venerdì 25 novembre 2005

Cominciassero ad avere paura...?
Corriere della Sera 25.11.05
«Fisichella inopportuno su Casini Così si legittima l’anticlericalismo»
«Il centro cattolico? Per carità, l’unità è sui valori, evitiamo di ripetere un errore già vissuto»
Gian Guido Vecchi

«Torna con insistenza una concezione della cristianità che il Concilio ci aveva fatto superare, l’idea della Chiesa difesa da uno Stato che ne tutela i valori. Ma noi dovremmo essere difesi solo dalla parola di Dio...». Monsignor Giuseppe Casale, arcivescovo emerito di Foggia, considera la «benedizione» del vescovo Rino Fisichella a Pier Ferdinando Casini e sospira:
«Mi pare un’uscita assai discutibile e inopportuna, specie perché fatta da un vescovo autorevole, in una sede come l’Università Lateranense, alla presenza del cardinale Ruini...».
Ma perché monsignor Fisichella non potrebbe dire la sua?
«Credo che un vescovo possa e debba dire la sua sui grandi principi, sugli orientamenti che seguono la dottrina, ci mancherebbe. Ma se diciamo che la Chiesa è fuori dalla contesa politica dobbiamo essere coerenti, non possiamo fare panegirici pubblici di un esponente di parte. Tra l’altro non era il momento, il presidente Casini ha appena lasciato il gruppo misto per tornare al suo partito e indicarlo a modello è strano. Così sembra la presentazione di un eventuale leader cattolico che appartiene all’Udc ed è alleato con la destra».
C’è chi pensa invece a una nostalgia per il centro cattolico, che ne dice?
«Per carità, i cattolici devono essere sì uniti, ma sui valori. Si è scelto il bipolarismo, evitiamo di ripetere i guai compromissori del centro, gli equilibrismi, la politica dei due forni, è un errore che per ragioni storiche abbiamo già vissuto, ora basta».
Ma lei, eccellenza, come si spiega l’«interventismo» dei vescovi?
«Secondo me, nasce dalla fine della Dc e dalla debolezza del laicato cattolico, con le associazioni ridotte a un’obbedienza ossequiosa alle gerarchie, senza libertà di parola. Così i vescovi tendono a colmare il vuoto in modo indebito e fanno un’opera di supplenza che sta diventando eccessiva e pericolosa».
E dove sta il pericolo?
«Nasce l’intesa fra socialisti e radicali, vengono messi in discussione il Concordato e l’otto per mille, non è evidente? L’interventismo dei vescovi riaccende e legittima un anticlericalismo che ora è minoritario ma potrebbe accrescersi e diventare minaccioso. Tra l’altro è un interventismo limitato ad alcuni valori e non ad altri».
Tipo?
«Se è importante difendere la vita nascente, lo è altrettanto occuparsi dei bimbi che muoiono di fame o non hanno casa né scuola, della giustizia sociale, della pace...».
Che cosa dovrebbe fare, la Chiesa?
«Recuperare il suo ruolo profetico. L’intervento dei vescovi è paterno, misericordioso, in nessun modo può tentare di imporre orientamenti o scelte politiche concrete. Io imploro una Chiesa che aiuti la coscienza delle persone a decidere nella serenità di un esame illuminato dalla parola di Dio. La Chiesa, insomma, dovrebbe preoccuparsi meno delle leggi, la vita o la salvezza del matrimonio non possono essere affidate a delle leggi».
Ma non è che la Chiesa si fa sentire perché teme che il cristianesimo, oggi, possa essere ridotto all’insignificanza?
«Sì, c’è una sorta di ritirata nelle trincee dell’Occidente, la paura di qualcosa di nuovo che scompigli l’ordine costituito. Peccato che quell’ordine sia andato all’aria da tempo: non dobbiamo chiuderci in una cittadella cristiana, ma metterci nelle vie del mondo a proclamare il Vangelo».

cominciassero...?
Corriere della Sera 25.11.05
Cei e partiti, la difficoltà di trovare la misura giusta
Si parla di imbarazzo di Ruini dopo i complimenti di mons. Fisichella a Casini
Massimo Franco

Di reazioni ufficiali non c’è nemmeno l’ombra. E, ieri, i due interlocutori principali dei vescovi nel centrodestra, Silvio Berlusconi e Pier Ferdinando Casini, si sono incontrati alla Camera. Ma l’eco dei complimenti, tributati al presidente dell’assemblea di Montecitorio da monsignor Rino Fisichella, è rimbalzata nei palazzi della Cei. E non sarebbe stata un’eco di plauso per il Rettore dell’Università Lateranense: tutt’altro. Raccontano che il presidente della Conferenza episcopale abbia assistito alla cerimonia di mercoledì con un’aria lievemente distaccata. Niente di polemico, anche perché Ruini era stato informato ed era d’accordo sull’invito a Casini. Ma sembra che alla fine il capo della Cei abbia colto, nei discorsi che sono stati fatti, toni un po’ sopra le righe. Come se nell’offerta del leader dell’Udc di essere il referente-principe della Chiesa italiana, e nella legittimazione datagli da Fisichella, fosse affiorato qualcosa di eccessivo; e, comunque, di troppo coinvolgente per una Cei che formalmente rifiuta qualsiasi scelta fra gli schieramenti politici: tanto più alla vigilia di una campagna elettorale che, nelle parole dette ieri da Berlusconi, «si deciderà per un pugno di voti». Non solo. L’idea di vescovi, che danno investiture a un partito e a un leader, contraddice la strategia perseguita in modo pignolo negli ultimi anni.
Il peana di Fisichella ha dato implicitamente ragione alle componenti dell’Unione, socialisti e radicali in testa, che accusano la Cei di ingerenza. E ha creato imbarazzo in un episcopato che sta cercando di non farsi schiacciare sul fronte berlusconiano; e non ha risparmiato critiche alla riforma costituzionale federalista: un attacco che ieri il settimanale Famiglia Cristiana ha rilanciato e fatto proprio. «E’ triste che Famiglia Cristiana disinformi i suoi lettori» ha reagito stizzito Carlo Giovanardi, ministro dell’Udc, il partito di Casini. Ma si tratta di una polemica significativa dopo l’incontro dell’altroieri.
Dice che sulle scelte politiche non c’è compattezza nel mondo cattolico; e neppure su alcuni temi-chiave. Oltre tutto, in questa fase, la Cei sta registrando con prudenza ma con soddisfazione i toni più distesi usati dai Ds verso la Chiesa: come se a sinistra si cominciasse a valutare più a fondo il significato della sconfitta nel referendum di giugno sulla fecondazione assistita. Lo stesso segretario di Rifondazione Comunista, Fausto Bertinotti, attacca Ruini ma nega di essere mai stato anticlericale. E la polemica sull’abolizione del Concordato, riproposta a freddo dal socialista Enrico Boselli, è stata lasciata cadere dal resto dell’opposizione. Sembra un inizio di tregua che si vorrebbe far durare fino a primavera.
Se è vero che, come sostiene Berlusconi, maggioranza e centrosinistra sarebbero più o meno intorno al 48 per cento, un interventismo della Cei verrebbe considerato particolarmente inopportuno. Ma la sensazione è che i vescovi tendano non tanto a porsi il problema di come parlare con il sistema politico italiano, ma di come quest’ultimo percepisce la Cei: se un’«alleata etica», che su certi temi interviene come un gruppo di pressione con interessi dichiarati; oppure un interlocutore che proprio per questo risulta scomodo, e viene tacciato di interferenza nelle questioni politiche. Non è un dosaggio facile: né per i partiti, né per l’organizzazione di Ruini. In fondo, l’episodio della Lateranense conferma che tutti faticano a trovare la misura giusta.

scienza e stregoneria
ricevuto da Barbara De Luca
Repubblica 25.11.05
L'appello del Papa agli studenti dell'Università Cattolica. "Proseguire nell'impegno per superare in modo naturale l'infertilità umana"
"Tenere insieme fede e scienza
un'avventura entusiasmante"

