Repubblica 31.8.13
Dopo l’incontro con Pannella
E oggi va a firmare i referendum radicali sulla giustizia
ROMA — Marco Pannella ieri mattina ha incontrato Silvio Berlusconi e lo ha convinto: il leader del Pdl dovrebbe firmare oggi i sei referendum radicali sulla giustizia. La decisione è stata comunicata dallo stesso Cavaliere durante un collegamento con la riunione del direttivo dell’Esercito di Silvio a Bassano del Grappa. Nella telefonata ha invitato i militanti alla mobilitazione. «Ci sono 6 referendum radicali sulla giustizia: — ha detto il Cavaliere — allestiamo i gazebo e raccogliamo le 500 mila firme necessarie entro il 15 settembre: attraverso il voto popolare cerchiamo di realizzare quella riforma della giustizia che ci hanno impedito di fare in Parlamento».
il Fatto 31.8.13
Il Quirinale regala un futuroi a Letta
Quattro senatori del Colle per incastrare Berlusconi
Il Caimano gioca l’ultima carta: “Se decado io, decade anche il governo”
Ma Napolitano, con il laticlavio a vita per Abbado, Cattaneo, Piano e Rubbia, aggiunge voti preziosi a una possibile maggioranza in Senato senza il Pdl
di Marco Palombi
Se si tiene presente il precedente lo schema è abbastanza chiaro: a fine 2011 Giorgio Napolitano nominò Mario Monti senatore a vita e diede il via alla stagione nella quale ancora viviamo, quella delle larghe intese per garantire ai nostri creditori europei che i loro soldi torneranno indietro. Ieri il capo dello Stato ha nominato quattro nuovi senatori a vita dando avvio ad una sorta di ritorno alla normalità attraverso la sterilizzazione del potere di ricatto di Silvio Berlusconi. La manovra è così ben congegnata che ha provocato reazioni dure persino in chi di solito adotta un vocabolario meno aggressivo: “Napolitano da due anni gioca un ruolo politico, non è più il garante della Carta”, ha detto il comunista Paolo Ferrero. Questi nuovi quattro voti anti-B. a palazzo Madama sono, infatti, tanto un segnale al ceto politico che un cambiamento fattuale nelle dinamiche parlamentari. Ecco perché.
I NUMERI. Il nuovo Senato disegnato dal Quirinale è un luogo in cui all’ex Cavaliere sarà assai più difficile minacciare le elezioni anticipate. Sarà per questo che ieri Napolitano ha descritto così il suo stato d’animo: “Mi sento alleggerito, come sempre quando si compie un adempimento”. Da oggi, immaginare un Letta bis senza Pdl che magari si occupi di fare la finanziaria e la nuova legge elettorale per poi portare il Paese alle elezioni è assai meno difficile. La situazione è questa: il nuovo plenum conta 321 senatori, dunque la maggioranza è a quota 161. Raggiungerla senza Berlusconi, per un governo di scopo, non è così complicato.
I favorevoli: il Pd conta 108 voti; Scelta civica altri 20; il gruppo Misto (costituto da Sel e dagli esuli grillini) è costituito da 11 senatori di diritto più Carlo Azeglio Ciampi; il raggruppamento delle Autonomie (socialisti, sudtirolesi, valdostani e qualche eletto all’estero) ha dieci eletti; i nuovi senatori a vita sono quattro. Già così siamo a 154 voti teorici, solo sette dal numero magico. E qui la vicenda si fa più scivolosa, ma non meno ponderata dagli interessati.
LA SLAVINA. La decisione del capo dello Stato rassicura gli eventuali “responsabili” di Enrico Letta: l’obiettivo è a portata di mano. Nel mirino, per esplicita o “ufficiosa” ammissione dei suoi membri, è il gruppo Grandi autonomie e Libertà (Gal): ha dieci senatori, tra cui Giulio Tremonti, e almeno una metà vengono considerati tra i possibili sostenitori di un Letta bis senza Silvio (servirebbero, però, un paio di sottosegretariati “di scopo”). Paolo Naccarato, iscritto al gruppo Gal, “cossighiano” eletto in entrambi gli schieramenti nella Seconda Repubblica, lo ha già detto esplicitamente: “Se Berlusconi provocasse la crisi di governo, io penso che al Senato verrà fuori una maggioranza silenziosa. E che il Cavaliere, in questo caso, si troverebbe ad avere a che fare con molte sorprese e moltissime delusioni”. Gianfranco Micciché, che di Gal è il padrino politico, s’è subito preoccupato: “C’è in atto una compravendita”.
Anche il gruppo del Pdl, paradossalmente, è uno di quelli da cui potrebbe arrivare il soccorso rosso. Renato Schifani ha già avvertito Berlusconi: “Non abbiamo un gruppo compatto come quello del 2006. Se andiamo alla rottura e non c’è la sicurezza delle elezioni, il gruppo chi lo tiene? ”. Tra gli indiziati, i nomi di un’altra stagione: gli ex Idv Domenico Scilipoti (“il dialogo è il sale della democrazia e la fedeltà è una cosa da cani”, ha detto di recente) e Antonio Razzi. Ma non solo: pende verso il nipote di Gianni Letta anche una bella quota dei siciliani. “Almeno la metà dei senatori, soprattutto del Sud, sono contrari alla crisi”, ha scolpito Salvatore Torrisi prima di ribadire la sua fedeltà a Berlusconi. Oltre al suo si fanno i nomi di Francesco Scoma (“un governo si farà lo stesso, anche senza il Pdl, e voglio vedere come se la caveranno i falchi”), peraltro indagato, dei tre Giuseppe - Castiglione, Pagano e Ruvolo - di Luigi Compagna e pure di Riccardo Villari, esule Pd.
PSICOSI GRILLINA. Anche nel Movimento 5 Stelle già hanno cominciato a litigare sull’eventuale Letta bis. Beppe Grillo ha già dato la linea: voto col Porcellum. Il capo della comunicazione in Senato, Claudio Messora, l’ha ribadita con pubblica presa di posizione: “Nessuno giochi al piccolo onorevole. Niente accordi”. Tutto a posto? Mica tanto, visto che più di qualcuno non ha gradito. Francesco Campanella, per dire: “Lo spirito rivoluzionario ha mille sfumature. Per esempio il responsabile comunicazione di un gruppo parlamentare che indica la linea ai parlamentari, per portarsi avanti col lavoro”. Ieri la pasdaran Laura Bottici ha mandato via Facebook un “vaffan... ” a chiunque osi aprire ad un Letta bis, segno che qualcuno ci sta pensando. Esiste pure un’apposita lista dei “tradendi”: oltre a Campanella, vi compaiono Lorenzo Battista, Alessandra Bencini, Elena Fattori, Francesco Molinari, Maria Mussini, Luis Orellana, Fabrizio Bocchino e altri. Bravo Enrico, bis.
Repubblica 31.8.13
Tra i senatori che commentano le scelte del presidente della Repubblica
E c’è chi ricorda i buoni rapporti dei nominati con i 5Stelle
Il pallottoliere di Palazzo Madama “Ora ne bastano 7 per fare a meno di Silvio”
di Tommaso Ciriaco
ROMA — Da ieri il pallottoliere va a ruba, a Palazzo Madama. Infuriato per la nomina di quattro nuovi senatori a vita, è il Pdl ad affidarsi nervosamente all’aritmetica. Con in mente un solo numero, allarmante: il sette. Sette come i senatori che ora mancano al centrosinistra per dar vita a un governo senza l’uomo di Arcore.
Nessuno più di Antonio Razzi conosce la fragilità delle coalizioni e l’adrenalina del ribaltone: «In casi come questi si decide tutto l’ultima notte». Nel 2010 mollò l’Idv e salvò il Cavaliere: «Ma stavolta no, sono amico di Berlusconi. Però ho sentito dire che al Senato ci sono movimenti. I grillini siciliani potrebbero sostenere una nuova maggioranza. E poi ci sono i nuovi senatori a vita...».
Si fa presto a dire maggioranza. A Palazzo Madama, con le nomine del capo dello Stato, sederanno 321 parlamentari. La soglia di sicurezza è fissata quindi a 161. Sommando — arbitrariamente, almeno per ora — il Pd (108 senatori), Scelta civica (20, Monti compreso), il gruppo delle Autonomie (10), Sel (7), i 5 senatori a vita e i 4 ex grillini si tocca quota 154. Sette in meno, appunto, della maggioranza assoluta. «Ma non esiste — si infiamma Augusto Minzolini — dovrebbero mettere insieme proprio tutti. E poi queste operazioni finiscono male. Ricordate Fini? E D’Alema, che fece il ribaltone e poi perse le elezioni?».
