Che impressione le fa invece il ritorno di Berlusconi?
«Per lui il proporzionale è una manna: gli permette di cercare un ruolo non più da trionfatore ma da ago della bilancia. Penso che possa fare al massimo il padre nobile, non lo vedo nel ruolo di leader. Mi pare che loro stiano peggio di noi: qualche slogan un po’ stanco sulle tasse; e la strumentalizzazione dei migranti».
Non crede alla flat tax, l’aliquota uguale per tutti?
«A tutti, anche a me, piacerebbe pagare il 25%: ma gli altri soldi chi li mette? Non mi pare che il Paese sia abbastanza solido, che abbia i muscoli per affrontare una politica fiscale del genere».
L’emergenza migranti però è molto seria. E crea problemi soprattutto in periferia, tra i ceti popolari.
«Io su questo tema ho una posizione un po’ eterodossa: è molto difficile distinguere tra coloro che fuggono dalla guerra e coloro che fuggono dalla povertà assoluta. Vedo che nelle ultime ore forse si è trovato qualche accordo con Francia e Germania; ma sarà il cinquantesimo annuncio. Bravo Minniti che ci prova: una soluzione bisogna trovarla. Alla fine le città la loro parte l’hanno sempre fatta; ma un piano nazionale, al di là della redistribuzione dei migranti alle Regioni, non c’è».
Ripeto: il prezzo dell’immigrazione irregolare lo pagano i ceti popolari, i milanesi delle periferie.
«Mi sento milanese fino al midollo, con i milanesi parlo ogni giorno. Le assicuro che non ce l’hanno con i migranti che vedono arrivare sfranti, distrutti. Le frange di intolleranza sono minime: abbiamo aperto una caserma a trecento stranieri; mediaticamente è venuto giù il mondo, nella realtà non è successo nulla. I milanesi ce l’hanno con quelli che vedono bighellonare senza far niente. Non possiamo tenerli qui per anni e limitarci a sfamarli. La sfida è farli lavorare» .
Come?
«In Germania i migranti si impegnano a studiare il tedesco e a lavorare per 500 euro al mese, in attesa che la magistratura stabilisca se hanno diritto di restare o no. Il modello è questo».
Lei è indagato per l’Expo. Se ha qualcosa da rimproverarsi, lo dica ora.
«Vorrei chiarire una leggenda, secondo cui sarei accusato di aver pagato troppo gli alberi. Non è così. La transazione con il fornitore è stata verificata dall’Avvocatura dello Stato e dall’Anac. Nessuno potrà mai accusarmi di aver fatto gli interessi di qualcuno. Stiamo parlando di procedure molto complesse. Non minimizzo nulla. So che i miei destini politici e amministrativi sono legati a quel che succederà. So pure che, se ho fatto errori, li ho fatti solo con l’intento di portare a termine Expo, senza favorire nessuno. Attendo con serenità le decisioni della magistratura».
A cos’è legato il suo destino politico? Si dimetterebbe in caso di rinvio a giudizio?
«Non sono in gioco le mie dimissioni. Mi ero autosospeso perché volevo fare una riflessione. Certo una condanna segnerebbe un punto fondamentale nel mio curriculum politico, e comunque segnerebbe me. Ma di sicuro finirò il mandato di sindaco».