venerdì 25 novembre 2005

AprileOnline, 25.11.05
Pier Ferdinando alla ricerca della Verità perduta
Zoom. Toccherà a Casini, ''esempio di forte coscienza cristiana'', traghettare la Chiesa nella politica italiana. Qualche riflessione
Angelo Notarnicola

Sembra proprio che la Chiesa abbia scelto chi la traghetterà nella politica italiana del prossimo decennio: Pier Ferdinando Casini. La notizia è di ieri, ma una riflessione di approfondimento è necessaria.
Il pontificato di Ratzinger è iniziato individuando il nemico da abbattere nei prossimi anni: il relativismo. Per raggiungere questo risultato probabilmente non saranno sufficienti né un solo Ratzinger, nè un solo Ruini, tanto meno un Pierferdinando qualsiasi.
Con ogni probabilità vedremo passare altri protagonisti dopo di loro. Ciò che è certo, comunque, è l’obiettivo da raggiungere. Dopotutto gli uomini di Chiesa sono i primi a relativizzare la loro esperienza terrena a quella celeste, per cui poco importa se qualcuno inizia un percorso e un altro lo porta a termine. Un’organizzazione che sopravvive da due millenni ha tempi di riflessione e di azione diversi da quelli a cui siamo abituati “noi comuni mortali”. Il tempo nelle loro azioni non è dato, in pratica non esiste. Ciò che conta è la missione da compiere in nome della Verità. E il compito di oggi per la stessa sopravvivenza della Chiesa è annientare il relativismo, quel processo culturale del pensiero occidentale che ha trovato nuova linfa all’inizio degli anni ’30 del secolo scorso con Einstein e le sue scoperte.
Gli sconvolgenti risultati, consegnati alla storia del pensiero occidentale come leggi della relatività, hanno segnato la nascita della fisica moderna, il punto di lancio del relativismo come nuova corrente culturale del pensiero occidentale e contemporaneamente l’entrata in crisi del razionalismo illuminista nonché la messa in discussione del concetto cristiano di Verità assoluta.
Questa minaccia, al suo interno, ne contiene un’altra. La Chiesa cattolica, fondata su una rigida gerarchia verticale, è oltre modo minacciata dalle organizzazioni orizzontali che fanno della rete il proprio riferimento simbolico e operativo. La rete, contrariamente alla piramide, simbolo delle organizzazioni verticali, è pensata dall’uomo occidentale e sostanziata in diverse forme - come ad esempio Internet - proprio in seguito allo sviluppo di un pensiero che fa della “relazione tra gli elementi” il suo punto fondamentale.
La Chiesa cattolica non può aspettare oltre. A rischio c’è, per chi non l’avesse ancora capito, la sua stessa esistenza. Si deve difendere, si chiude in se stessa, riduce le libertà agli ordini più “trasgressivi”, serra le proprie fila prima di andare all’attacco, invadendo ancora più massicciamente il campo della politica italiana, per ovvi motivi, punto di partenza obbligato di ogni azione vaticana. Il contesto, tra l’altro, lo consente. La crisi che attraversa la nostra civiltà e il nostro paese in particolare è portatrice di angosce e paure nelle quali il bisogno religioso risorge inevitabilmente.
E davanti a tutto questo, all’immensa grandezza della sfida che gli uomini di Chiesa hanno davanti, alcuni dei nostri politici di sinistra pensano che sia possibile imbrigliare con annunci di improvvise conversioni le strategie vaticane.
Ve la immaginate la faccia di Ruini quando ascolta questo genere di dichiarazioni? Diventano quindi comprensibili le parole del cardinale quando definisce le critiche ricevute “pallottole di carta”.
Con le prossime elezioni si chiuderà una fase storica. Per i prossimi anni il bel Pierferdinando investito da Mons. Fisichella, alla presenza di Ruini, come “esempio di forte coscienza cristiana” - chiaramente sotto tutela - offrirà il suo piccolo contributo alla riconquista della Verità perduta.