Eppure, ora dopo ora prende forza il partito di chi ci crede. Uno è Riccardo Nencini, leaderdei socialisti: «In caso di necessità, non si tratterebbe più di un’operazione solo numerica — ammette — perché è indubbio che con i quattro senatori appena nominati ci sia un’autorevolezza nel proporre la continuità».
L’operazione resta complessa. Ma i nuovi senatori a vita piacciono al popolo dei cinquestelle. Renzo Piano è da sempre amico di Beppe Grillo, Claudio Abbado apprezzato in ampi settori del movimento. Non lo nega Francesco Campanella, fra i più influenti “moderati” del M5S: «Sono belle teste, non c’è dubbio». Non è un mistero, d’altra parte, che tra i banchi pentastellati si consumi da tempo una braccio di ferro sempre più durotra chi sogna un governo del cambiamento e chi immagina solo il ritorno al voto.
Sette senatori, perché la pattuglia delle Autonomie è già arruolata alla causa: «Decisamente sì — giura Nencini — altrimenti non avremmo fatto il gruppo assieme». L’esponente socialista è addirittura più ottimista. E ammette: «Io da tempo mi confronto con il senatore Paolo Naccarato». Che milita nel centrodestra con Gal.
E il Pdl? Non tutti ritengono che sia pronto a reggere alle tensioni: «Io ne ho viste tante, tutto può essere...», ammette Razzi. Via dell’Umiltà, comunque, non resterà a guardare. «Non credo che cadrà il governo — confida il senatore del Pdl Luigi Compagna — E poi scusate: se il Pd è l’aereo che bombarda, dalla nostra c’è Verdini, che in questa partita è la contraerea...».
l’Unità 31.8.13
L’idea di legalità di un partito democratico
di Luciano Violante
Il modo in cui il Pd affronta la questione della decadenza del senatore Berlusconi contribuisce a definire la natura del partito. Essere un partito democratico indica un preciso modo di essere, come si desume da tutti i nostri documenti fondamentali.
Tale modo di essere deve tradursi in comportamenti ispirati ai principi della democrazia e quindi della legalità e dell’uguaglianza. La nostra base, l’elettorato, i consiglieri della carta stampata vogliono la decadenza, la vogliono subito e senza alcuna concessione. Non pronunciarsi subito e drasticamente, non liberarsi subito dell’avversario ora che finalmente se ne ha la possibilità, costituirebbe tradimento. In nome di questi sentimenti sono stato tacciato a sinistra di intelligenza con il nemico per una intervista rilasciata al Corriere della Sera del 26 agosto. Dalla parte opposta hanno dichiarato che la mia proposta, anzi il mio «lodo», costituiva una prova di lungimiranza politica e di sapienza giuridica. Tanto gli insulti quanto gli elogi sono privi di fondamento. Io non ho avanzato alcuna proposta né tantomeno un lodo, categoria dai confini incerti e dai precedenti discutibili. Ho detto, cito testualmente: «La Giunta, se ritenesse ci fossero i presupposti, potrebbe sollevare l’eccezione davanti alla Corte». Non ho proposto di sollevare l’eccezione di costituzionalità relativa alla legge Severino. Né tantomeno di votare contro la decadenza del senatore Berlusconi. Non sono mai entrato nel merito della questione perché mi interessa, per le ragioni che qui espongo, il modo in cui si arriva alla decisione. Ho sostenuto che dev’essere la Giunta a valutare e che la Giunta non dev’essere strattonata; se decidesse per l’«ammissibilità» e per la «non manifesta infondatezza» della eccezione potrebbe ricorrere alla Corte Costituzionale; altrimenti dovrebbe respingere l’istanza e andare oltre. Se decidesse che ci sono i requisiti per ricorrere alla Corte di Giustizia del Lussemburgo, deve farlo; altrimenti deve andare avanti. Ho aggiunto che Berlusconi ha diritto di difendersi, che il Senato ha il dovere di ascoltare e di decidere dopo aver ascoltato. Le stesse cose ha detto con autorevolezza Guglielmo Epifani al Tg3, la sera del 29 agosto.
A questo punto si pongono due questioni.
L’intero partito intende riconoscere davvero al senatore Berlusconi il diritto di difendersi e al Senato il dovere di ascoltare e di decidere solo dopo aver ascoltato? O per alcuni di noi l’ascolto delle ragioni del condannato diventa un orpello formale quando l’interessato è il tuo principale avversario, quello che ha più volte usato la forza dei numeri per far votare al Parlamento decisioni impensate come la filiazione di una ragazza marocchina, leggi ad personam e persino una legge contra personam (Caselli)? Un partito democratico sente il riconoscimento dei diritti costituzionali di qualsiasi persona che sta per essere giudicata come un presupposto intangibile della propria identità politica. Soprattutto quando quella persona è nelle sue mani ed è il suo principale avversario; può essere condannato moralmente e politicamente, ma gli si devono sempre garantire i diritti che in una procedura giudiziaria gli spettano. Questa è la legalità e questo è il principio di uguaglianza. Sarebbe lesivo della legalità e del principio di uguaglianza tanto riconoscere a Berlusconi trattamenti di favore quanto negargli i diritti che le leggi gli garantiscono. È gravoso applicare la Costituzione a chi si è sempre comportato come tuo nemico. Ma la forza morale, la legittimazione politica e la reputazione sociale di un partito si riconoscono e si costruiscono proprio in queste circostanze.
Gran parte della opinione vicina al Pd interpreta con sospetto ogni atteggiamento che non sia di assoluto e conclamato disprezzo nei confronti del senatore Berlusconi. Ma se il riconoscimento del diritto di difesa anche al nostro avversario storico costituisce la scelta coerente di un partito che è democratico, allora piegarsi a quel sospetto o cavalcarlo è segno di fragilità e di inadeguatezza. Bisogna assumersi l’onere di spiegare con autorevolezza e umiltà agli iscritti, agli elettori, all’opinione pubblica perché riconoscere anche a Berlusconi il diritto di difendersi fa parte del carattere costitutivo del Pd e perché il Senato potrà decidere definitivamente solo dopo avere ascoltato e discusso quella difesa. E se Berlusconi dev’essere dichiarato decaduto dal Senato, come è probabile, questa dichiarazione deve avvenire nel rispetto delle forme del diritto, che sono la sostanza della legalità e della democrazia.
il Fatto 31.8.13
Violante. Scudo umano a Cogne
Aria frizzante di montagna. A Cogne, XVII Gran Paradiso Film festival, mancava solo Luciano Violante. Dibattito sulla Carta con il ministro Quagliariello e il giurista Valerio Onida, ma lui vuole spiegare perché non è vero che ha “sostenuto la tesi di Berlusconi” quando ha parlato del ricorso alla Consulta sulla legge Severino. Ha detto solo che è un’ipotesi. Il compostissimo pubblico si agita: “Evviva, un quarto grado di giudizio”. Lui insiste. Una signora sbotta: “In qualunque altro posto si sarebbe dimesso”. “Questo - risponde Violante - è un altro discorso. Vede signora, un giurista deve rispondere al principio di responsabilità, non a quello della convinzione. Io credo che un partito che si chiami democratico e che prima ancora di accolta le difese decide che Berlusconi è decaduto, contraddice il suo essere democratico. Sarebbe un segno di debolezza”. (St. Cas.)
L’Huffington Post 31.8.13
L'uomo che Cossiga chiamava con il nome del procuratore delle purghe staliniane insiste
Luciano Violante, dieci senatori del Pd: "Non si possono non considerare le ragioni di Berlusconi"
qui
Repubblica 31.3.13
Domani l’ex presidente della Camera chiamato a chiarire la sua posizione sulla opportunità di rivolgersi alla Consulta per il caso Berlusconi
E a Torino il Pd “processa” Violante salva-Caimano
di Sara Strippoli
TORINO — Luciano Violante va a processo a Torino. Domani pomeriggio, senatori, deputati, segretari di circolo in arrivo da tutto il Piemonte ascolteranno il chiarimento dell’ex-presidente della Camera, da giorni bersaglio di accuse e critiche da parte di chi ha accolto la sua proposta come un sofisticato escamotage salva-Caimano. Di fronte ad un potenziale, affollato tribunale che per timore di contestazioni si radunerà nella sede del Pd e non alla festa del partito, Violante spiegherà il suo lodo illustrato in un’intervista nei giorni scorsi: «Legittimo rivolgersi alla Consulta. Noi siamo una forzalegalitaria. La legalità comprende il diritto di difesa e impone di ascoltare le ragioni dell’accusato». Gli epiteti in casa democratica e nel resto del centrosinistra non si sono fatti attendere: «Traditore», «voltagabbana», «collaborazionista». Il dibattito è rimbalzato sui social network. Di qui l’iniziativa dei senatori piemontesi che saranno chiamati a votare. Una lettera inviata a tutti i dirigenti del partito con l’invito a partecipare: «Le parole di Violante hanno suscitato forti reazioni critiche nel nostro partito e nella sinistra — scrivono — . A prescindere dall’opinione che ciascuno di noi può avere sugli aspetti strettamente giuridici legati alla decadenza di Berlusconi, riteniamo necessario il confronto, anche aspro, con Luciano Violante».