Città del Vaticano - Le università cattoliche debbono "fare scienza nell'orizzonte di una razionalità vera, diversa da quella oggi ampiamente dominante, secondo una ragione aperta al trascendente, a Dio". E' l'invito di Benedetto XVI, che in occasione dell'apertura dell'anno accademico dell'università Cattolica ha detto che "nel 2000" è "un'avventura entusiasmante" quella di "coniugare fede e scienza".
Il Papa è arrivato al Policlinico Gemelli di Roma accolto da una folla di giovani che lo ha lungamente applaudito all'ingresso nell'auditorium.
Il Papa ha spiegato che "è venuto affermandosi in modo sempre più esclusivo quello della dimostrabilità mediante l'esperimento. Le questioni fondamentali dell'uomo, come vivere e come morire, appaiono così escluse dall'ambito della razionalità e sono lasciate alla sfera della soggettività". "Di conseguenza - ha aggiunto Ratzinger - scompare, alla fine, la questione che ha dato origine all'università, la questione del vero e del bene, per essere sostituita dalla questione della fattibilità. Ecco allora la grande sfida delle Università cattoliche: fare scienza nell'orizzonte di una razionalità diversa da quella oggi ampiamente dominante, secondo una ragione aperta al trascendente, a Dio.
Benedetto XVI ha poi detto di avere particolarmente "a cuore" l'Istituto Scientifico Internazionale Paolo VI di ricerca sulla fertilità e infertilità umana per una procreazione responsabile. "L'istituto - ha aggiunto - nato per rispondere all'appello lanciato da Paolo VI nell'enciclica Humanae vitae, si propone di dare una base scientifica sicura sia alla regolazione naturale della fertilità umana che all'impegno di superare in modo naturale l'eventuale infertilità".

postdemocristiani
Corriere della Sera 25.11.05
Finanziamenti, in rivolta i «cespugli» del centrosinistra
Programma della lista unitaria
Rispunta l’asse Fassino-Rutelli
Intesa su liberalizzazioni e soggetto unitario
R. Zuc.

ROMA - L’intesa. È partita dal faccia a faccia Fassino-Rutelli di mercoledì scorso, ma ora procede con un’accelerazione che potrebbe portare a un vero asse ulivista all’interno dell’Unione, targato Ds e Margherita. La controprova sta nell’irritazione crescente dei partiti minori del centrosinistra, ieri quasi in rivolta sul problema dei finanziamenti della campagna prodiana e, soprattutto, sulla loro sorte al Senato. Là dove la riforma elettorale rischia di penalizzarli seriamente.
PROGRAMMA RIFORMISTA - Fatto sta che, per la prima volta in modo esplicito, la sintonia si basa su alcuni contenuti del programma, per lo più riformista, con il quale la lista unitaria vuole andare alle prossime Politiche. E che quindi rappresentano un forte messaggio, diretto in primo luogo a Romano Prodi, che il programma dovrà scriverlo. I punti di accordo emergono in modo chiaro dal Forum con il leader diessino, apparso su Europa , il quotidiano della Margherita. Fassino afferma che l’Italia ha «bisogno di forti processi di liberalizzazione» e sottolinea che «si tratta di uno dei punti di reale condivisione tra Ds e Margherita, fra i più importanti in termini strategici e una delle cose che rendono plausibile l’idea che possiamo costruire un soggetto politico insieme». Idea che, tradotta, vuol dire soprattutto due battaglie: «L’Italia ha bisogno contemporaneamente di più Stato e più mercato, due dimensioni storicamente conflittuali nella sinistra, ma che ora dobbiamo invece pensare come complementari».
Tutti temi cari anche alla Margherita. E a Francesco Rutelli, che domani aprirà, alla presenza dello stesso Fassino, il Big Talk programmatico della Margherita a Milano, una due giorni con la partecipazione di politici, imprenditori, rappresentanti del mondo accademico e dei sindacati. Fra i temi in discussione: ricerca, «convergenza tra Nord e Sud», famiglia e welfare.
Per ribadire che con i diellini i Ds intendono andare al di là della lista unitaria, Piero Fassino sceglie di rilanciare l’Ulivo anche in una riunione interna del partito, all’hotel Minerva: «Serve a risolvere la mancanza di una forza che dia la solidità necessaria alla coalizione». Si tratta «di un problema politico, non organizzativo». E Rutelli, da Bologna, avverte tutta l’Unione: «A me sta a cuore che la coalizione sia di centro-sinistra e non di sinistra-centro».
RIVOLTA DEI «CESPUGLI» - L’asse tra Ds e Margherita crea però fibrillazione nei partiti minori che la compongono. L’Udeur, forza concentrata in alcune Regioni, annuncia che al Senato si presenterà da sola in alcune circoscrizioni (certamente in Campania) e all’estero. Ma ieri l’incontro dell’Unione non è riuscito a trovare un accordo globale ed è stato aggiornato alla prossima settimana. Proprio perché partiti come il Pdci, i Verdi e lo Sdi hanno contestato a Ds e Margherita una posizione «troppo trionfalistica». L’obiettivo è quello di non disperdere i voti. Si pensa quindi, per il Senato, a soluzioni differenziate a seconda delle Regioni. Con il Prc che potrebbe anche presentarsi da solo in Toscana, dove sta sopra l’8% (tetto minimo per i non coalizzati). Senza contare le contestazioni sull’uso dei simboli dell’Unione e dell’Ulivo. Ma la protesta dei «cespugli» riguarda anche il finanziamento della campagna di Prodi. Perché, si fa notare, una cosa sono Ds e Margherita, un’altra i partiti più piccoli «che non possono sobbarcarsi anche questo sacrificio».

postedemocristiani
Corriere della Sera 25.11.05
Partito democratico, arriva il tandem di Francesco e Walter

ROMA - (fra. ver.) Il 30 novembre Francesco Rutelli e Walter Veltroni si ritroveranno l’uno accanto all’altro a parlare dell’Italia che verrà. Non è la prima volta che partecipano insieme a un convegno, e dunque l’evento non rappresenterebbe una novità, se non fosse che a organizzare l’incontro è stato il centro studi «Idee», f ondato e guidato da Roberto Cassola, ex senatore socialista oggi vicino alla Margherita. E teorico del partito democratico in Italia. E il partito democratico è proprio l’obiettivo che unisce il leader dei Dl e il sindaco di Roma, impegnati in una battaglia tanto suggestiva quanto difficile. Accanto a loro prenderanno posto il presidente delle Acli Luigi Bobba e Carlo De Benedetti, a cui stanno a cuore il progetto della nuova forza politica e i due leader. Per Rutelli si spese addirittura di persona, quando nei mesi scorsi il capo della Margherita attraversò l’Atlantico per incontrare i Democratici americani e George Soros. Il finanziere americano ricevette una lettera di presentazione dall’imprenditore italiano, che accreditava l’ex sindaco della Capitale come «un giovane politico di sicuro avvenire». Su cui puntare. Il dibattito colpisce dunque per il parterre degli invitati. E anche per le assenze. Nel programma non è previsto un intervento di Romano Prodi, manca Piero Fassino, non si ha notizia della presenza di Massimo D’Alema. Tutto ciò è quanto meno strano, visto che proprio in questi giorni si parla di un riavvicinamento tra Ds e Margherita, e sembra che tra le due forze politiche sia «scoppiata la pace». A discutere sulle sfide da affrontare nel XXI secolo, sulla capacità di saper costruire un’Italia nuova, in grado di coniugare competitività e solidarietà, sono stati chiamati l’editorialista del Corriere Ernesto Galli della Loggia e il direttore del Riformista Antonio Polito. L’iniziativa ha un obiettivo manifesto: produrre «idee per il partito democratico», ed è perciò proiettata nel futuro, come a prefigurare una stagione successiva all’attuale. Rutelli e Veltroni, guarda caso, sono considerati come i possibili protagonisti del ricambio generazionale, insieme guardano a un modello politico nuovo, a un partito nuovo, che non sia la sommatoria delle forze esistenti. È tutto da vedere se riusciranno nell’impresa, ma è tale la loro determinazione che, tempo fa, Rutelli smentì così una presunta polemica con il suo successore al Campidoglio: «Nessuno riuscirà a farmi litigare con Walter. Insieme costruiremo il partito democratico». Sarà solo un convegno, ma per come è stato organizzato è già un evento.

