Corriere 13.7.17
il Pd esca dall’isolamento per allearsi a sinistra
di Virginio Rognoni
Caro
direttore, non da oggi è giudizio comune che nessun partito, da solo,
possa raggiungere la maggioranza parlamentare. Su questo scenario è
piombato, pochi mesi fa, il voto dirompente del referendum
costituzionale e, in questi giorni, quello in alcune importanti
Amministrazioni locali. Eventi che hanno registrato, il primo, una
clamorosa sconfitta di Matteo Renzi, il secondo, una pesante sconfitta
del suo partito. Sul primo mi soffermo solo per rimarcare come
l’improvvida personalizzazione che l’ex premier ha voluto dare alla
vicenda referendaria abbia manifestato oltre ogni limite la sua
sicurezza di battersi e vincere da solo. Questa sicurezza Renzi l’ha
indosso; forse non ha neppure bisogno di richiamare la vittoria nelle
elezioni europee del 2014, quel mitico e meritato 40%. L’ha indosso e
non l’ha abbandonata neppure in vista delle elezioni generali della
prossima primavera, malgrado la sconfitta recente nella consultazione
Amministrativa. Renzi, infatti, trascura questa sconfitta, semplicemente
va oltre, non ne ha cura, in coerenza del resto con la sua scarsa
presenza in campagna elettorale. Egli sembra voler solo la rivincita e
la cerca sul piano nazionale dove intende giocare la decisiva partita.
Ma
questa, più che una scelta, è un azzardo; tutto dice, oggi, che il Pd,
come qualsiasi forza politica, da solo, perde. Ecco perché si è aperta
la fase della ricerca di «alleanze» o «coalizioni» capaci di raggiungere
la maggioranza parlamentare, altrimenti impossibile. Ma Renzi va avanti
da solo e spinge il suo partito a seguirlo. Certo il segretario del Pd
ha un alibi nella prospettiva purtroppo di andare al voto ormai con il
sistema proporzionale dove ogni partito si presenta da solo. Ma il
problema delle alleanze, prima (come sarebbe auspicabile e con una legge
appropriata) o dopo il voto, è ineludibile. Il Pd non nasce dal nulla;
nasce come forma partitica di un centrosinistra inclusivo e plurale. È
dunque lì che deve ritrovarsi; è lì che deve recuperare i voti perduti e
andati verosimilmente nell’area dell’astensione; è lì, dove sono buona
parte delle sue radici, che deve guardare. Ma poi c’è un’altra ragione
decisiva che spinge in questa direzione: è in corso, infatti, il
tentativo di rilanciare il centrodestra come coalizione di governo; un
tentativo difficile ma che c’è ed è agguerrito. Di riflesso il Pd, per
la sua storia, è obbligato a prepararsi e a ritrovarsi in una alleanza
di centrosinistra allargata, plurale, capace di confrontarsi con
l’avversario di sempre. È questo lo scenario tutt’altro che impossibile
dove sull’uno e sull’altro versante ci possono essere simmetricamente
gruppi che si sentono esclusi o si autoescludono per via della
specificazione «di governo» che si attribuiscono entrambe le coalizioni
contrapposte. Il problema delle alleanze se affrontato seriamente può,
addirittura, portare a esiti costruttivi per l’intero sistema politico
del Paese. Ecco perché è negativa l’indifferenza, quasi il fastidio, di
Renzi per l’iniziativa di Pisapia a favore di un robusto rammendo del
tessuto connettivo del centrosinistra, slabbrato dopo la scissione e
uscito perdente nel recente voto amministrativo. Per ora il risultato è
deludente; alla iniziativa dell’ex Sindaco di Milano si risponde che c’è
stato un congresso e che la rigidità del suo risultato è incompatibile
con scenari diversi dove in gioco si può rimettere tutto. Ma è facile
osservare che il «voto» e il «non voto» in molte importanti
amministrazioni locali, ultimo atto di una sequela di fatti non
positivi, ha innescato processi civili e sociali che sono più forti di
qualsiasi conclusione di congresso celebrato in precedenza. Comunque,
per ora, il risultato è deludente; ma mancano ancora mesi alle elezioni
per il rinnovo del parlamento. C’è dunque tempo per discutere e
avvicinare posizioni divergenti; c’è tempo per evitare di trovare il Pd
sempre appeso all’esito di un congresso, tra l’altro convocato con la
frenesia per elezioni che si volevano subito. Dal canto suo il Governo
Gentiloni, che è pur sempre un Governo sostenuto in primo luogo dal Pd,
può aiutare la definizione di una linea programmatica sui vari e
difficili problemi del Paese, senza la quale ogni strategia cadrebbe nel
vuoto.
So bene di non avere fatto alcun accenno in queste mie
riflessioni al M5S; ma ciò dipende dal fatto che i pentastellati sono un
movimento che si nega ad ogni alleanza. Quando questo principio dovesse
cadere tutto cambierebbe e il discorso sarebbe diverso.