L’ex-presidente della Camera dice di essere contento di avere questa opportunità e accetta l’invito: «Nessun tradimento di alcunché — dice secco — Ma un partito che vuol essere democratico deve garantire gli stessi diritti a tutti, avversari compresi». Aggiunge di non temere contestazioni e conferma la sua partecipazione per lunedì sera, quando alla festa parteciperà ad un dibattito con Stefano Fassina sul rapporto fra economia e istituzioni. Stefano Esposito, il senatore che ha promosso l’incontro spiega lo spirito che ha spinto i piemontesi a riaprire ildibattito: «È ora di finirla con questi atteggiamenti criptogrillini all’interno del nostro partito. Chi ha critiche da rivolgere è invitato ad illustrarle di persona». Solo tre i senatori che non hanno firmato la lettera, uno dei quali è il renziano Stefano Lepri: «Non riteniamo necessario un approfondimento con Violante», si limita a dire. Fra le voci più critiche l’onorevole ed ex-operaio Thyssen Antonio Boccuzzi: «Spero che lunedì, quando interverrà alla festa davanti alla gente del nostro partito Violante dica che la sua è un’opinione personale e che la posizione del partito è quella del segretario nazionale Epifani».
l’Unità 31.8.13
Financial Times: «Sull’Imu ha vinto il Cavaliere, ma ha perso l’Italia»
L’abolizione dell’Imu decisa dal Consiglio dei ministri di mercoledì, dopo non poche tensioni, avrebbe rappresentato «il trionfo della politica di corto respiro contro gli interessi di lungo periodo dell’Italia». A mettere nero su bianco la bocciatura senza mezzi termini del provvedimento è il Financial Times, in un duro editoriale dal titolo non meno esplicito: «Il cattivo accordo di Roma».
L’articolo non risparmia giudizi assai netti anche sulle prospettive politiche della maggioranza. «Letta scrive il quotidiano economico-finanziario ha comprato un po’ di tempo cedendo alla pressione del Pdl sulla tassa, introdotta dal governo tecnocratico
di Mario Monti nel 2011. Elezioni anticipate prima della prossima primavera sono ora improbabili. I mercati sono apparsi sollevati dal fatto che i fragili segni di stabilizzazione dell’economia non siano stati spazzati via da una nuova fase di incertezza politica».
Ma questa stabilità politica viene pagata a caro prezzo, prosegue il giornale, secondo il quale adesso sarà anche più difficile affrontare l’annoso e notorio problema dell’evasione fiscale: «Una tassa sul patrimonio è più difficile da evadere e presenta l’ulteriore vantaggio di non pesare sull’attività economica».
Insomma, secondo il Financial Times Letta potrebbe pentirsi del compromesso. Il suo stesso partito, prosegue il quotidiano finanziario, dovrà imporre «quella che si annuncia come un’impopolare tassa sui servizi pubblici anche se le elezioni si avvicinano», ma soprattutto «il bisogno di trovare nuove fonti di entrata renderà più arduo avviare riforme capaci di liberare il potenziale economico dell’Italia, ad esempio riducendo l’eccessivo carico fiscale sul lavoro».
La conclusione del ragionamento non lascia dunque spazio a molte sfumature, né a molte speranze. Secondo il quotidiano della City di Londra «il Cavaliere, come sempre, ha fatto una politica intelligente». Ma mentre «egli può rivendicare una vittoria sui suoi avversari, l’Italia è ancora una volta la sconfitta».
Corriere 31.8.13
Patto segreto tra le colombe per allungare i tempi
di Tommaso Labate
L’obiettivo di rinviare la scelta della Giunta in attesa della Corte d’appello di Milano
ROMA — «Care amiche, cari amici, care compagne, cari compagni. (...) Come a tutti noto, il 9 settembre la Giunta per le elezioni del Senato inizia a dibattere sulla questione della decadenza di Silvio Berlusconi. (...) Il Pd voterà la decadenza» ma — si legge qualche riga più tardi — «non si possono certo ignorare una serie di problematiche tecnico-giuridiche sulle quali è in corso un ampio dibattito che coinvolge autorevoli giuristi e costituzionalisti. Particolarmente rilevanti sono state le questioni sollevate da Luciano Violante in un’intervista al Corriere ...».
In cima alla lettera c’è il logo del Senato. E, come si capisce dall’incipit, i firmatari sono del Partito democratico. Di più, sono tutti i senatori del Pd eletti in Piemonte con l’esclusione del renziano Stefano Lepri, che non l’ha condivisa. C’è la firma di Stefano Esposito, che l’ha promossa. E, a seguire, quelle di Federico Fornaro, Vannino Chiti e dei loro colleghi Borioli, Ferrara, Fissore, Favero, Manassero, Zanoni, nonché quella del socialista Enrico Buemi, che è anche membro della giunta che deciderà sulla decadenza del Cavaliere.
È una lettera in difesa di Violante, che è stato invitato per domani pomeriggio a discutere del suo «lodo», che riguardava il possibile rinvio del «caso Berlusconi» alla Consulta, in un incontro pubblico nella sede del Pd di Torino. Ma è anche, implicitamente, «l’apertura» di un pezzo del Pd a un possibile allungamento dei tempi nella giunta. Soprattutto se riguardano un tema, come quello del possibile esame alla Consulta del tema della decadenza, «peraltro condiviso — si legge nel testo — da giuristi non certo imputabili di berlusconismo».
Accelerare verso il voto su Berlusconi oppure no? «Questo è un tema troppo serio per essere ignorato. E il Pd è una comunità che su queste cose ha il dovere di discutere», spiega Esposito. Che aggiunge: «A me non frega nulla che Civati o altri attacchino Violante su Twitter. Visto che sulla vicenda di Berlusconi è in corso una contesa su cui il fior fiore dei costituzionalisti sta dibattendo, io con Violante mi voglio confrontare...».
Sembra un piccolo tassello di un ingranaggio più sofisticato. E può anche essere il viatico per portare al vero obiettivo su cui una task force di «governisti» di Pdl e Pd sta lavorando da settimane. L’obiettivo è lo stesso su cui anche i ministri berlusconiani si sono soffermati nei loro colloqui riservati. E cioè evitare che la Giunta del Senato arrivi a votare la decadenza di Berlusconi prima dell’intervento della Corte d’appello di Milano, a cui la Cassazione ha rinviato la definizione della pena accessoria per il Cavaliere. Lo schema è molto semplice. Se i giudici di Milano definiscono l’interdizione dai pubblici uffici per l’ex premier prima che Palazzo Madama voti per la decadenza, a quel punto nessuno — nemmeno i falchi del Pdl — potrà minacciare rappresaglie sul Pd. Perché a decidere della perdita del titolo di senatore da parte del leader del centrodestra saranno stati i magistrati, non il Pd.
Di modi per guadagnare tempo ce ne sono. Alcuni, come il voto negativo rispetto alla relazione che il pidiellino Andrea Augello leggerà in Giunta il 9 settembre, sono addirittura automatici (anche perché, in caso di voto contrario, la Giunta deve nominare un nuovo relatore scelto tra i membri che avranno votato contro). Altri, come la «ricusazione» (virgolette d’obbligo) del presidente Dario Stefano, presuppongono lo scenario di una «guerra» a colpi di regolamento in cui il Pd non potrebbe far altro che affiancare Sel e Cinque Stelle. Per questo è il dibattito sul «lodo Violante» la strada migliore per prendere tempo. E Berlusconi deve essersene convinto se è vero, com’è vero, che dopo Ferragosto sembrava escludere la presentazione di memorie difensive che invece sono state annunciate.