scuola e papisti
Corriere della Sera 24.11.05
Istituti secondari
Decreto sull’ora di religione La Cgil diffida il governo

ROMA - La Flc-Cgil ha dato mandato al proprio studio legale di diffidare il Consiglio dei ministri, perché modifichi con urgenza la parte del Decreto legislativo sulla scuola secondaria nella quale si rende, di fatto, obbligatoria la scelta fra l’insegnamento della religione cattolica o di un'attività alternativa. Secondo il sindacato, l’ora di religione (o di attività alternativa) viene collocata nel decreto fra gli «insegnamenti obbligatori». In questo modo, secondo la Cgil, si nega la possibilità di non scegliere una delle due opzioni.

cocaina eccetera
Corriere della Sera 25.11.05
Il rapporto europeo: allarme tra i giovani
Consumo di spinelli e cocaina L’Italia ha superato l’Olanda
Alessandra Arachi

ROMA - Ci crederete? Ci fumiamo più spinelli noi qui in Italia che in Olanda. Davvero: si arrotolano più cartine con dentro marijuana all’ombra del Cupolone che tra i fumi dei coffee shop di Amsterdam. Ebbene sì: è crollata la leggenda della trasgressione olandese. Lo svela, semplicemente, la relazione annuale dell’Agenzia europea per le droghe di Lisbona. È stata presentata ieri a Bruxelles. E ci dice che con circa il 13% di persone che fumano spinelli l’Italia si è piazzata al settimo posto per il consumo degli spinelli tra i giovani (intendendo un’età compresa tra i 15 e i 34 anni) superando il consumo di cannabis in Olanda e arrivando quasi a pari merito con quello della Danimarca. Non era mai successo.
Bisogna capire: quando si intende consumo di cannabis si intende, per la maggior parte, un consumo occasionale. Basta guardare i dati contenuti nella relazione europea: ci dicono che la cannabis è la sostanza stupefacente più diffusa in Europa, visto che oltre il 20% dichiara di averne fatto uso almeno una volta nella vita. Ma se si calcola il consumo nell’ultimo anno, la percentuale crolla al 6% e diminuisce ancora fino al 4% se si calcola chi abbia fumato una canna soltanto nell’ultimo mese.
«La nostra popolazione giovanile è particolarmente vulnerabile agli effetti negativi della cannabis», sostiene Andrea Fantoma, dirigente del Dipartimento nazionale antidroga. E aggiunge: «Da qui si vede tanto più rafforzata l’urgenza di perseguire politiche che tengano conto dei danni alla salute che provocano queste sostanza».
Opposto il parere di Guido Blumir, sociologo esperto in materia e autore di molti saggi sulla cannabis. Dice, infatti: «Questo consumo è il risultato del proibizionismo dilagante. Infatti in Olanda dove si può trovare la marijuana negli Internet point l’uso continua progressivamente a diminuire».
Ma non ci siamo limitati agli spinelli. La relazione dell’Agenzia di Lisbona segnala che quest’anno l’Italia ha superato l’Olanda anche nel consumo della cocaina, piazzandosi a un drammatico terzo posto per la polvere bianca, subito dopo la Gran Bretagna e la Spagna. Un allarme vero e proprio, quello della cocaina per il nostro Paese: a «tirare» sono più di due giovani su 100 in età compresa tra i 15 e i 34 anni.
«Perché oggi in Italia il prezzo della cocaina si è abbassato in maniera drastica, arrivando tranquillamente alle tasche dei più giovani», sostiene Guido Blumir. E garantisce: «Fino a poco fa il costo della cocaina si aggirava tra i 100 e 150 euro al grammo. Oggi è arrivato sotto gli 80 euro. Ma di più: oggi è possibile trovare piccole dosi, anche frazioni di grammo, così che un giovane può mettersi in tasca della polvere bianca con appena 20-30 euro».

fame nel mondo
Corriere della Sera 25.11.05
Geldof: «Italia ultima negli aiuti all’Africa»
Roma, l’organizzatore di Live 8 davanti ai premi Nobel. Il governo: il G7 ci ha affidato il dossier povertà
Andrea Garibaldi

ROMA - Il cantante e il sindaco contro Berlusconi, Letta, Tremonti. Tema: gli aiuti italiani all’Africa. Dice il primo cittadino di Roma Walter Veltroni che l'Africa morente dovrebbe stare tutti i giorni sulle prime pagine di tutti i giornali e ieri in Campidoglio Bob Geldof, rockstar e organizzatore di Live Aid e di Live 8 ha detto che «l'Italia è il Paese meno generoso con quel continente e questa è una vergogna». Geldof, in un vistoso gessato grigio, ha proseguito: «Chiedo alla classe politica italiana di destra e di sinistra e a Berlusconi, Letta e Tremonti di cambiare questa situazione». A Geldof risponde a distanza Alberto Michelini, celebre giornalista Rai, da quattro anni «rappresentante personale del presidente del Consiglio per l'Africa nel G8»: «Geldof è mio amico, ma semplifica, come molti altri. Certo, l'Italia è ultima o penultima come percentuale di versamenti, ma nessun presidente del Consiglio potrebbe oggi togliere al Sud per dare aiuti allo sviluppo del mondo. Il problema però è mettere l'Africa nelle condizioni di autosvilupparsi. E noi facciamo moltissimo: joint venture s fra imprenditori italiani e africani, addestramento delle forze di sicurezza, informatizzazione, nuovi ospedali. A Geldof direi: entra in un governo e lavora davvero per l'Africa. E a Veltroni, che è pure mio amico, direi che non basta aprire quattro pozzi o una scuola....». Il ministro Tremonti, dalla Slovacchia, aggiunge: «Se fosse vero ciò che dice Geldof non mi avrebbero affidato per il prossimo G7 di Londra il settore vaccini e povertà nel mondo».
Geldof, assieme al premier britannico Tony Blair, è l'uomo della «Commission for Africa», che ha premuto sull'ultimo G8 di Gleneagles. Risultato, 25 miliardi di dollari l'anno in aiuti dall'Occidente verso l'Africa, più 55 miliardi di dollari di sgravio del debito. E ieri è stato nominato «Man for Peace 2005», davanti a una platea di premi Nobel per la pace, riuniti nella sala della Protomoteca del Comune di Roma per il loro sesto summit. Accanto a Geldof silente e con una nuvola di capelli rossi oltre la stempiatura c'era il collega Sting.
Perché l'Africa dovrebbe avere spazio ogni giorno in prima pagina? Il sindaco Veltroni ha fornito alcune cifre: nel 2005 un milione di africani morti in conflitti dimenticati, 120 milioni di bambini che non sanno cosa sia un’aula scolastica, 5 milioni di nuovi casi di Aids. Le ricette, dice, sono ormai chiare. Ad esempio, nuove regole negli scambi commerciali, abbattimento delle barriere doganali: «Un aumento della quota africana del commercio mondiale produrrebbe un vantaggio di oltre 70 miliardi di dollari, tre volte l'aumento degli aiuti concordati a Gleneagles». Per quanto riguarda gli aiuti allo sviluppo, l'Italia, dice Veltroni, era già in fondo alla classifica con lo 0,17% del Prodotto interno lordo e ora rischia, con i tagli di questa finanziaria, di precipitare allo 0,12%. «La conferenza di Monterrey - ribatte Alberto Michelini - fissò l'obiettivo dello 0,7% del Pil entro il 2015. Io spero che arriveremo allo 0,51 entro il 2010. Ricordo sempre, tuttavia, le parole che mi ha detto il presidente sudafricano Mbeki: il nostro problema è imparare a spendere i soldi». E Tremonti: «Cifre non ne so, sono qui in mezzo alla neve. Ricordo solo che, durante un seminario Aspen, Geldof diede un’intervista contro il governo italiano. Poi gli chiesi un autografo per i miei figli e lui scrisse: avete un padre fantastico con una cravatta bellissima...».
Il summit dei Nobel quest’anno è dedicato interamente all’Africa. Gorbaciov, Walesa, Rigoberta Menchú, Pérez Esquivel possono soltanto gridare appelli. Ma il momento è importante, perché arrivano segnali di inversione: nell'ultimo decennio sedici Paesi sub-sahariani sono cresciuti più del 4%.

