Corriere 12.7.17
Il malinteso di Einstein
Lo scienziato non seppe replicare alle critiche di Karl Popper
Gli sfuggiva che lesperienza non è illusoria perché gli esseri sono eterni e si limitano a variare nel tempo
di Emanuele Severino
Esiste
una specie di analogia tra le critiche che Karl Popper rivolse a
Einstein e quelle rivolte da Gustavo Bontadini (1903- 1990) al contenuto
dei miei scritti. Fermo restando, ovviamente, il divario tra le due
discussioni quanto alla loro risonanza storica — là c’è Einstein di
mezzo —; sebbene il pensiero filosofico di Bontadini non abbia nulla da
invidiare a quello di Popper. D’altra parte, le argomentazioni che
quest’ultimo presenta alla prospettiva einsteiniana hanno un carattere
eminentemente filosofico; e Einstein accetta di muoversi su questo
terreno.
Nella sua Autobiografia intellettuale (1976) Popper
scrive, riferendosi a Einstein: «L’argomento principale delle nostre
conversazioni fu l’indeterminismo. Io cercai di persuaderlo ad
abbandonare il suo determinismo, che in pratica si riduceva all’idea che
il mondo fosse un universo chiuso, di tipo parmenideo, a quattro
dimensioni, nel quale il mutamento era un’illusione umana, o qualcosa di
molto simile. (Egli era d’accordo che questa fosse la sua opinione, e
discutendo di ciò lo chiamai “Parmenide”)». Einstein accetta cioè
l’interpretazione che inscrive la teoria della relatività nella
filosofia di Parmenide. In seguito si mostrerà meno fermo nella sua
adesione al determinismo; ma non risulta che il suo parmenidismo abbia
vacillato.
Si aggiunga che l’intento di Popper di convertire
Einstein all’indeterminismo di Heisenberg era già esso un tentativo di
conciliare ciò che sembra inconciliabile: teoria della relatività e
meccanica quantistica. Un tentativo che in campo fisico ha avuto grandi
sviluppi e che continua tuttora, ad esempio nelle ricerche di Carlo
Rovelli, anche recentemente presentate dal «Corriere».
Certo,
nella discussione Popper-Einstein non si tratta del Parmenide «storico»,
quello cioè discusso da Platone, Aristotele, Hegel. Ma questa
circostanza è uno dei fattori che avvicinano le due critiche che ho
indicato all’inizio. Il Parmenide «storico» sostiene l’eternità del puro
Essere , non degli esseri , ossia delle cose che sono. Invece sin quasi
dall’inizio i miei scritti mostrano la necessità che ogni cosa-che-è
sia eterna — dove «cosa» è da intendere nel senso più ampio, che include
ogni evento, relazione, sfumatura, dunque anche ogni evento
spazio-temporale, cioè anche (ma non solo) gli eventi del cronotopo
quadridimensionale dell’universo einsteiniano.
Va però tenuto
presente che la «logica» in base alla quale la teoria della relatività
afferma che ogni cosa è eterna è essenzialmente diversa dalla necessità a
cui si rivolgono i miei scritti. Ormai la scienza — coinvolgendo quindi
anche la teoria della relatività — riconosce il carattere ipotetico e
provvisorio delle sue tesi, anche di quelle più «confermate». Ed è
innanzitutto in questo senso che nella sua essenza la filosofia può
andare più in là della scienza (alla quale, d’altra parte, ormai
interessa la potenza e non la «verità»). Resta comunque il fatto che la
tesi «parmenidea» della teoria della relatività suona identica alla tesi
dei miei scritti che ogni essere è eterno — anche se la fondazione
delle due tesi è abissalmente diversa, sì che le tesi stesse sono
diverse.
Non solo. Popper e Einstein sono d’accordo sul fatto che
per Einstein, come per il Parmenide storico (o quello che essi ritengono
tale), l’«esperienza» del mutamento sia illusoria; nei miei scritti si
mostra invece che se l’«esperienza» mostra il variare del proprio
contenuto, non mostra quel senso del mutamento che per
Einstein-Parmenide è illusorio. Provo a chiarire.
Per tutte le
forme di sapienza dell’Occidente, che ormai stanno alla base di ogni
altra sapienza, il passato è ciò che non è più (ossia ciò che ormai è
nulla), il futuro è ciò che non è ancora (ossia ciò che ancora è nulla).
Per Einstein l’esperienza di questo passaggio dal non essere ancora al
non essere più è illusorio: nei miei scritti si fa invece vedere che
l’«esperienza» non attesta e non può attestare il passaggio da ciò che
non è ancora a ciò che non è più, e quindi si fa vedere che
l’«esperienza» non è illusoria; e poiché ogni essere è eterno, il
variare dell’esperienza è il comparire e lo scomparire degli eterni.