Perché gliel’hanno detto o fatto capire in tanti, a Berlusconi. «Difenditi in Senato e non dal Senato». Alcuni di loro, casualmente, ieri erano in Val d’Aosta, a Cogne, al Gran Paradiso Film Festival. Come il ministro Gaetano Quagliariello, sicuro che i dubbi normativi sulla decadenza del Cavaliere «ci sono anche a sinistra». E come Luciano Violante, che ha sottolineato di «non sentirsi sotto processo» per l’idea del coinvolgimento della Consulta su cui è d’accordo anche un ex presidente della Corte come Valerio Onida, anch’egli ieri atteso a Cogne. I governisti trattengono il fiato ascoltando le ultime bordate del Cavaliere. C’è una clessidra in movimento. Se supera il 15 ottobre, si chiuderà l’ultima finestra elettorale. E se la Corte d’appello di Milano chiudesse la pratica della decadenza di Berlusconi prima che lo faccia il Senato, la maggioranza sarebbe ancora più al sicuro.
La Stampa 31.,8.13
Tensione nel M5S, lunedì la resa dei conti
Insulti a distanza tra “ortodossi” e “aperturisti” sull’appoggio a un Letta-bis e sull’obbedienza a Grillo
A Palazzo Madama sono circa dieci i senatori «dialoganti»
di Marco Bresolin
Gli «aperturisti» nel mirino dei grillini più ortodossi. L’ombra di una scissione che si fa sempre più pesante a Palazzo Madama, dove l’uscita di qualche senatore potrebbe risultare determinante nel caso in cui servisse una nuova maggioranza. Restano agitate le acque nel M5S alla vigilia della ripresa dei lavori d’Aula. Lunedì i parlamentari si riuniranno e si diranno in faccia tutto quello che si sono mandati a dire tramite social network in questi giorni. Ieri la scintilla di giornata è stata accesa dalla senatrice Laura Bottici, che ha mandato a quel paese quei «senatori del M5S che escono sui giornali affermando che sarebbero disposti ad appoggiare un governo Letta bis per fare la legge elettorale».
Non si è fatta attendere la replica del deputato Alessio Tacconi: «Esprimi il tuo punti di vista e ti mandano aff... Democrazia 2.0». Sulla stessa linea il senatore Francesco Campanella, considerato uno degli «aperturisti» e per questo nel mirino dei compagni di partito, che «vorrebbero che manifestassi obbedienza formale alle indicazioni date dal Blog, col quale identificano non solo il proprio sentire ma anche il proprio pensiero».
«Decide la base, non Beppe» Tra i senatori il clima è tesissimo e i grillini più ortodossi temono che, nel caso di una crisi di governo, qualcuno - a Palazzo Madama gli «inquieti» sono dieci - possa offrirsi come stampella per un nuovo esecutivo. Almeno per fare la legge elettorale, nonostante Grillo abbia detto di voler tornare alle urne con il Porcellum. «Non sono d’accordo con lui - spiega il senatore Fabrizio Bocchino l’attuale legge è indegna e bisogna cercare di cambiarla a tutti i costi». Anche appoggiando un nuovo governo?
Il dibattito è aperto e, sebbene pare difficile che un Letta-bis possa raccogliere qualche consenso tra i grillini, un esecutivo guidato da un’altra personalità non dispiacerebbe ai senatori meno integralisti. «Non possiamo dare la fiducia a chi non l’abbiamo data in passato - ragiona il senatore Francesco Molinari a proposito di un Letta bis - ma se la soluzione proposta fosse diversa, allora credo che sarebbe giusto consultare la base». Anche se Grillo fosse contrario? «Lui deve fare da megafono, la linea ce la dettano i nostri elettori». Nella piaga ci infila il dito Adriano Zaccagnini, passato al gruppo misto: «Chi ha il coraggio lasci, non faccia il criceto nella ruota».
Anche sul tema di giornata, la nomina dei senatori a vita, i più dialoganti mostrano apertura. E questo potrebbe essere già un segnale. «Si tratta di nomi di rilievo - ammette Mario Giarrusso, membro della Giunta che dovrà votare la decadenza di Berlusconi -, personalità molto apprezzate che sono almeno un paio di spanne sopra tanti senatori». Ma il campano Bartolomeo Pepe assicura che nessuno del M5S farà da stampella a un nuovo governo: «Il Pd non ci vuole perché siamo geneticamente diversi da loro. Vedrete, alla fine qualche senatore disposto a dare il voto lo troveranno nel Pdl».
Il Parmigiano alla diossina In questo clima, Beppe Grillo è riuscito a scatenare una nuova polemica. Ieri sul blog ha scritto un post piuttosto pessimista e arrabbiato («sono stanco di essere gandhiano») e oltre a prendere di mira la Service Tax, Napolitano, il Pdl e il sempreverde Pdmenoelle, si è scagliato contro il prosciutto e il formaggio di Parma. In poche righe è riuscito a mandare su tutte le furie gli agricoltori, Confindustria, il Consorzio del Prosciutto di Parma e quello del Parmigiano Reggiano. Oltre, ovviamente, al ministro delle Politiche Agricole, Nunzia De Girolamo: «Grillo è un incosciente».
Nel mirino del leader del M5S c’è l’inceneritore di Parma, acceso da pochi giorni nonostante l’opposizione del sindaco Federico Pizzarotti, e gli effetti che potrebbe avere sul «cibo avvelenato della Food Valley». Dice proprio così, Grillo, che si chiede: «Chi mangerà in futuro parmigiano e prosciutti imbottiti di diossina? ». Non certo uno spot per il cibo Made in Italy. Anzi, una sparata imprudente. «Attenzione, gli allarmismi si pagano» avverte Franco Verrascina, presidente della Confederazione produttori agricoli. Pizzarotti assicura «controlli sistematici per tutelare la salute delle persone e dei nostri prodotti», ma per il Consorzio del Parmigiano Reggiano le parole di Grillo sono «un atto di terrorismo».
Repubblica 31.8.13
In un anno 325mila disoccupati in più.
Il tasso tra i giovani risale al 39,5%
Il tasso di disoccupazione resta al 12 per cento, con una variazione nulla rispetto a giugno, ma sale dell'1,3% nel raffronto con il luglio 2012. Per la quarta volta consecutiva il dato tocca la soglia del 12 per cento
MILANO - Si arresta l'emorragia di posti di lavoro, anche se il raffronto con lo scorso anno traccia ancora un quadro allarmante per la situazione occupazionale dell'Italia. Con l'aggravante che le fasce giovani, che avevano recentemente mostrato segnali di riprsa, tornano a peggiorare. La disoccupazione a luglio si ferma al 12%, invariata rispetto a giugno (-0,033 punti percentuali), anche se resta in aumento su base annua, con un rialzo di 1,3 punti. Lo rileva l'Istat, che ha diffuso oggi i dati provvisori. Con luglio la disoccupazione tocca la soglia del 12% per la quarta volta consecutiva. Risale invece il tasso di disoccupazione giovanile, che sempre a luglio è pari al 39,5%. Secondo i dati provvisori aumenta così di 0,4% punti rispetto al mese precedente e di 4,3 punti sul 2012. Nel secondo trimestre tra i 15-24enni il tasso sale al 37,3% (+3,4 punti), con un picco del 51% per le giovani donne del Mezzogiorno. Quanto alle differenze di genere, invece, la disoccupazione rimane invariata nel confronto mensile per la componente maschile, mentre si riduce dello 0,7% per quella femminile. In termini tendenziali la disoccupazione cresce sia per gli uomini (+16,6%) sia per le donne (+6,5%).
l’Unità 31.8.13
Il viaggio di Barca riparte dall’ingiustizia sociale
L’ex ministro riprende il suo giro d’Italia partecipando a un convegno delle Acli aretine
La disuguaglianza tema dell’incontro con don Colmegna, amico di Carlo Maria Martini
di Rachele Gonnelli
AREZZO Nel cuore storico della Toscana riparte dopo le ferie il viaggio di Fabrizio Barca, che continuerà a battere paesi e città, tra circoli del Pd, Feste, incontri, eventi culturali, fino a metà ottobre.