Bertinotti /1
Apcom 25.11.05
Quirinale
Bertinotti: sul Colle un pacifista
Prc: "il desiderio di D'Alema è logico, anche se non piace a Prodi e Ds"

Roma, 25 nov. (Apcom) - Il successore di Carlo Azeglio Ciampi al Quirinale deve essere un pacifista. Lo sostiene il segretario del Prc Fausto Bertinotti in una conversazione con Rina Gagliardi riportata in un commento della giornalista sulla prima pagina di Liberazione. Sul Colle, "una volta si doveva alternare un laico e un cattolico, e non si trattava di una idea così peregrina - dice Bertinotti - Oggi però la discriminante vera non passa più tra mondo cattolico e mondo laico: passa principalmente tra pace e guerra. Perciò la nomina di un presidente disponibile a non consentire che il nostro paese sia di nuovo trascinato in avventure belliche o in aggressioni ad altri paesi sarebbe una vera svolta".
Nell'articolo, Gagliardi passa in rassegna i nomi che circolano sul dopo-Ciampi, sostenendo innanzitutto che "il primo candidato effettivo" alla successione di Ciampi rimane "Ciampi", dopo che Fini ha aperto il dibattito e nonostante che lo stesso Capo dello Stato abbia cercato di chiudere la discussione.
Ma un altro nome cui Gagliardi dedica spazio (oltre ad Amato e Mancino, soltanto accennati) è quello di Massimo D'Alema, definito "candidabile" al Colle dallo stesso Bertinotti nei giorni scorsi. "A dire il vero" D'Alema "è candidato a molte cose - puntualizza Gagliardi - il Quirinale, la presidenza della Camera, un ministero di serie A (la politica estera)".
Comunque, il "desiderio" del presidente della Quercia di finire al Colle "appare molto logico", si legge. "D'Alema ha ormai alle spalle un cursus honorum di prima grandezza, compresa la presidenza del Consiglio: è logico che preferisca un ruolo istituzionale a uno di governo". Anche se questa opzione, conclude, potrebbe non piacere "né a Romano Prodi né a Piero Fassino".

Bertinotti /2
l'Unità 25.11.05
Fassino- Bertinotti:
su Israele la sinistra ha due anime

ROMA «In Medio Oriente non sono in conflitto un torto e una ragione, ma due ragioni: quella di Israele a vivere sicuro e quella Palestinese di veder riconosciuto il suo diritto ad avere una patria...Per una parte della sinistra c’è invece una ragione, quella palestinese, e un torto, quello israeliano». Piero Fassino, segretario dei Ds, non pecca certo di reticenza nel suo intervento a un dibattito su Israele, organizzato al palazzo dell’Informazione dell’Adn Kronos dall’associazione «Amici di Israele». Un confronto serrato tra le varie anime della sinistra è quello che si sviluppa nella tavola rotonda che vede come maggiori protagonisti Fassini e il segretario di Rifondazione comunista Fausto Bertinotti. Il leader della Quercia sottolinea come alla formula «due popli, due Stati», vada aggiunta la postilla «democratici», spiega Fassino: «è una questione preioritaria. Si tratta di un tema che non può essere subordinato al relativismo culturale, a ragioni etniche o religiose. Io penso che la democrazia non si esporta con le armi, per questo sono contrario alla guerra in Iraq, ma serve una strategia per la democrazia e i diritti». Bertinotti lo interrompe: «se la dittatura è in uno Stato grande (la Cina, ndr.) il problema non si pone...». Fassino non ci sta: «per me è lo stesso, e penso che la questione non sia più eludibile. Democrazia e diritti devono essere riconosciuti in tutto il mondo». «Con lo Stato di Israele - insiste Bertinotti - si è creata uan simmetria, per cui a un popolo si è dato uno Stato e un altro si è trovato privato della possibilità di costruirlo». Queste osservazioni non piacciono a una parte del pubblico e il leader di Rifondazione replica così: «non nego l’emergere di pericolose pulsioni antisemite, ma quello che nego è che criticare le posizioni del governo di Israele sia antisemita».

Bertinotti /3
Adnkronos 25.11.05
Medio Oriente
Bertinotti: l'Europa non ha una soggettività politica propria

Roma, 24 nov. (Adnkronos) - ''Nel processo di pace in Medio Oriente l'Europa politica ha assunto posizioni eque ma prive di forza e di iniziativa politica non solo perche' non e' autorevole per una delle parti in causa, come ha sottolineato anche Fassino, ma anche perche' e' priva di soggettivita' politica propria''. Lo afferma Fausto Bertinotti, segretario di Prc, durante la tavola rotonda del seminario 'La sinistra e Israele' in corso al Palazzo dell'Informazione dell'ADNKRONOS

Bertinotti /4
Agi 24.11.05
Stato-Chiesa
Bertinotti: mai stato anticlericale

"Io non sono mai stato anticlericale, appartengo ad una generazione che ha sempre avuto altre priorità nella sua vita politica". A ribadirlo è stato il segretario del Prc Fausto Bertinotti ai margini di un convegno promosso dalla 'Sinistra per Israele'. "Vedo - ha proseguito l'esponente comunista - qualche propensione clericale e qualche contropiede anticlericale: proporrei di cominciare a rimuovere le cause per affrontare serenamente le discussioni sul futuro del paese in una convivenza laica di tutte le fedi religiose e non religiose". (AGI)

i cassaniani
il manifesto 25.11.05
TOPAMAX
Condannata psichiatra
t.t.

Si è chiuso con una condanna a sei mesi di reclusione per lesioni volontarie, commutata poi dal giudice Andrea Buzzegoli in una pena pecuniaria di 6.840 euro, il procedimento ai danni della psichiatra Donatella Marazziti in corso presso il tribunale di Monsummano Terme (Pt). La psichiatra, braccio destro dei medici Cassano (il «padre» dell'elettroshock) e Masi (direttore dell'istituto neuropsichiatrico infantile Stella Maris), era finita sul banco degli imputati per aver prescritto nel 1999, ad una bambina obesa 12enne, un farmaco antiepilettico allora sperimentale (il Topamax). Le indagini erano partite cinque anni fa da una precisa accusa della madre, che denunciò come il farmaco in questione avesse procurato alla figlia (che anziché dimagrire ha continuato ad ingrassare) gravi danni di natura fisica e psicologica. «C'è una giustizia anche per i più deboli», ha dichiarato dopo la sentenza la madre della bambina, che ha dedicato la vittoria a Chiara Baldassarri di Report, che aveva scoperto il caso. «Spero che nessuna mamma debba più assistere a sperimentazioni sui propri figli».

Gazzetta del Sud 25.11.05
Psichiatra condannata per antiepilettico a obesa minorenne

PISTOIA – Con una sentenza che ha pochi precedenti in Italia, un magistrato ha dichiarato la responsabilità penale di un medico non per un comportamento colposo riconducibile a imprudenza, imperizia o negligenza, ma ravvisando gli estremi del dolo. È accaduto al Tribunale di Pistoia, dove il giudice Alessandro Buzzegoli ha condannato a sei mesi di reclusione (con i benefici di legge) Donatella Marazziti, nota neuropsichiatra dell'Università di Pisa, dichiarandola colpevole di lesioni personali volontarie nei riguardi di una minorenne. La vicenda giudiziaria risale alla seconda metà del 1999, quando la neuropsichiatra prescrisse alla ragazza, che allora aveva 13 anni, per la cura dell'obesità, un farmaco antiepilettico che avrebbe dovuto far calare di peso la paziente. Secondo l'accusa, la terapia fu avviata senza adeguata informazione e senza espresso consenso dei genitori; ebbe, inoltre – sempre secondo l'imputazione – carattere sperimentale, con dosaggi superiori a quelli consentiti. Avviata la terapia, la giovane paziente ebbe uno stato di malattia caratterizzato da sonnolenza, incubi, emicrania, depressione, eccitabilità e anche un episodio di allucinazione. (l.g.)