La Stampa, 25.11.05
Donne italiane, specie non protetta
di Stefania Miretti

Elena l’aveva scritto su un biglietto: «Sappiate che se mi succederà qualcosa Mario è il mandante». Ma forse non sapeva a chi spedirlo, così l’ha chiuso in un cassetto dove qualcuno l’ha ritrovato cinque mesi più tardi, quando Mario, suo marito, l’aveva già uccisa - personalmente, senza bisogno di sicari - a coltellate. Più di venti coltellate, il doppio di quelle che si sono rese necessarie per far fuori Fatima, che era di corporatura minuta. Il suo innamorato l’aveva avvertita, le aveva dato tre giorni di tempo, «torna con me altrimenti ti faccio fuori»: una comunicazione via sms che la polizia non aveva ritenuto «una minaccia concreta», benché si sappia che le persone ormai con un sms fanno tutto, si dichiarano, divorziano, esprimono condoglianze.

Rita pensava d’averla sfangata: suo marito Paolo aveva sbagliato la mira, dopotutto non è facile far fuori qualcuno col coltello, ed era stato arrestato; peccato che la pena, arresti domiciliari, gliel’abbiano fatta scontare a casa di mammà, a pochi metri dall’appartamento di Rita, così quando un anno e mezzo dopo ha deciso di riprovarci - cambiando tecnica, con lo strangolamento - ha fatto presto. Marina invece se n’è andata con due stilettate ben assestate al cuore, dopo mesi di pedinamenti e minacce. Perché il suo assassino era così arrabbiato? «Cercava in tutti i modi di riprendere la relazione», ovvio. Marina, accompagnata dal papà, era andata anche alla polizia, ma quando le era stato chiesto se intendesse sporgere denuncia (un semplice esposto non basta per intervenire) contro il suo innamorato, lei non se l’era sentita, e d’altronde nessuno aveva insistito. Storie estreme? Mica tanto. Per le donne in età compresa tra 16 e 44 anni - dopo, pare ci si possa finalmente rilassare - ci sono oggi più probabilità di morire perché picchiate-sparate-accoltellate-strangolate dal partner (in epoca di famiglie allargate meglio specificare: marito, fidanzato, amante stabile od occasionale) che d’incidente stradale o cancro al seno. In Italia, dove circolano più auto che in un villaggio afghano, succede un giorno sì e un giorno no che qualcuna venga accoppata così, da un uomo che sta cercando di lasciare, e con quali buonissime ragioni lo si capirà purtroppo solo a funerali avvenuti. Nella sola Russia vengono fatte secche ogni anno 13 mila donne, e il 75% delle volte è il marito (14 mila sono le vittime del conflitto Urss-Afghanistan nell’arco di dieci anni). Va un po’ meglio alle svedesi: ne viene fatta fuori solo una ogni dieci giorni, si sa che la Svezia è il posto al mondo dove una femmina ha più chance, in generale.

Deborah Rizzato, la venticinquenne di Cossato perseguitata per dodici anni da un uomo che uscito di galera è tornato per farle la festa, e c’è agevolmente riuscito, sta in queste statistiche, di fronte alle quali un poliziotto attento come Sergio Molino, capo della squadra mobile torinese, allarga le braccia: «Le donne non sono sufficientemente tutelate, non c’è modo di farlo. E quelle che si rivolgono alle forze dell’ordine sono comunque poche, una minima parte di quante subiscono maltrattamenti e violenze in casa». Proprio per questo, secondo Anna Ronfani, avvocato e dirigente del Telefono Rosa, le denunce andrebbero sempre prese serissimamente: «Quando una donna si decide a denunciare il partner o una persona con la quale è in relazione, non lo fa mai alla prima sensazione di pericolo, al primo episodio violento. Chi riceve la denuncia dovrebbe sapere che spesso le vittime tendono a minimizzare, a non raccontare tutto, per paura e per vergogna».

Gli strumenti per intervenire, dice l’avvocato Ronfani, ci sarebbero - in particolare la legge 154 del 2001 che ha introdotto la possibilità di misure cautelari o di allontanamento dei sospettati di violenza - «ma la lentezza dell’applicazione, insieme alla non completa capacità di chi riceve la denuncia a fotografare la reale situazione» ne sono i limiti intrinseci. Paradossalmente era più semplice un tempo, quando il carabiniere che in paese conosceva tutti andava a cercare il marito violento al bar e gli faceva una lavata di capo, che adesso, con leggi mirate ma gestite da giudici oberati di pratiche.

Nella Giornata internazionale contro la violenza alle donne, che cade oggi con l’invito a esporre lenzuola bianche alle finestre, il bilancio è amaro un po’ ovunque, come se ogni mattina si contassero i caduti d’una guerra. Dice l’Onu, nel suo rapporto 2005, che nel mondo almeno una donna su tre è stata picchiata, costretta ad avere rapporti sessuali o a subire abusi, e l’aguzzino è quasi sempre un parente. Un nemico in casa, o nel letto, proprio come in un brutto film con Julia Roberts.