La prima tappa è a Poppi, nello splendido castello medievale dei Conti Guidi che svetta sopra la pianura di Campaldino dove si fronteggiarono nella battaglia decisiva guelfi e ghibellini. Ammesso che quello scontro sia mai finito, ora l’occasione è di tutt’altro tipo: Fabrizio Barca è stato invitato, in qualitù di ex ministro per la Coesione territoriale, a parlare di povertà e diseguaglianze sociali. L’incontro, al quale partecipa anche don Virginio Colmegna già sacerdote di strada e prete-operaio nel ‘68, poi fondatore
della Casa della Carità a Milano e braccio destro di Carlo Maria Martini è organizzato dalle Acli di Arezzo. E il titolo è un programma, come spiegherà il presidente delle Acli aretine Enrico Fiori: «In un mondo per pochi non c’è spazio per nessuno». Non è una citazione dotta, è una frase letta su un muro di Atene. E il sottotitolo della festa itinerante è ancora più rilevante: «Per un cammino di lotta e di contemplazione». «Lotta pacifica, non violenta s’intende -e contemplazione mai passiva», precisa ancora Fiori che introduce il dibattito ricordando lo slogan di Occupy Wall Street «siamo il 99 per cento» e prosegue ricordando che in una società come la nostra dove il lavoro non c’è o è lavoro povero, precario, non è un caso se «la gente vota sempre di meno, perché l’accrescersi delle disuguaglianze mina le istituzioni democratiche e la partecipazione». È straniante sentirlo passare da una citazione di Enrico Berlinguer agli atti della predicazione di Gesù e sentirlo concludere «noi come orizzonte abbiamo il Vangelo e la Costituzione, in particolare l’articolo 3». Ma il moderatore, Gianni Verdi dell’emittente del Casentino Radio Italia 5, spiega che «a noi piace fare jazz», cioè improvvisare, non seguire schemi di dibattito preconfezionati. Ne viene fuori una armonia interessante da ascoltare, più di tanti talk show televisivi.
Succede che si parli di Imu, don Colmegna non esita a definire l’accordo trovato a livello governativo come il frutto «del monopolio di una cultura individualistica» e di salari che in Italia specifica Barca in media, come salari d’entrata nel mondo del lavoro sono 30 punti sotto la media europea, mentre il Pil è sette punti più sotto. Succede che si parli di «società dei desideri» dove la povertà non è solo una questione di reddito, ma ha molte dimensioni, è arretratezza culturale, è carenza di opportunità e di ricchezza sociale, e quindi di servizi, di istruzione di qualità, mancanza di riconoscimento e quindi di diritti, di voce, di citta-
dinanza. Nella Casa della Caritas milanese allora, fornendo le docce a chi dorme in macchina, si scopre che il problema non è più rifornire gli ospiti di vestiti puliti ma di prese e batterie per i telefonini. «La povertà assoluta non esiste, non esistono gli esclusi assoluti, l’esclusione sociale è una catena», dice lo statistico e l’economista Barca, un cappio che tende a stringersi, a cronicizzarsi, un processo in cui si perdono progressivamente le capacità di avanzamento, anche intellettive oltre che lavorative. Anche la crisi non solo produce esclusione sociale ma ne è il frutto e ricorda l’indebitamento del ceto medio americano per pagare i mutui-casa e gli studi dei figli come l’origine del ciclone. Ricorda come la forbice tra ricchi e poveri si sia così allargata negli ultimi trent’anni in Occidente che l’ineguaglianza nella distribuzione del reddito negli Usa è tornata pari a quella dei primi anni del secolo scorso. All’epoca però ci fu una reazione alla concentrazione del potere e della ricchezza, una reazione anche populistica contro la plutocrazia, che portò al roosveltismo. «E il capitalismo, che trae alimento dal conflitto, si rinnovò». Oggi, qui da noi, dice Colmegna esiste una ricchezza di reti solidali informali che fanno ancora da colante sociale. «Ma senza una intelligenza politica, una politica responsabile e votata anche come testimonanza al bane comune, questo collante sociale rischia di non tenere più e questa lacerazione comincia ad essere visibilie a Milano nel welfare familiare di assistenza agli anziani».
Due sono gli idoli polemici dei due oratori. Uno è la freddezza e l’individualismo spocchioso del mondo della cultura e dell’università verso il destino dei giovani e del Paese (Barca). L’altro è comune ai due ed è la retorica dell’assistenzialismo, del capitalismo benevolo e dell’emergenza, dei numeri esibiti senza nessuna risposta di fronte a problemi strutturali e complessi. Forse l’unica parola tralasciata in due ore di dibattito è solo la parola «conflitto».
l’Unità 31.8.13
Sinistra, non dimenticare
il buono che hai fatto nel ’900
di Marco Almagisti
LA SINISTRA È IN CRISI DI IDENTITÀ PER ECCESSO DI ACQUIESCENZA ALLO STATO DI COSE PRESENTI. Al contempo, lo stato delle cose peggiora anche perché la sinistra ha accettato di conformarsi alle narrazioni dominanti. Questa è la tesi di Tony Judt, lo storico inglese trapiantato negli Stati Uniti e qui deceduto nel 2010, secondo il quale molte delle crepe affiorate nelle democrazie contemporanee dipendono proprio dall’incapacità della sinistra di difendere la proprie buone ragioni. Già Sergio Luzzatto (Il Sole 24 ore, 5/7/2009) aveva evidenziato quanto la fecondità del contributo di Judt risultasse dalla sua contrapposizione rispetto alle narrazioni egemoni da più di trent’anni, orientate a identificare il Novecento solo con il suo «lato oscuro», quale secolo degli estremismi e dei totalitarismi. Una chiave interpretativa cosiffatta pone fatalmente in ombra i successi ottenuti dalle democrazie nella seconda metà del 900, assieme alle caratteristiche dei loro processi di consolidamento. Infatti, ci ricorda Judt, il Novecento è stato anche il secolo durante il quale si è cercato di ricostruire su basi più solide la democrazia attraverso la creazione dello Stato sociale e l’attuazione di politiche redistributive che ancorassero alla democrazia una consistente classe media. Leggendo gli ultimi libri di Judt, quali L’età dell’oblio (2009), Guasto è il mondo (2011), Lo Chalet della memoria (2011) e Novecento (2012, tutti editi in italiano da Laterza) emerge con chiarezza il nucleo vivente delle sue riflessioni.
Tony Judt appartiene a quel gruppo di studiosi molto diversi fra loro, tra cui Karl Polanyi, Hannah Arendt, Jürgen Habermas o Robert Putnam, che concordano sul fatto che: a) anche nelle società moderne, contraddistinte dall’economia di mercato, sia necessaria la produzione di risorse di integrazione senza le quali la vita associata diventa molto precaria; b) queste risorse integrative non possano essere prodotte dal mercato. Judt è molto efficace quando ricostruisce quanto la stessa riproducibilità delle economie di mercato nel secondo ’900 abbia tratto giovamento dalla regolazione politica e dalla fiducia sociale corroborata dalle politiche del welfare e come sia stato importante per le democrazie contenere gli effetti corrosivi della disuguaglianza e dell’esclusione. Non trova conferma empirica dopo il 1945 la tesi sostenuta dalla Scuola austriaca (Hayek, Von Mises), secondo cui ogni intervento dello Stato nell’economia avrebbe condotto alla privazione della libertà. Al contrario, sostiene Judt, il compromesso keynesiano fra democrazia politica, libertà economica e protezione sociale costruito attraverso il welfare ha moltiplicato le chance di vita delle persone in modo inedito nella storia. In questa prospettiva, il welfare non riguarda soltanto la politica economica, bensì costituisce una scelta di civiltà: grazie alle politiche del welfare, ad esempio, cessa la stigmatizzazione di chi non trova lavoro e lo status civico di una persona non dipende più dalla fortuna o dalla sfortuna economica. Come ha illustrato un altro intellettuale europeo trapiantato negli Usa, Giuseppe Di Palma (Viaggio nelle modernità, Rubbettino, 2011), l’effetto delle politiche di smantellamento del welfare è la privatizzazione del rischio sociale, che viene ritrasformato da questione pubblica a sventura privata. Non per caso, Judt si é volto specificamente allo studio della storia delle idee e degli intellettuali: grande viene considerata la loro responsabilità nel rinunciare a mettere in dubbio e sottoporre a verifica empirica le idee-guida della politica economica degli ultimi trent’anni. Mentre negli anni Quaranta socialdemocratici, liberali ed anche conservatori hanno trovato un punto di compromesso attorno allo Stato sociale keynesiano, dalla fine degli anni 70 la sinistra non è riuscita a contrapporre alla retorica neo-liberista, che vede nel welfare soprattutto un fattore di spreco, una narrativa alternativa che ne difendesse i fondamenti.