Certo, il senso e la struttura dell’ apparire è estremamente complesso
(qui contentiamoci di averlo evocato), ma avrebbe consentito a Einstein
di rispondere alle critiche di Popper.
In esse Popper ripropone
più volte la metafora dei fotogrammi e della loro proiezione. Ogni
essere è come un fotogramma di un film; i fotogrammi sono tutti
coesistenti e immutabili; è la loro proiezione a dare l’illusione del
movimento. La proiezione corrisponde all’«esperienza» illusoria del
movimento. Einstein accetta la metafora. Ma Popper obbietta: «Se noi
esperissimo immagini successive di un mondo immutabile, allora una cosa,
almeno, sarebbe genuinamente mutevole in questo mondo: la nostra
esperienza cosciente. Una pellicola cinematografica, sebbene esistente
adesso [tutta insieme], e predeterminata, deve passare , scorrere
attraverso il proiettore (cioè, relativamente a noi stessi), per
produrre l’esperienza, o l’illusione del cambiamento temporale. […] E
dal momento che noi siamo parte del mondo, vi sarebbe così un
cambiamento del mondo — il che contraddice l’opinione di Parmenide» (
Poscritto alla logica della scoperta scientifica , vol. II, par. 26) e,
propriamente, del Parmenide non storico che afferma l’eternità di tutti i
molteplici esseri del mondo — laddove il Parmenide storico, di Platone,
Aristotele, Hegel, nega l’esistenza di una molteplicità degli esseri e
qualifica come illusoria anche tale molteplicità. Comunque,
relativamente a questa sua critica (e ad altre), riferisce Popper,
Einstein «disse che ne era rimasto colpito e che non sapeva come
rispondervi». Notevole, questo atteggiamento di Einstein, anche perché
esso mostrava che la teoria della relatività intende coinvolgere non
solo il mondo fisico, ma anche «la nostra esperienza cosciente». (E
d’altra parte il suo realismo smentisce il suo eternalismo, perché se la
realtà esiste anche se non esiste «la nostra esperienza che è
cosciente» di essa, allora questa esperienza è qualcosa che può esser
nulla, ossia non è eterna).
Soprattutto a questa obbiezione della
pellicola cinematografica mi riferivo all’inizio parlando dell’ analogia
delle critiche di Popper a Einstein e di quelle di Bontadini al
contenuto dei miei scritti. In quest’ultimi, sì, si afferma l’eternità
di ogni essere, di ogni configurazione che la realtà va assumendo via
via in ogni istante. Einstein non sa come rispondere alla critica di
Popper, anche perché a sua volta — come Popper, come Bontadini, come
ogni sapienza dell’Occidente e ormai del Pianeta — ritiene che il
mutamento sia comunque da intendere come un uscire delle cose dal loro
non essere e un ritornarvi. (Comunque: si concepisca il mutamento come
reale o come illusorio). Quindi anche Einstein è costretto a intendere
in questo modo il passare , lo scorrere della pellicola attraverso il
proiettore. Anche per lui, nella «nostra esperienza cosciente» le cose
passano dal non essere all’essere e viceversa.
Ma, al di fuori
della Notte della non-verità in cui consiste questo modo di pensare, il
mutamento è — stiamo dicendo — il comparire e lo scomparire degli
eterni. E a Bontadini dicevo che, poiché anche il loro apparire è un
essere eterno, anche il loro apparire compare e scompare. Ma per andare a
fondo nel significato di queste espressioni deve farsi avanti una
dimensione del pensare e del dire essenzialmente diversa da quella della
Notte .
Nei miei scritti l’obbiezione che poi Bontadini mi
avrebbe rivolto era già stata considerata. Egli l’aveva ripresa dagli
anni Sessanta in poi, e appunto mi obbiettava: se e poiché il mutamento è
quel comparire-scomparire di cui tu parli, non si dovrà dire che almeno
il loro apparire esce dal nulla e vi ritorna? L’ apparire corrisponde
alla proiezione del film di Popper. Ma questa volta si può rispondere:
dicendo appunto che come l’eterno in cui consiste questa voce , o
quest’ombra, o questo ricordo incomincia ad apparire e ora non appare
più, così l’eterno in cui consiste l’ apparire di questa voce, di
quest’ombra, di questo ricordo incomincia ad apparire e ora non appare
più. (Eppure Bontadini era giunto a riconoscere l’eternità di ogni
essere! Certo, «non dando ascolto a me, ma al logos », come diceva
Eraclito).