Corriere 13.7.17
Mack Smith , l’inglese che amava l’Italia
Ricostruì la storia del nostro Paese con uno stile chiaro e vivace, molto apprezzato dal pubblico
di Antonio Carioti
Già
la prima opera dello storico inglese Denis Mack Smith, scomparso
all’età di 97 anni, rivelava chiaramente il suo modo di guardare alle
vicende italiane, tipico di un esponente della cultura democratica
radicale britannica. Il libro Cavour e Garibaldi nel 1860 , uscito in
versione originale nel 1954 e in Italia presso Einaudi nel 1958 (poi ha
avuto altre edizioni, l’ultima da Rizzoli nel 1999 con il titolo Cavour
contro Garibaldi ) dimostra una spiccata benevolenza verso il generale
nizzardo in camicia rossa, descritto come un po’ rozzo, ma
straordinariamente coraggioso e sincero nel suo idealismo, mentre
rimprovera al conte piemontese, di cui pure riconosce l’intelligenza e
l’abilità straordinarie, uno «scaltro opportunismo» che lo faceva
apparire «ingannevole e infido».
La stessa severità dimostrata
verso Cavour aveva usato Mack Smith verso la classe dirigente del nostro
Paese nella sua opera principale, la Storia d’Italia 1861-1958 , uscita
in contemporanea nel 1959 da noi, per Laterza (poi ebbe molte altre
edizioni aggiornate), e negli Stati Uniti per il pubblico anglosassone. A
suo avviso dovevano esserci stati «certi vizi intrinseci nel
patriottismo liberale del secolo decimonono e nelle sue realizzazioni»,
se poi questa nazione aveva generato il fascismo e aveva seguito Benito
Mussolini per un ventennio. Nella sua prosa vivace, ironica e
ricchissima di aneddoti, che ne rendevano la lettura quanto mai
gradevole, si rifletteva la delusione di un’opinione pubblica britannica
che aveva guardato con forte simpatia al nostro Risorgimento per la sua
impronta liberaldemocratica, ma poi era rimasta sgomenta nel ritrovarsi
di fronte come nemica, peraltro non troppo temibile sul piano militare,
un’Italia sottomessa a un regime liberticida e alleata del Terzo Reich.
Ci fu chi scrisse che Mack Smith parlava del fascismo anche quando si
occupava di Cavour, di Bettino Ricasoli o, a maggior ragione, di
Francesco Crispi. E non era un’osservazione campata per aria.
I
suoi libri, molto accessibili e divulgativi, ottennero un ragguardevole
successo di pubblico tra i lettori italiani, ma non erano altrettanto
apprezzati dagli studiosi. Rosario Romeo, il più prestigioso biografo di
Cavour, biasimò aspramente il modo in cui lo storico inglese aveva
presentato l’opera del conte. E quasi altrettanto sgradito era Mack
Smith alla scuola storiografica cresciuta intorno a Renzo De Felice,
autore che lo studioso britannico aveva accusato di voler riabilitare
Mussolini in un saggio molto polemico intitolato Un monumento al Duce ,
edito in Italia da Guaraldi nel 1976 assieme a una risposta di Michael
Ledeen (curatore della laterziana Intervista sul fascismo di De Felice) e
alla controreplica dell’autore inglese.
D’altra parte, benché la
sua ostilità verso il regime littorio e Mussolini fosse a prova di bomba
(a volte persino esagerata), anche i marxisti nutrivano forti riserve
sull’impostazione generale di Mack Smith, a loro avviso troppo
concentrata sulle vicende delle classi dirigenti e poco attenta alle
trasformazioni economiche del capitalismo e alle lotte del movimento
operaio nel nostro Paese.
Tutte queste osservazioni avevano un
certo fondamento: per esempio lo stesso Mack Smith aveva in seguito
ammesso che forse Romeo aveva visto meglio di lui su Cavour. Ma bisogna
aggiungere che la sua vena polemica verso i governanti italiani era
dettata anche, se non principalmente, da un amore profondo per il nostro
Paese, dove era approdato per la prima volta da giovane (era nato a
Londra il 3 marzo 1920) subito dopo la guerra, nel 1946, fresco degli
studi a Cambridge sotto la guida di un maestro autorevole come George
Trevelyan.
A Napoli aveva conosciuto Benedetto Croce, al quale era
rimasto sempre molto riconoscente per l’aiuto concreto che gli aveva
prestato nelle sue ricerche, anche se la tesi di fondo della Storia
d’Italia di Mack Smith era all’opposto di quella dell’opera omonima del
grande filosofo idealista, che rifiutava nettamente di considerare il
regime fascista uno sbocco logico della nostra tradizione politica nel
periodo dello Stato unitario.
Nel 1962 lo storico inglese era
diventato docente presso il prestigioso All Souls College
dell’Università di Oxford, dove aveva insegnato fino al suo ritiro nel
1987. Sotto la guida di Mack Smith si erano formati nel tempo parecchi
studiosi britannici specialisti del nostro Paese, le cui opere sono
state pubblicate anche in Italia. Tra i più noti si possono ricordare
Christopher Duggan (prematuramente scomparso nel 2015 a neppure 58
anni), biografo di Crispi, lo storico della mafia John Dickie e Lucy
Riall, autrice di saggi importanti sul Risorgimento, Garibaldi e la
spedizione dei Mille.
Infaticabile poligrafo, oltre alle opere di
argomento generale, tra cui va ricordata un’importante Storia della
Sicilia medievale e moderna (Laterza, 1970), Mack Smith aveva prodotto
diverse biografie, sempre molto godibili anche se un po’ sbilanciate sul
versante aneddotico, di protagonisti della vita italiana dall’Ottocento
in poi. Dopo il suo Garibaldi (Lerici, 1959; poi Mondadori, 1993) erano
usciti Vittorio Emanuele II (Laterza, 1972), Mussolini (Rizzoli, 1981),
Cavour (Bompiani, 1984), Mazzini (Rizzoli, 1994).
Con il suo
spirito critico sempre vivo lo storico britannico non aveva risparmiato
rilievi urticanti, in buona parte del resto meritati, alla dinastia
sabauda nel libro I Savoia re d’Italia (Rizzoli, 1990). E nel successivo
saggio La storia manipolata (Laterza 1998) aveva fustigato la cattiva
abitudine di abbellire il passato a proprio uso e consumo, praticata con
notevole assiduità nel nostro Paese dai potenti di qualsiasi
orientamento politico. Da segnalare anche l’ampio lavoro di Mack Smith
Storia di cento anni di vita italiana visti attraverso il «Corriere
della Sera» (Rizzoli, 1978), un autorevole riconoscimento al ruolo
centrale ricoperto dal quotidiano di via Solferino nel centenario della
sua fondazione.