Questo è accaduto almeno in parte per un errore di valutazione diffuso all’interno della sinistra stessa, compresi i movimenti della «nuova sinistra», sorti dagli anni 60, che hanno considerato lo Stato sociale e le sue istituzioni quali condizioni naturali dell’esistenza, orientando la propria attenzione verso altre questioni, quali i bisogni post-materialisti o la riemersione di identità escluse dallo spazio pubblico. Tuttavia la stessa valorizzazione dell’identità (sia essa di genere, etnica o sessuale) proposta da molti di quei movimenti, secondo Judt, se non è accompagnata dalla costruzione di un orizzonte inclusivo e universalista rischia di favorire soluzioni particolaristiche anziché inibirle. Lo spauracchio di Judt sono le gated communities, diffuse negli Usa, il cui scopo principale è escludere «gli altri», sia che derivi, tale alterità, dal censo o, appunto, dall’identità. Secondo Judt, fenomeni quali la globalizzazione, gli attacchi terroristici o la perdurante crisi economica sono destinati ad incrementare le richieste di protezione sociale e se non saranno le istituzioni pubbliche a farsene carico si rischia la moltiplicazione di «comunità chiuse», con effetti drammatici sul tessuto sociale più ampio. Se vuole evitare tale deriva, questo il lascito di Judt, la sinistra deve riscoprire la propria voce e adattare alle sfide del nuovo secolo quanto di buono ha contribuito a costruire in quello precedente.
Corriere 31.8.13
Il prof e le ragazze, la ferita di Saluzzo
Il piccolo mondo ferito e il silenzio degli adulti
Il sindaco: ha abusato del suo potere, è indifendibile
di Aldo Cazzullo
Era dagli Anni 70, quando nell'antico carcere della Castiglia si succedevano evasioni e ammutinamenti, che nei caffè del centro non si vedevano tanti carabinieri e giornalisti. Allora le ragazze di Saluzzo andavano a dormire nel timore che entrasse in stanza un terrorista. «Ora devono guardarsi dal professor Valter Giordano» dice il cameriere. Ma non c'è niente da ridere.
Non c'è niente da ridere perché una vicenda che pareva un banale intreccio di provincia — «Sesso con le allieve in cambio di bei voti» diceva il primo titolo sui giornali locali — ha rivelato una catena di suicidi e una gioventù fragile, di cui ha approfittato un insegnante capace di esercitare il potere sulle anime, e forse non soltanto lui.
Tutto si sarebbero attesi i coltivatori della Val Bronda, i mobilieri della Val Varaita, gli avventori dei dodici bar dell'isola pedonale, tranne che la loro piccola patria diventasse la scena del caso dell'estate. Cominciata come una storia boccaccesca, e non sarebbe stata la prima: la decima novella della decima giornata del Decamerone racconta di Griselda, giovane popolana andata in sposa a Gualtieri, crudele marchese di Saluzzo, che la sottopone a ogni angheria. Quando il professor Giordano, 57 anni, insegnante di letteratura al liceo artistico, pedagogico e linguistico Soleri-Bertoni (700 iscritti), residente a Manta, è finito in carcere per i rapporti con due allieve all'epoca minorenni, in città si è scherzato sugli affreschi del castello che sovrasta la casa del professore: capolavoro del gotico internazionale, raffigurano la Fontana della Giovinezza, dove i vecchi si tuffano per uscirne corroborati all'inseguimento delle fanciulle. Ma poi Giordano è stato indagato anche per istigazione al suicidio. I carabinieri di Savigliano, città vicina e rivale, gli avevano messo le microspie in casa e il telefono sotto controllo, dopo aver scoperto che custodiva le lettere e il diario di Paola Vairoletti, fuggita di casa il 4 dicembre 2004, ritrovata tre giorni dopo in fondo al pozzo dell'acquedotto. Gli inquirenti scoprono così le storie tra il professore e le due allieve, scandite da una media di 88 e di 106 tra telefonate e sms al giorno. Spunta anche una foto, che gli vale l'accusa di pedopornografia. E si indaga su una catena di suicidi nella zona, cinque in sette anni: l'ultima, Kim, una minorenne, si è impiccata nell'aprile 2011 davanti a una fabbrica dismessa. Si ipotizzano collegamenti con l'inchiesta su una presunta setta satanica. Di certo, finora, c'è solo il silenzio spaventato di un mondo piccolo, e la debolezza di adolescenti impauriti, irretiti da Internet, talora plagiati da una personalità dal fascino malevolo.
Molti allievi sono intervenuti su Facebook e hanno mandato lettere ai giornali e all'insegnante. Tutte in suo favore. Scrivono i ragazzi della III E: «Noi ci siamo, e vedrà che quest'anno la nostra Coppa Intercontinentale sarà nel rivedere il suo sorriso e nel risentirci dire che siamo ndaré cuma la cua del crin», indietro come la coda del maiale. Scrive il giudice per le indagini preliminari: «L'indagato attribuisce al soddisfacimento degli istinti sessuali un'importanza fondamentale». Sostengono le ragazze della VB, anno 2008-2009: «V.G. è il professore che chiunque vorrebbe avere. Quando spiegava Dante o Foscolo lui era lì, all'Inferno, nel girone dei traditori con il conte Ugolino, a piangere per la miseria e la disperazione di un essere umano lasciato solo a compiere miserabili atti, ed era anche a Firenze, nella chiesa di Santa Croce, ad ammirare le tombe dei Grandi...». Si legge nell'ordinanza di custodia cautelare: il professore «approfitta delle loro condizioni di inferiorità psichica per indurle ad atti sessuali, il prezzo per mantenere l'interesse dell'uomo che rappresenta ai loro occhi una figura di riferimento fondamentale».
Lo difende il figlio Erich. Lo difende l'ex moglie. Lo difende la preside del liceo. Lo difendono i colleghi: «Vogliamo testimoniare a Valter la nostra amicizia davanti a tutta l'opinione pubblica saluzzese e nazionale, vista la rilevanza che è stata data a questo caso, quasi non ci fossero fatti più gravi cui dedicare molte pagine dei quotidiani italiani...». Non lo accusa Vanna Vairoletti, madre di Paola, la ragazza suicida: «Il professore è così stimato che è quasi impossibile anche solo metterlo in discussione». Ma ogni giorno porta la sua cattiva notizia, spuntano altre due fidanzate almeno loro maggiorenni, si scopre che Giordano è stato bloccato dai passanti mentre tentava di gettarsi dal ponte, che forse anche lui da giovane ha subìto un abuso sessuale. Ora l'hanno portato in collina, in una comunità di recupero per tossicodipendenti. Una delle vittime fa sapere che si costituirà parte civile. L'altra rifiuta: «Io del mio professore ero innamorata».
Saluzzo d'inverno è invasa dai settecento aspiranti artisti e pedagoghi, e d'estate da settecento emigrati dal Mali venuti nella speranza di raccogliere la frutta. C'è lavoro solo per duecento, i primi sono qui da marzo, al tramonto le strade tra i filari sono percorse da neri in bicicletta che fanno su e giù per vedere se si è liberato un posto. I ragazzi di Saluzzo sono tutti in centro per l'aperitivo. Ovviamente si parla della «brutta storia». La commessa del negozio di biancheria intima fa presente che le ragazzine spesso provocano: «Sapeste cosa si comprano...». In Duomo, il celebrante evoca nell'omelia il vangelo secondo Marco, «in cui viene sacrificato un uomo, il Battista, per il capriccio di una giovane, Salomé», poi invoca il santo patrono, che si festeggia la prossima settimana: «Preghiamo perché san Chiaffredo protegga la nostra città dalle notizie funeste».
Anche la giunta, convocata per la questione degli emigrati del Mali, finisce ovviamente per discutere del professore. «Mi fa male che nessuna voce si sia levata in difesa delle ragazze — dice Alida Anelli, l'assessore alle politiche giovanili —. Si tenta piuttosto di scoprirne l'identità, per indicarle e potersi dare di gomito. Ma quale storia d'amore! Nelle intercettazioni, le allieve danno del lei all'insegnante, anche nell'intimità. Erano in soggezione. Sono loro, e soltanto loro, le vittime». Il vicesindaco, Fulvia Artusio, spiega che il professore è collega di suo marito, e nessuno in effetti si era accorto di nulla. L'assessore alla Cultura, Roberto Pignatta, è avvocato, dice che ormai il quadro è chiaro, e Giordano è indifendibile. «Infatti noi non lo difendiamo — sostiene il sindaco, Paolo Alemanno, medico internista —. Un professore non si giudica da come declama Dante, ma dal rispetto che porta agli allievi. È come noi dottori: se restiamo troppo distanti non si crea il transfert, che serve a guarire; ma se ci avviciniamo troppo si rischia il plagio». Una volontà che si impone, una personalità dominante che fa valere la sua forza su altre più deboli. «Ma non criminalizziamo un'intera scuola: il satanismo è una bufala. I ragazzi del liceo collaborano con don Ciotti, aiutano i carcerati, portano spettacoli in giro per l'Italia. E Saluzzo non è omertosa. È ferita. E stanca».
