Il Fatto 4.7.17
Pisapia è l’uomo del “quasi”: quasi tutto, quasi niente
di Andrea Scanzi
C’è
Pisapia, all’anagrafe Giuliano, e c’è Orlando, il Jack Pisapia che non è
uscito dal gruppo. In due non ne fanno uno, o almeno così sembra. Un
po’ si somigliano, anzitutto nel collezionare i quasi. Quasi di
sinistra, quasi di rottura, quasi alternativi a Renzi. Quasi di
opposizione, quasi arrabbiati, quasi ribelli (parecchio quasi). Entrambi
odiano il carisma, essendo in ciò pienamente ricambiati. Come noto, una
delle ultime frasi scritte da Salinger prima di andarsene fu questa:
“Uscendo di casa ho visto un frassino. Mi è parso anonimo, poi però ho
visto Pisapia e Orlando in tivù e mi è venuta voglia di rivalutare il
frassino”. Pisapia è da un po’ sulle prime pagine, e già questo ci fa
capire uno dei motivi della crisi dell’editoria: disquisire di ciò che
interessa solo all’editoria, in un continuo trip da metalinguaggio
solipsistico (l’ultima frase non vuol dire nulla, ma dà l’illusione di
essere arguta. Come gli interventi di Philippe Daverio). Conoscete una
persona – non cento: una – che non vede l’ora di votare Pisapia? No.
Eppure se ne parla come se, dalle scelte di questo novello Berlinguer,
dipendessero le sorti della sinistra italiana. Di più: del Paese intero.
Di più: dell’intera galassia. Prima che l’iconoclastia ci travolga,
com’è poi tipico del Fatto, vanno qui ribaditi due concetti importanti.
Uno: Pisapia è una brava persona. Due: Pisapia è stato un buon sindaco.
Non è poco: magari, nella sinistra italiana, ci fossero stati più
Pisapia e meno Genny Migliore. Da qui però a farne il nuovo
Subcomandante Marcos, ce ne passa. Anche perché lo stesso Pisapia,
arrogandosi una forza perlopiù immaginaria, prim’ancora di “ricostruire
il centrosinistra” ha posto dei veti. Niente Fratoianni, perché lui non
vuole; niente Civati, perché lui non vuole; niente Falcone-Montanari,
perché lui non vuole. Già così si evince che l’idea di Pisapia, peraltro
assai confusa, non è tanto quella di un nuovo centrosinistra ma di un
vecchio centro, si presume più accettabile di quello di Renzi (ci vuol
poco) e di Alfano (va be’, Alfano). L’uomo non manca di testimonial
importanti, da Claudio Amendola a Sabrina Ferilli. Non si capisce però
dove voglia andare. E qui torniamo a quel suo collezionar “quasi”. Se
umanamente è un galantuomo, politicamente Pisapia chi è? A che gioco
gioca? Da che parte sta? Sinora è stato (inconsapevolmente?) uno
specchietto per le allodole al servizio di Renzi. Un abbindolatore di
delusi di sinistra comprensibilmente schifati dal renzismo, che Pisapia
porta a sé con l’illusione di “essere di sinistra”. Per poi però
consegnarne i voti a Renzi. In questo senso, Pisapia è a tutt’oggi un
fiancheggiatore del renzismo: se è questa la sua idea politica, il suo
più che un progetto nazionale è una iattura biblica. Anche a Milano, con
quella lista-civetta cara ai Lerner e Vecchioni, non ha fatto che
condurre alla vittoria Sala. Cioè un berlusconiano. Cioè Renzi. Tomaso
Montanari rimprovera a Pisapia – tra le mille cose – di avere votato sì
al referendum del 4 dicembre. È però solo una delle tante criticità,
anzi ambiguità, di Pisapia. Mentre tutta la stampa di quasi-sinistra ne
parla, e con ciò spera (per esempio Scalfari) che assurga a decisiva
stampella dell’Allegra Combriccola dei Lotti&Picierno, Pisapia
continua a dire tutto e il suo esatto contrario. Prende tempo,
tergiversa, cincischia. Se Veltroni era l’uomo del “ma anche”, lui è
quello del “quasi”. Quasi renziano, quasi orlandiano, quasi prodiano.
Quasi tutto. Quasi niente.