Crepet il pettinato
Aprileonline.info
Lo psichiatra diventa un gadget

Paolo Crepet, il volto televisivo della psichiatria, ha un curriculum di tutto rispetto. E' stato allievo, tra i prediletti, di Franco Basaglia, il padre della psichiatria italiana che ha legato il suo nome alla battaglia per la chiusura dei manicomi e all'antipsichiatria tradizionale. Ha pure una lunga esperienza all'estero alle spalle, oltre a vari volumi pubblicati su temi assai interessanti come l'adolescenza o il mestiere di genitore. Infine, fino a poco tempo fa, eravamo soliti ascoltarlo con interesse in convegni e tavole rotonde.
Da qualche tempo, però, Crepet sembra recitare il suo ruolo a soggetto. Complice Bruno Vespa e il suo "Porta a Porta", che concorre con il "Maurizio Costanzo Show" in quanto a lancio di nuovi talenti, il professor Crepet è diventato ospite fisso – come l'opinionista Barbara Palombelli – della seconda serata televisiva. La consacrazione, se la memoria non c'inganna, è venuta con il "delitto di Cogne", quando Crepet è stato invitato per un innumerevole numero di puntate che hanno contribuito a risvegliare la morbosità popolare intorno a un drammatico fatto di cronaca (puntate tuttora in corso, grazie al processo d'appello iniziato da qualche giorno e per il quale c'è gente che fa tardi la notte per riscuotere il ticket che dà diritto a entrare l'indomani nell'aula del tribunale). Ma non c'è evento – dall'Isola dei famosi di Simona Ventura ad altri – dove il nostro professore non assolva al ruolo dell'ospite di riguardo e un po' intellettuale.
Ora c'è una nuova consacrazione. "Donna Moderna", settimanale femminile, ha deciso di offrire come gadget alle proprie lettrici alcuni libri di Crepet. Per reclamizzare l'offerta, davanti a molte edicole ci sono dei manifesti-giganti che ritraggono il professore in varie pose: da quelle pensose e intellettuali, a quelle più ammiccanti da bel tenebroso che ormai – dopo aver domato l'occhio delle telecamere – sa impadronirsi anche dell'obbiettivo facendo sfoggio delle sue qualità telegeniche.
Ci sarebbe poi qualcosa da aggiungere anche sul vezzo di Crepet di non indossare quasi mai delle giacche, preferendo maglioni colorati e di cachemire. Ma qui entreremmo nella vanità del personaggio che è libero di vestirsi come gli pare, anche se questo vezzo ha contribuito astutamente a farne un personaggio televisivo (le stucchevoli battutine di Vespa a proposito fanno scuola).
Che bisogna fare qualcosa di particolare per bucare lo schermo, Crepet deve inoltre averlo imparato non solo sui manuali di psichiatria ma osservando attentamente il comportamento di Vittorio Sgarbi. Come altro spiegare quel passarsi continuamente la mano tra i capelli, quasi a voler imitare il gesto abituale che proprio Sgarbi compie appena gliene viene data l'occasione? A tutto merito dello psichiatra, a differenza di quanto fa il critico d'arte prestato alla Camera dei deputati, va però il fatto che lui non urla mai, non è mai sopra le righe: preferisce ragionare e, qualche volta, dire delle banalità con l'aria assorta di chi dice cose fondamentali.
Il successo, come dice l'antico detto, può dare alla testa. Forse questo è il caso. Non sappiamo cosa può trasformare uno stimato e autorevole psichiatria in un gadget di "Porta a Porta" o "Donna Moderna"? Denaro, fama, riconoscibilità per strada o dal fruttivendolo come capita agli anchorman? Un po' tutte queste cose insieme.

depressione e delfini
Adnkronos 25.11.05
Dopo il 'trial' alcuni volontari hanno persino interrotto l'assunzione di antidepressivi
'Delfino-terapia' contro la depressione
Studio dell'Università di Leicester: nuotare con questi mammiferi produce effetti benefici per le emozioni che suscitano negli esseri umani

Roma, 25 nov. (Adnkronos /Ign) - Una vasca piena di delfini pronti a giocare e nuotare con il paziente? Un nuovo metodo alternativo per combattere la depressione. Non piu' solo farmaci e sedute dallo psicologo quindi, da oggi la 'delfino-terapia' viene sempre più utilizzata contro il 'male oscuro' e nuotare con i mammiferi si è dimostrato un rimedio quasi infallibile nel trattamento della malattia.
Lo dimostra un recente studio promosso dai ricercatori dell'università di Leicester (Gb) in Honduras, pubblicato sul British Medical Journal. Durante il trial sono state esaminate 15 persone depresse che si sottoponevano a regolari sessioni di 'delfino-terapia', confrontate con altre 15 che nuotavano nella stessa vasca, ma non interagivano con gli animali. Nel primo gruppo è stata riscontrata una sensibile diminuzione dei sintomi di depressione e, per almeno quattro settimane dopo il trattamento, i volontari hanno persino interrotto l'assunzione di antidepressivi e le sedute di psicoterapia.
Per due settimane - si legge nel report dello studio - metà dei volontari ha nuotato con i delfini per un'ora al giorno. L'altra metà invece nuotava senza interagire con gli animali. Sono stati i primi, al termine dello studio, a riportare i benefici maggiori. Il miglioramento, secondo i ricercatori è dovuto alle emozioni che i mammiferi suscitano nelle persone con cui interagiscono. Anche gli ultrasuoni che i delfini emettono nell'acqua probabilmente hanno un ruolo benefico sull'umore. ''I delfini sono estremamente intelligenti - ha spiegato il ricercatore inglese Michael Reveley - e sono capaci di interazioni complesse, in più sono molto curiosi nei confronti degli umani".
Molti pazienti che hanno problemi nei rapporti sociali trovano giovamento nel contatto con altri esseri viventi. ''Il cervello di uomini e delfini ha lo stesso sistema di funzionamento - sottolinea Lain Ryrie, ricercatore del Mental Health Foundation - e questo gioca un ruolo chiave nella regolazione dei processi fisiologici e psicologici del corpo. Il contatto emozionale e fisico, inoltre, è una necessità per i mammiferi, poichè stimola proprio questo sistema. Tutti i generi di 'pet-therapy' - conclude quindi Ryrie - si sono dimostrati un aiuto concreto contro i sintomi della depressione, ma anche contro l'iperattività nei bambini e le demenze negli anziani''.

mamma
Il Gazzettino 25.11.05
Il folle omicida chiede della madre

«Se è vero che l'ho fatto, anche se non credo di esserne capace, chiedo scusa ai familiari della ragazza e a mia madre»: lo ha detto Emiliano Santangelo nel corso dell'interrogatorio di garanzia di ieri.Il 32enne di Torino è in carcere per aver accoltellato a morte la giovane operaia di Cossato, Deborah Rizzato.
I legali chiederanno una perizia psichiatrica.
Ieri, nel corso dell'incontro con gli avvocati, è parso molto agitato, lo sguardo perso nel vuoto. Ha raccontato di essere malato e del suo ricovero al reparto psichiatrico dell'ospedale di San Maurizio Canavese per un problema di personalità multipla e stato depressivo. Lo stesso problema per il quale, dal 1997, è tato in cura presso il Centro di igiene mentale di Ivrea.
Anche il referto medico dopo l'omicidio e il verbale degli agenti della polizia municipale parlano di crisi delirante.
Dopo l'incidente è stato fermato nella sua fuga senza una meta e ha detto agli agenti di essere nato a Cogne: «Sono il cugino di Annamaria Franzoni» ha continuato a ripetere in preda al delirio.
Intanto l'autopsia ha stabilito la morte da choc emorragico causato da più colpi d'arma bianca, quella usata da Emiliano Santangelo.

varesenews.it 25.11.05
Varese - Al De Filippi un incontro per affrontare il delicato tema del suicidio
Allarme suicidi, il Centro Gulliver si mobilita