Saluzzo è una di quelle cittadine che hanno scelto di restare piccole, il tribunale costruito accanto al foro boario perché solo lì potevano insorgere questioni, badando a far passare il più lontano possibile l'autostrada per Torino, città infida di comunisti e di meridionali, «Milano affarista e remota, Roma a distanze africane» come ha scritto Giorgio Bocca, che su queste vallate fu partigiano. Saluzzo però si pensa come una capitale, lo fu del resto per secoli, c'è ancora la reggia rinascimentale dei marchesi, la città alta è uno dei posti più belli d'Italia, quindi del mondo. La chiamano la Siena del Nord: non si sente provincia di Cuneo, semmai è Cuneo provincia di Saluzzo. Città di nomi illustri o comunque famosi, Giovanni Battista Bodoni e Flavio Briatore — «ma lui è di Verzuolo!» dicono gli assessori in coro: la giunta è di sinistra —, Silvio Pellico, l'olimpionico Damilano ricordato con una statua a Scarnafigi, e il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa «che alla sua stessa vita eroicamente antepose l'amore per la legalità», com'è scritto sui muri del Comune. Quando due detenuti della Castiglia presero le guardie in ostaggio, il generale intervenne di persona e fece chiudere il carcere, che ora ospita mostre di arte contemporanea. Assicura il sindaco che la città è sana e la gioventù salda, e comunque l'Inferno può essere ovunque, e il male si nasconde sempre dove meno te l'aspetti. Si fa vivo un altro gruppo di ex allievi di Giordano: «Lui ama col cuore, come se fosse un padre, il nostro secondo papà. Noi, questo amore di padre, lo ricambiamo come figli adottivi». Concludono le ragazze della VB: «Sappia che noi, nonostante tutto, le saremo vicine sempre, o, come piacerebbe a lei, finché il sole risplenderà su le sciagure umane».
Repubblica 31.8.13
Cicerone e Sofocle, addio fascino al liceo classico crollano gli iscritti
Al Dante di Firenze matricole dimezzate in un anno
di Laura Montanari
FIRENZE SULLA facciata della villa, in basso rispetto alla scritta “Liceo classico Dante”, un pezzo di intonaco giallo si è staccato e sotto si vedono i mattoni. Certe crepe sembrano una bandiera dei tempi. Da 80 a 38 studenti iscritti alle classi prime. Quasi un precipizio per questo che è stato uno dei licei più antichi d’Italia.
FREQUENTATO in passato anche da Giovanni Pascoli e in tempi più recenti da Paolo Hendel, Piero Pelù, dallo stesso sindaco Matteo Renzi e da generazioni di allievi diventati avvocati, politici, imprenditori, docenti universitari.
Fondato nel 1853 in una Firenze governata dal Granduca Leopoldo II, è stata la prima scuola superiore laica della Toscana. La crisi del Dante è comune ad altri licei classici alle prese con una generale carestia di “vocazioni”. In sette anni gli iscritti sono passati dal 10 al 6,1 per cento, sottolineando il disamore delle nuove generazioni per Sofocle, Tacito, Cicerone: è come se la cultura umanistica negli anni 2.0 avesse perso appeal. «Le palestre culturali che un tempo erano il greco e il latino — spiega Giovanni Biondi, presidente dell’Indire, l’istituto del Miur che si occupa di innovazione e ricerca — sono rappresentate oggi da altri saperi: tecnici, scientifici, digitali». Si è anche molto allargato il ventaglio delle scelte nei licei. Domenico De Martino, filologo, responsabile delle pubblicazioni dell’Accademia della Crusca, suggerisce di guardare il cambiamento in positivo: «È ovvio che la tendenza sia verso la tecnica, la scienza, l’economia, con qualifiche che appaiono più spendibili sul mercato, ma chi resta al classico sarà più motivato. Ai miei tempi (era il 1965) l’insegnante ci diceva: sarete la futura classe dirigente, c’era l’idea che la classe dirigente dovesse sapere il greco e illatino». Ora i nativi digitali preferiscono gli scientifici, i linguistici e i tecnici, scelgono una formazione più attenta al contemporaneo e ogni anno, quando si fa la conta, i classici si ritrovano un segno meno davanti. Un’emorragia che si accanisce sulla stessa ferita: «È difficile fermare un’involuzione che è in corso da quasi dieci anni» ammette Donatella Frilli, diventata preside reggente del liceo Dante due anni fa, quando la blasonata scuola fiorentina ha perso l’autonomia proprio a causa del numero troppo basso di iscritti. «L’idea della Provincia di aggiungere l’indirizzo musicale ha forse peggiorato le cose — ipotizza — ora è come se in città fosse percepito come un liceo spurio». Eppure 30 anni fa da quelle parti le sezioni esaurivano i trequarti delle lettere dell’alfabeto, oggi la quarta ginnasio non va oltre la B.
«Forse la fama di scuola molto rigida che ha sempre accompagnato il Dante ha finito per penalizzarlo» spiega Mario Primicerio, ex allievo e predecessore di Renzi a Palazzo Vecchio. Curiosamente due dei tre ultimi sindaci hanno studiato nelle aule di questo liceo ospitato in una villa ottocentesca piena di arredi d’epoca, erbari antichi, vetrine con impolverate collezioni scientifiche. Il Dante è storia e memoria: «Concordo sul fatto che la fama che lo ritrae come un liceo di élite sia diventata un macigno — dice l’ex rettore Paolo Blasi — ma sbaglia il genitore che tenta di risparmiare al figlio una scuola impegnativa. Ritengo poi la campagna portata avanti dalle istituzioni in favore degli studi professionali, additati come gli unici in grado di fornire gli strumenti per ottenere un lavoro sicuro, non abbia giovato ai classici».
Ha un ricordo nitido delle famigerate versioni dal greco al latino l’attore Paolo Hendel: «A furia di sbattere il libro contro il muro per l’orrore che mi facevano quegli esercizi avevo le pagine tutte consumate». Ciascuno si porta addosso i ricordi di quel tempo in aula. Il rocker Piero Pelù, “ex allievo dell’inferno dantista”, la rabbia: «Il sogno di un ragazzo nel 2013 è partire da una città morta come Firenze che non offre nulla e non spaccarsi la schiena sulle declinazioni». Più crepuscolare l’attore Paolo Poli: «Eravamo in giacca e cravatta, ma io ero povero e in classe tolleravano che in primavera indossassi soltanto il pullover. Ho imparato lì la passione per la conoscenza». Il Dante è stato pure una palestra di conservatorismo, qui nel 1860 fu ammesso il futuro ministro Sidney Sonnino, e «nell’immaginario collettivo è sempre stato un liceo di destra — racconta l’attore David Riondino — però è una leggenda che va sfatata, anche noi facevamo un gran casino e ricordo che un temutissimo prof di greco nel Sessantotto non capiva le “distrazioni” di noi ragazzi...».
Corriere 31.8.13
«Noi israeliani e palestinesi uniti dal rock, insieme in tour»
I due gruppi metal: sfidiamo la guerra con la nostra musica
di Irene Soave
Hanno molto in comune: capelli lunghi, barbe folte, magliette nere. E fanno la stessa musica: metal con venature folk. Ma gli Orphaned Land, considerati fondatori dell’oriental metal con all’attivo 22 anni insieme e 7 dischi in ebraico e inglese, fanno base a Gerusalemme; i Khalas, più giovani, sono arabi e vivono ad Acri, a nord di Haifa. Le due band, israeliana e palestinese, sono in partenza per il loro primo tour insieme: 18 concerti in tutta Europa, che gireranno a bordo dello stesso pulmino, arrivando in Italia per due date a ottobre, rispettivamente il 22 a Roma e il 23 a Romagnano Sesia (Novara). «Il messaggio è semplice: siamo sul palco insieme. Suoniamo insieme. Andiamo a tempo, si spera», ride Kobi Farhi, leader degli Orphaned Land. «Il messaggio è: si può fare. Solo chi ci comanda non lo vuole. La guerra conviene a tutti i nostri politici, che basano il loro potere su sfumature, opinioni, equilibri che in pace non esisterebbero. Servirebbe un leader disinteressato come Gandhi o Mandela».