A parlare è uno studio dell'Azienda sanitaria locale: tra il 1996 e il 2003 nella Provincia di Varese si sono verificati 445 suicidi. Tanti, troppi per una provincia di 814.055 abitanti: un dato allarmante che ha spinto don Michele Barban, presidente del Centro Gulliver (il centro che da anni si impegna nel recupero dei tossicodipendenti), a organizzare per la giornata di domani, 15 novembre il convegno "Suicidio: imputabilità, rischio e prevenzione", al centro congressi De Filippi.
Una giornata intensa, che si aprirà alle 9 e si concluderà alle 17.30, cui parteciperanno numerosi esperti per discutere del drammatico problema, analizzandone cause e proponendo soluzioni: tra i relatori psichiatri come Claudio Mencacci, Fabio Banfi (direttore sanitario dell'Asl di Varese) e Giovanni Fusco, ma anche avvocati e magistrati. Sarà presente anche Attilio Fontana, presidente del Consiglio regionale della Lombardia. Un incontro per muoversi insieme nel delicato cammino della prevenzione, che non può assolutamente prescindere da un'analisi seria del disagio sociale, soprattutto legato all'assunzione di stupefacenti tra i giovani.
http://www.gulliver-va.it/convegno1.htm

Yahoo!salute 25.11.05
Violenza domestica sulle donne, come un'epidemia
A cura de Il Pensiero Scientifico Editore

Per le violenze subite tra le mura domestiche dalle donne non vi sono confini geografici, né distinzioni di censo, educazione e razza. In questo campo le donne hanno pari "diritti". I risultati di uno studio su scala globale mostrano come la violenza domestica sia diffusa equamente in tutto il mondo, con implicazioni serie per salute delle donne. Ma nonostante ciò resta un fenomeno sommerso. Sono numerose le evidenze provenienti dagli Stati Uniti e dal Canada che mostrano come la violenza da parte dei partner sia un importante fattore di rischio per determinati problemi di salute.
Il World Health Organisation Study on Women’s Health and Domestic Violence against Women, uno studio su scala globale condotto in collaborazione con la London School of Hygiene & Tropical Medicine, il Program for Appropriate Technology in Health (PATH) e le ONG e le organizzazioni per i diritti delle donne, estende al resto del mondo il problema dimostrando che le violenze subite all'interno della mura domestiche hanno un pattern e una diffusione simile nei paesi industrializzati e non.
Lo studio ha intervistato 24.000 donne in età riproduttiva in 15 città di 10 Paesi: Bangladesh, Brasile, Etiopia, Giappone, Perù, Namibia, Samoa, Serbia e Montenegro, Tailandia e Repubblica Unita di Tanzania. Ha rilevato che una quota tra il 15 e il 71 per cento delle donne che hanno avuto una relazione nella vita ha subito maltrattamenti fisici e psichici da parte del partner. Più della metà delle violenze fisiche documentate sono state qualificate come "gravi". Per circa la metà delle intervistate le violenze erano ancora in atto negli ultimi 12 mesi. La violenza subita dal partner è risultata la forma più comune di violenza subita dalle donne nella loro vita. "Si dimostra come la violenza domestica sia diffusa ovunque, sebbene con percentuali variabili tra i diversi ambienti", dichiara Mary Robinson, della United Nations High Commissioner for Human Rights. La variabilità dimostra chiaramente che qualcosa può cambiare e questi dati dovrebbero servire da monito all'azione per i decisori politici che si occupano della questione. Lo studio mostra chiaramente una significativa associazione fra le esperienze di violenza inflitte dal partner nel corso della vita e una gamma di problemi di salute che includono ferite, stress emotivo, tentativi di suicidio, sintomi fisici di malattia. Inoltre, anche se la gravidanza è considerata un periodo protetto per le donne, tra l'1 e il 28 per cento delle donne con una gravidanza alle spalle hanno dichiarato di essere state picchiate anche durante la gestazione. In più del 90 per cento dei casi dal padre del nascituro; per un tasso variabile tra un quarto e la metà di queste donne si è trattato di calci e pugni sulla pancia. Naturalmente al confronto con le altre donne la percentuale di aborti è risultata molto più alta tra queste.
Le ripercussioni sulla salute della violenza da parte dei partner sono risultate costanti attraverso i luoghi, con effetti analoghi sulla salute e sul benessere della donna indipendentemente da dove vive, dalla sua estrazione economica e dal livello culturale, come spiega Charlotte Watts, della London School of Hygiene and Tropical Medicine. Un dato allarmante, fornito dallo studio, è il fatto che molte donne tendono ad interiorizzare le norme sociali che giustificano gli abusi. In circa la metà dei luoghi, fra il 50 e oltre il 90 per cento delle donne era d'accordo nel giustificare il compagno per la violenza subita in determinate circostanze – se la donna disobbedisce, se si rifiuta di avere rapporti sessuali, se non svolge i lavori domestici in tempo, se fa troppe domande sulla presenza di altre donne, o se sospetta infedeltà. In molte situazioni le donne si dichiarano incapaci di rifiutarsi di avere rapporti sessuali; in tre delle città rurali di provincia, dal 44 al 51 per cento delle donne non si sente in grado di rifiutarsi di fare sesso anche quando maltrattate dai compagni. Tra 1/5 e 2/3 delle intervistate (21 e 66 per cento) non ha mai parlato con nessuno degli abusi subiti da parte del compagno prima di questa intervista. Tra il 55 e il 95 per cento non si è mai rivolta alla polizia, ai servizi sociali e o alle associazioni. Ha cercato un aiuto solo chi ha subito le violenza peggiori.
L'auspicio a livello politico è di far emergere il problema e permettere alle donne di denunciare il problema e chiedere aiuto. Teresa Parker, portavoce della Women’s Aid, ha dichiarato che nel Regno Unito si riscontra un pattern simile con "una 1 donna su 4 che subisce violenza all'interno delle mura domestiche"; il 30 per cento di queste violenze cominciano proprio durante la gravidanza. In molti casi i servizi di assistenza sociale sono il primo punto di contatto per le donne che vivono con uomini violenti e il servizio sanitario deve avere un ruolo centrale nel fronteggiare la violenza subita dalle donne. Il rapporto propone una gamma di interventi sulle ingiustizie e sulle norme sociali che rafforzano gli abusi, fornendo supporto psicologico e materiale alle vittime. "Affrontare la violenza richiederà l'azione coordinata e continua a tutti i livelli della società: la famiglia, la comunità (a tutti i livelli salute, formazione, giustizia) ed i servizi sociali', conclude il Garcia-Moreno, coordinatore di studio del WHO; "gli operatori dei servizi sanitari devono essere formati per essere in grado di riconoscere le donne che subiscono la violenza e per supportare in maniera opportuna a coloro arrivano a denunciare".
Fonte: The WHO Multi-Country Study on Women’s Health and Domestic Violence Against Women.

tempomedico.it 25.11.05
Diagnosi di depressione semplificata
Tre sole domande per discriminare i pazienti a rischio
di Monica Oldani - Tempo Medico n. 802

Nell'ambulatorio di medicina generale la depressione è di casa, ma per il medico la sua gestione continua a essere un osso duro. La prima sfida è senz'altro quella diagnostica e gli sforzi in questo senso vanno sempre più verso l'individuazione di metodi di screening sufficientemente agili da essere praticabili anche nel contesto delle cure primarie.
In questo filone si colloca il lavoro di un gruppo di ricercatori dell'Università di Auckland, in Nuova Zelanda, che da alcuni anni stanno sperimentando un test rapido, composto di sole tre domande, che potrebbe servire per una prima scrematura dei pazienti a rischio di ricevere una diagnosi di depressione maggiore.
"La conferma spetta a un successivo approfondimento con metodi di indagine più articolati e accurati" precisano gli autori. "Tuttavia, il nostro test ha dimostrato, già in due diversi studi, di possedere una notevole sensibilità, cioè di non lasciarsi sfuggire casi potenzialmente eleggibili a una terapia antidepressiva".
Il test è stato messo alla prova presso una ventina di ambulatori di medicina generale in pazienti non selezionati purché non in cura con psicofarmaci, in prima istanza in una formulazione a due domande da presentare verbalmente ("nell'ultimo mese si mai è sentito giù di morale o depresso?" e "nell'ultimo mese si è mai sentito poco attratto o gratificato dalle cose che fa?"); successivamente si è invece optato per una formulazione scritta nella quale, ai due quesiti, è stata aggiunta una domanda sulla disposizione a ricevere un trattamento antidepressivo ("questo stato d'animo è tale per cui gradirebbe essere aiutato?").
"La seconda sperimentazione ha dato i risultati più soddisfacenti, perché il quesito sulla necessità di trattamento avvertita dai pazienti ha consentito di migliorare la specificità della diagnosi" affermano i ricercatori neozelandesi. "Il numero di falsi positivi, piuttosto alto nel primo studio, si è infatti sensibilmente ridotto, anche se il principale pregio del test è la percentuale ridotta di falsi negativi: uno su oltre 1.000 pazienti esaminati".
In effetti, i valori di sensibilità e specificità non si sono discostati molto da quelli di altri metodi di screening - una recente metanalisi condotta dalla US Preventive Services Task Force su 41 studi ne ha privilegiati due, composti da nove e sette domande - ma in più il test di Bruce Arroll e collaboratori offrirebbe una maggiore rapidità e semplicità di applicazione. "La depressione non è più confinabile nell'ambito specialistico, anche perché spesso si presenta mascherata da disturbi prettamente somatici" concludono gli autori. "Pertanto, un test che permette di sospettare la malattia anche nel corso di una visita di routine potrebbe essere un valido aiuto per i medici".
Lo strumento sembra promettente e, al contrario di altri, non si candida a essere per il medico l'ennesimo lavoro extra, che sottrae tempo ed energie a un'attività quotidiana già percepita come logorante. La sua applicazione, peraltro, non deve prescindere da alcune abilità specifiche, per esempio quella di presentare le domande e interpretarne le risposte con la giusta sensibilità.

vita.it 25.11.05
Legge Basaglia: al via un'indagine conoscitiva sulla sua attuazione
Proposta dalla Commissione Sanità, attende il via libero di Palazzo Madama

La Commissione Sanita' ha deciso di avviare una indagine conoscitiva sullo stato dell'assistenza psichiatrica in Italia e sull'attuazione dei progetti obiettivo per la tutela della salute mentale. E' stato affidato al senatore Paolo Danieli (AN) l'incarico di relatore sulla procedura informativa, cioe' la serie di audizioni di rappresentanti dell'Esecutivo, delle organizzazioni che operano in questo campo e di esperti in grado di approfondire tutti gli aspetti di questa complessa questione. Fin dai primi mesi della quattordicesima legislatura erano state presentate alla Camera proposte di legge per rivedere la legge Basaglia e determinare nuove modalita' di concorso delle strutture pubbliche al grave disagio delle famiglie che devono affrontare i problemi della malattia mentale, ma il relativo iter non ha registrato concreti sviluppi. L'indagine conoscitiva proposta dalla Commissione Sanita' entrera' nel vivo dopo il via libera della Presidenza di Palazzo Madama, ma avra' poco tempo per approfondire il problema prima della conclusione della legislatura.

Repubblica Salute 24.11.05
segnalato da Franco Pantalei
Storace, un ministro tenace
di Guglielmo Pepe

Storace è tenace. Non si arrende davanti all'evidenza e con immarcescibile determinazione continua la sua battaglia frontale. Contro le donne e contro i ginecologi, gli assessori e i direttori sanitari che hanno deciso di ricorrere alla Ru486. Ma le ultime dichiarazioni del ministro della Salute contro la Toscana - che ha dato via libera all'uso della pillola richiesto dall'ospedale di Pontedera - e le altre Regioni che seguono lo stesso percorso, oltrepassano il segno della polemica. L'accusa di "fomentare una corsa barbara all'aborto", non appartiene alla dialettica: è voler indicare i medici che applicano la legge 194 come irresponsabili. È mortificante per i ginecologi che esercitano con serietà, essere indicati una volta come "assassini", un'altra come "barbari". La prossima diventeranno vittime di qualche esaltato?
La tenacia di Storace viene confermata dalla richiesta di aprire le porte dei consultori ai volontari anti-abortisti che, secondo il ministro, dovrebbero verificare la corretta applicazione della legge. Si dia allora il benvenuto al "Movimento per la vita" se si impegnerà per le donne. Ma nei consultori c'è già un sostegno psicologico a chi vuole interrompere la gravidanza. E poi, se va incrementato questo aiuto, perché non affidarlo a più soggetti esterni alle strutture pubbliche? Oppure, perché non rafforzare e preparare meglio il personale dei consultori?
L'impressione è che il ministro - il quale ha tutto il diritto di dichiararsi contro l'aborto - abbia l'intenzione di rendere molto difficile la vita a chi vuole soltanto applicare una legge dello Stato. La prima mossa l'ha fatta con l'ospedale Sant'Anna di Torino che, dopo anni dall'inizio dell'apertura della "pratica", lo scorso settembre ha cominciato a sperimentare la pillola abortiva. Era seguito il blocco della sperimentazione e l'invio degli ispettori ministeriali. Poi il 7 novembre è ripreso il ricorso alla Ru486 all'interno del nosocomio torinese. Adesso si apre il capitolo della "corsa barbara" (secondo Storace) che, in effetti, vedrà un numero crescente di ospedali italiani applicare in via sperimentale l'aborto chimico oppure richiedere il farmaco direttamente all'azienda che lo produce. Come già avviene in vari paesi: Inghilterra, Germania, Austria, Finlandia, Svezia e Francia (dove si può acquistare in farmacia). Ma se finora milioni di donne hanno abortito con questo metodo, se altrove si utilizza da anni la pillola senza drammi, perché da noi tanto furore? Perché l'ideologismo antiabortista rifiuta di misurarsi con i problemi di migliaia di persone?
Se c'è qualche donna che ritiene la Ru486 un metodo anticoncezionale, bisogna agire con intelligenza e misura per convincerla che è in errore. Verso le altre - la stragrande maggioranza - che decidono, con profonda sofferenza, di intraprendere l'interruzione di gravidanza, quale che sia il metodo (chirurgico o chimico), serve una politica della maternità. A 360 gradi. Che non si limiti ad intervenire quando si entra nel consultorio, bensì prima, con una politica di sostegno per chi non riesce a mantenere un figlio, una casa, ad avere una vita dignitosa. Se in Italia siamo a poco più della crescita zero, non è certo dovuto al fatto che oggi si abortisce più di prima (perché è vero l'esatto contrario). Le cause sono diverse e tra queste c'è anche l'assenza di attenzione verso le famiglie italiane. Alle quali il bonus di 1000 euro per i nuovi bebè, sembrerà poco più di una mancia.
Tornando alla pillola, quello che sta accadendo fa pensare, ancora una volta, che una parte del Paese non abbia accettato che l'aborto sia legale e che le donne possano ricorrervi scegliendo - con il consiglio dei medici - il metodo che ritengono migliore. Ma questa è la realtà. Il ministro più tenace di tutti dovrebbe tenerne conto, senza considerare "barbaro" chi vuole applicare una legge dello Stato.

Liberazione 18.9.05
«Perché la Cina vincerà la sfida con il pensiero occidentale»
di Tonino Bucci

Modena. Secondo il filosofo e sinologo francese François Jullien, i cinesi concepiscono il reale «come un processo in continuo mutamento. Ciò che per noi sono gli eventi, per loro altro non sono che piccole, sottili pellicole alla superficie del continuo lavoro di trasformazione. Questo è all'origine della grande efficacia della politica internazionale di Pechino»

La Cina è destinata ad essere oggetto di controversie: a volte lontana, dipinta come un paese esotico; altre volte così vicina da rappresentare la minaccia del XXI secolo. Chi ne elogia i ritmi di crescita economica e tecnologica, superiori a quelli di tutte le altre nazioni, chi punta il dito sullo smantellamento del comunismo. Eppure, nonostante gli scenari geopolitici ne accrescano l'importanza, la realtà cinese rimane un oggetto poco studiato. Poco indagata è anche la cultura di questo paese, forse per effetto dello stereotipo che qui da noi ha sempre considerato lo spirito orientale come incapace di pensare filosoficamente.