In Israele gli Orphaned Land sono il gruppo metal più famoso, e hanno un discreto seguito — censura permettendo — anche nei Paesi arabi: «In quasi tutti, con il nostro passaporto israeliano, non possiamo esibirci — continua Farhi — e i nostri dischi non sono distribuiti. Ma nel nostro primo live in Turchia, pochi mesi fa, dal pubblico spuntavano bandiere iraniane, tunisine, egiziane, siriane. E naturalmente palestinesi». Viceversa i Khalas suonano spesso a Gerusalemme o a Tel Aviv, e i loro pezzi passano alla radio israeliana. Proprio lì, nel 2005, i due gruppi si sono incontrati. «Dietro le quinte, ospiti dello stesso programma. Da lì ci siamo piaciuti, non so come dire — racconta il chitarrista e fondatore dei Khalas, Abed Hathut —. Siamo diventati amici: i nostri figli giocano insieme, parliamo di tutto e litighiamo solo per chi paga al ristorante. Ecco quanto è facile».
La «coesistenza pacifica» di musicisti israeliani e palestinesi su un palco ha un precedente autorevole: la West Eastern Divan Orchestra di Daniel Barenboim, che dal 1998 riunisce in una formazione sinfonica giovani musicisti dei due Paesi. Ma il metal è tradizionalmente un genere più aggressivo (quando non addirittura esplicitamente razzista, come alcuni gruppi di black metal). «Che vuol dire? Ci sono metallari vegetariani e band come i Black Sabbath che staccano la testa ai pipistrelli in scena», protesta Farhi. «Il nostro modello sono i Rage against the machine, antisistema come noi. Che cantiamo solo di politica, mai fatto una canzone d’amore; ma non prendiamo le parti, non sosteniamo una linea, come fece Roger Waters che suonava in Israele al grido di “Abbattete il muro”. Io non ho mai votato nella mia vita. Credo però nella pace». Meno duri e puri sono invece i Khalas (il cui nome, comunque, significa «basta»): il loro ultimo album, in arabo, è una collezione di musiche da matrimonio, anche se «da 15 anni suoniamo insieme, e siamo sempre stati piuttosto impegnati», spiega Hathut. «Però non è che si può cantare solo dell’occupazione, come certo pubblico pretende da noi. Ci danno dei filoisraeliani tutti i santi giorni, solo perché dopo quindici anni di musica da trincea abbiamo fatto un album sentimentale. E dall’annuncio di questo tour la nostra pagina Facebook è stata assaltata. Per questo ci terrei a dire che questo tour non è un progetto politico. Al contrario, è un progetto sovrapolitico: la musica è al di sopra, si eleva. E ci eleva, facendoci scordare gli estremismi».
Repubblica 31.8.13
Godetevi l’eterno ritorno della fine delle vacanze
Una riflessione filosofico-umoristica nel segno di Nietzsche per affrontare il rientro al lavoro
di Maurizio Ferraris
Il 14 agosto 1881, dall’Engadina Nietzsche scrive all’ex allievo Peter Gast dicendo di aver subito un profondo rivolgimento spirituale, a seguito di una visione apparsagli all’inizio del mese a Silvaplana. Visto che il mondo non è infinito, ma il tempo lo è, tutto è destinato a ripetersi eternamente. Era una visione antica, cara agli orientali e ai greci, e avversata dai cristiani perché (come spiega Agostino nellaCittà di Dio) in questo caso il sacrificio della croce si trasformerebbe in una specie di commedia che si ripete ciclicamente, una sorta diJesus Christ Superstar. C’è tuttavia un senso in cui, se non l’eterno ritorno, almeno la conseguenza che Nietzsche ne traeva, ossia l’amor fati,è una considerazione di un buon senso tutt’altro che abissale. A Silvaplana ho letto anni fa, sulla soglia di una casa (queste iscrizioni sono un uso del luogo) il seguente motto in retoromanzo: “Tieu destin tü poust amer e perfin sch’el es amer”.
Mi ha fatto sorridere vedere l’amor fatifare irruzione nel panorama, e nella colloquialità del dialetto. Bisogna amare il proprio destino, anche se è amaro, scrive il valligiano. E passi.
Ma perché sarebbe un conforto pensare che questo destino si ripeterà eternamente, come suggerisce Zarathustra, e che dunque si ripeterà eternamente la coda alle poste? Anche a non essere profondi come Zarathustra non è difficile pensare che la ripetizione rende insopportabili anche i bei momenti (come diceva Woody Allen, se Natale tornerà eternamente vuol dire che dovremo vedere in eternoHoliday on Ice?),figuriamoci i cattivi. Dunque, cosa c’è di consolante, se per esempio uno ha perso il bancomat, nel pensare che lo perderà eternamente, dovrà fare eternamente la denuncia di smarrimento, per l’eternità gli arriverà a casa quando non c’è e dunque eternamente dovrà fare la codaalle poste di cui sopra?
Come spesso accade, una soluzione la si può trovare provando a mettersi nei panni di una persona molto triste, cosa particolarmente facile il primo settembre, data ufficiale della fine psicologica dell’estate. C’è poco da ridere, e i sentimenti dominanti sono, da una parte, il “nevermore”, il “mai più” di Poe: le belle giornate, le vacanze mitizzate, sono finite, scomparse. Dall’altra, lo “immer wieder”, il sempre-di-nuovo di Husserl: torna il lavoro, tornerà Natale, e poi l’attesa delle altre vacanze, e intanto se ci va bene potremo perdere il bancomat, ma ovviamente potrebbe succederci di tutto e di molto peggio.
Bene, è qui che scatta la consolazione dell’eterno ritorno. L’effimero, il mai più, non è affatto tale, ritornerà sino alla fine dei tempi, dunque bando alle malinconie. E quanto al“sempre-di-nuovo”, è squallido se riferito a ciclicità limitate, come riprendere per la ventesima volta il proprio posto in ufficio (i privilegiati che lo hanno) ma diventa iperbolico se riferito a ciclicità infinite, per le quali anche espressioni come “contratto a progetto” prendono il sapore dell’eternità. Pensare, di fronte alla macchinetta del caffè, che ci si è stati miliardi di volte e che la scena si ripeterà in eterno conferisce una particolare solennità all’evento. Soprattutto, il caso scompare definitivamente dalla vita: ognuno di noi è, come scrive di sé Nietzsche inEcce homo, “una fatalità”. Non penseremo più di aver fatto le scelte sbagliate, e che le eventuali scelte giuste si sono impantanate nella modernità liquida. L’eterno ritorno ci insegnerà che non potevamo agire altrimenti e che la modernità non è affatto liquida, anzi, è solida come uno strato di roccia.
Quanto poi al caso specifico del ritorno dalle vacanze, mettersi nella prospettiva di un eterno ritorno dalle vacanze ha un vantaggio supplementare che è stato notato a suo tempo da Gilles Deleuze. Quando si torna dalle vacanze si è disperatamente pieni di buoni propositi, che vanno dalla dieta all’acquisizione di una miracolosa efficienza. Questi propositi naufragano nella prima settimana e ci consegnano alla desolazione. Ora, notava Deleuze, il pigro è tale perché si ripromette che domani lavorerà, ma un pigro che volesse eternamente il proprio far niente non sarebbe un pigro, subirebbe una trasvalutazione di tutti i valori. Così anche per le diete e l’efficienza: colui che dicesse che, oggi e per sempre, in una eternità di tempi e in una ciclicità di mondi, non si metterà a dieta e non sarà mai efficiente non si rivelerà, dal punto di vista pratico, diverso dagli altri, più speranzosi ma che alla fine abdicano, ma dal punto di vista spirituale sarà illuminato non meno di Zarathustra.
Corriere 31.8.13
Arte, filosofia e scienze umane Il Festival della Mente è nel vivo
Lo scrittore e critico letterario Emanuele Trevi presenterà oggi il suo libro Il viaggio iniziatico (in uscita il 5 settembre) al Festival della Mente di Sarzana. L'appuntamento
è al Chiostro di San Francesco alle 15.30. Tra gli altri incontri previsti per oggi alla manifestazione, quello con Jonathan Coe e Massimo Cirri sul senso dell'umorismo (sempre al Chiostro, alle 10.30) e quello con il filosofo francese Bernard-Henri Lévy, che terrà una lezionesu arte e filosofia alla Sala Del Canale Lunense, alle 17.