L'occasione inconsueta d'ascoltare una voce d'eccezione l'ha data il Festival di filosofia - in chiusura oggi a Modena, Carpi e Sassuolo - con la presenza di François Jullien, filosofo e sinologo, autore di Elogio dell'insapore, Trattato dell'efficacia e Il saggio è senza idee pubblicati in Italia da Einaudi.

L'idea fondamentale è che lo studio dell'Altro, della cultura cinese, possa meglio far conoscere la strada intrapresa dalla filosofia occidentale e le possibilità che sono state escluse dalla nostra storia. Agli antipodi del nostro modo di pensare si staglia il modello alternativo della saggezza cinese, fondata non sulla divisione e il primato dell'intelletto sui sensi, ma sulla non-esclusione, sul lasciare tutte le possibilità aperte.

In Occidente la filosofia nasce nel momento in cui stabilisce una differenza tra il mondo dei sensi e l'intelletto. Qual è invece la via della saggezza cinese?
Il "senso" è, da un lato, pura percezione e, dall'altra, al singolare, senso intellettuale, significazione. L'Occidente ha finito per pensare questi due aspetti distinti e contraddittori tra loro. Noi diciamo, ad esempio, che qualcosa ha un "sapore pronunciato", è un modo di dire. Nella cultura cinese, invece, non ci si deve mai pronunciare, l'arte e la saggezza cinese evitano di "pronunciare con forza". Al senso pronunciato dell'Occidente si contrappone un senso che resta sulla soglia, che non esce ma resta nell'indifferenziato. Un senso "insipido", senza sapore, senza una caratteristica marcata e predominante rispetto alle altre, che si tiene distante dai sapori pronunciati come il dolce e il salato. E' non solo un fatto gastronomico, è anche un rituale culturale, anche il Thao è insipido. E' un'esperienza globale, un sapore che non esclude, che non è pronunciato e mantiene tutti i sapori disponibili. Entriamo in un sistema di percezioni e idee che privilegia non la distinzione, bensì l'allusione, l'elusione, la compossibilità. Se scelgo uno, perdo il due, questa è la cifra della cultura cinese. Ed ecco perché, a differenza della cultura occidentale dove tra sensi e significato c'è opposizione e contraddizione (A non è B), in quella cinese c'è invece congiunzione. Come si può pensare senza le categorie della tradizione occidentale? Non voglio dare un'immagine esotica e irrazionale della Cina, voglio soltanto dire che questo paese ha sviluppato una forma di saggezza alternativa al nostro pensiero e che consiste nella scelta di non scegliere, di tenersi in bilico tra le esperienze senza separare il vero da ciò che si ritiene falso. Per lo stesso motivo, il pensiero cinese ha lasciato nell'ombra il politico. La politica è un luogo di opposizione e di conflitto dove non c'è spazio per la compossibilità.

Qual è la differenza più rilevante tra l'idea cinese di politica e la politica così come la intendiamo noi?
Noi europei abbiamo costruito la politica sulla categoria di efficacia, sulla ricerca dei modi in cui una singola azione può inserirsi nella realtà e realizzare il fine. Le scelte e le azioni sono pensate a partire dal risultato. In Cina è completamente diverso: l'inserzione della mia azione nella realtà deve cogliere e seguire gli eventi fin dalla loro origine, deve appoggiarsi e assecondarli, farli crescere finché la situazione non diventa matura e precipita. Il momento più importante non è il risultato finale, ma l'inizio. Semmai l'efficacia cinese consiste nel cogliere al momento della nascita il percorso che poi condurrà la realtà alla maturazione. Nella mentalità cinese non troveremo mai l'elogio del soggetto, del "principe" per dirla con Machiavelli: quando un processo arriva a maturazione scompare anche lo stratega. Il soggetto non si vede. Stratega è colui che ha saputo tanto bene utilizzare la situazione e farla crescere, da scomparire egli stesso. E' la situazione in quanto tale a maturare, che va da sé. Ecco perché la Cina è l'unica grande civiltà che non ha sviluppato l'epopea e non ha il concetto di eroe. Prendiamo il caso di Deng-Xiao Ping: è chiamato il "piccolo timoniere" anche se in trent'anni ha portato la Cina a un regime di mercato capitalistico.

Ma così l'individuo è relegato a un ruolo marginale?
Intanto bisogna distinguere tra soggetto e individuo. Il pensiero del soggetto è stato lento anche in Occidente, è arrivato con la svolta del Cristianesimo, attraverso Agostino, fino alla psicoanalisi. In Cina, il soggetto non è pensato. Nella lingua cinese manca il soggetto, è solo implicito. E nel pensiero cinese non c'è la riflessività che, passando per Kant, ha portato in Occidente alla scissione tra soggetto e oggetto e da qui alla costituzione della scienza. In Cina, questa opposizione tra soggetto e oggetto non è stata sviluppata. Ma è stato pensato l'individuale e, soprattutto, il rapporto tra individuale e collettivo.

Lei vede nella cultura cinese un modello di saggezza alternativa alla filosofia occidentale. Eppure oggi tutto lascia pensare che sia la Cina ad avvicinarsi all'Occidente e all'economia capitalistica. Cosa resta di quella saggezza alternativa?
Fino al XIV secolo le tecniche erano più sviluppate in Cina che in Occidente. A partire dalla rivoluzione scientifica l'Europa decolla sulla spinta dell'innovazione galileiana. La possibilità di applicare la matematica alla natura apre la strada alla scienza. E' un'idea folle e feconda che ha divaricato lo sviluppo dell'Occidente rispetto a quello della Cina. Tutto il linguaggio della scienza da quel momento in poi sarà europeo e la Cina continuerà con uno scarto notevole a rimanere ferma per secoli e sarà lei a dover imparare dall'Occidente e a prendere le due cose che le mancavano: la scienza e la politica. Oggi siamo in un momento in cui la Cina sta superando l'Occidente. Ma il capitalismo importato non è l'unica cultura alla quale tutte le altre devono uniformarsi. Come diceva Mao, la Cina deve camminare su due gambe: il linguaggio della scienza e del capitalismo, e la tradizione cinese, una saggezza elusiva depositata in una cultura letteraria, molto più complessa da accostare di quanto si pensi. Deng-Xiao Ping, di nuovo, rappresenta questa compossibilità. Era stato in Europa ma continuava ad agire alla cinese, non si è mai opposto a Mao, in altri momenti si ritirava prima di farsi avanti, agiva come uno stratega cinese con le proprie risorse.

Qual è, allora, il ruolo specifico che spetta alla Cina nello scenario mondiale?
La Cina partecipa a tutti i dibattiti internazionali, siede in tutti i tavoli e cerca di trarre profitto in ogni situazione. Come? Per propria cultura la Cina dissolve ogni nozione di evento. Mi spiego. Per la mentalità cinese non potrebbe esistere qualcosa come l'11 settembre che per noi è diventata una data simbolica che sdoppia la storia in un prima e in un dopo. In Cina non ci sono eventi, la realtà è fatta piuttosto di una sottile, silenziosa trasformazione continua. Ciò che per noi sono gli eventi, per la cultura cinese altro non sono che piccole, sottili pellicole alla superficie di questo continuo lavoro di trasformazione. Il reale è concepito come processo in continuo mutamento. Questo è all'origine della grande efficacia della politica internazionale della Cina. Ad esempio, i cinesi si installano a Parigi, aprono i negozi, ma è un'emigrazione silenziosa, graduale, non spettacolare e non suscita, perciò, reazioni contrarie. La Cina non viene intercettata perché sfugge ai nostri riferimenti concettuali che sono quelli di "evento" e "fine". La cultura cinese dissolve l'evento e la finalità in una processualità continua che le dà la chance d'imporsi senza trovare alcuna reazione. Non ci si può opporre a qualcosa che non ha forma d'evento.