AprileOnline, 25.11.05
Il Riformista - 23 novembre 2005
Ipse dixit
I consultori secondo Tonini
Pieffe

"Ai volontari dei centri di aiuto alla vita, che chiedono di collaborare alle attività di prevenzione nei consultori, si deve rispondere non 'vade retro!', ma 'era ora!'.
Si deve piuttosto aprire subito un confronto serio e aperto sul 'come' organizzare questa presenza"
"La presenza del volontariato di aiuto alla vita dovrebbe quindi assumere caratteristiche di discrezione e di rispetto da codificare in un preciso e rigoroso codice di comportamento"
"Il primo elemento di convergenza con ilcentrosinistra, tanto vistoso quanto ignorato, è la vera e propia svolta maturata nella Chiesa italiana, con la rinuncia non solo all'abrogazione, ma perfino alla revisione della legge 194..."
sen. Giorgio Tonini, capogruppo DS Commissione Esteri Senato

Le Scienze, 22.11.2005
Il gene della paura
I topi privati di statmina si comportano in modo eccessivamente audace

In uno studio pubblicato sul numero del 18 novembre della rivista "Cell", alcuni ricercatori riferiscono della scoperta di un gene che controlla la capacità di reagire con la paura appropriata di fronte a un pericolo incombente. Come risultato, i topi privi di questo gene (statmina) diventano eccessivamente audaci e temerari. La scoperta potrebbe avere implicazioni nello studio dei disturbi dovuti all'ansia e nello sviluppo di potenziali farmaci.
Gleb Shumyatsky della Rutgers University e colleghi hanno scoperto che il gene della statmina - normalmente presente ad alti livelli nella regione del cervello chiamata amigdala - controlla sia le paure innate che quelle acquisite. I topi privati di statmina esibiscono livelli di ansia insolitamente bassi anche in situazioni che dovrebbero istintivamente ispirare paura. Gli animali mostrano anche minori reazioni di fronte a condizioni che in precedenza si erano dimostrate poco piacevoli, segno che i topi sono privi della normale memoria per la paura.
"Anche se uno dei circuiti neurali meglio conosciuti nel cervello dei mammiferi è proprio quello che controlla il condizionamento alla paura, - commenta Shumyatsky - si sa ben poco dei meccanismi molecolari alla base di queste reazioni. Ora abbiamo scoperto che il gene della statmina ha un compito fondamentale nel controllo delle paure innate e di quelle acquisite. Va ricordato che la paura svolge un ruolo essenziale per la sopravvivenza".

Shumyatsky, et al.: “Stathmin, a Gene Enriched in Lateral Nucleus of Amygdala and in the CS and US Pathways, Controls both Learned and Innate Fear”. Cell, Vol. 123, 697–709 (18 novembre 2005), DOI 10.1016/j.cell.2005.08.038.
© 1999 - 2005 Le Scienze S.p.A.


AprileOnline, 25.11.05
Berlinguer: ''La 194 ha dato i suoi frutti. La proposta dell'Udc è furba e demagogica''
Interventi. L'eurodeputato Ds: ''Per una commissione d'inchiesta non ci sono i tempi necessari. Si pensa molto più alle elezioni che ha risolvere i problemi''
Alice Frei

Giovanni Berlinguer, oggi europarlamantare Ds, fu nel 1978, il relatore alla Camera dei deputati della legge 194. Nei giorni in cui la polemica sulla tutela dell’interruzione volontaria di gravidanza torna ad essere incandescente, gli chiediamo una breve opinione. "L'idea forte della legge - sostiene Berlinguer - era quella di affidare a persone competenti il compito di consigliare e di cercare le soluzioni che possano evitare l'aborto. Perché questo è scritto chiaramente nelle legge. Se poi nei consultori si mandano dei propagandisti per i quali l'aborto è un omicidio a confrontarsi con donne che soffrono, violandone la loro privacy ed esacerbando stati d'animo angosciati, questo potrebbe essere solo un grave danno e non contribuirebbe alla pace sociale né alla decisione responsabile che devono prendere le donne".
A proposito delle nuove critiche da parte del fronte antiabortista, Berlinguer ribatte con convinzione: "Le legge ha dato due frutti. Intanto, ha fatto emergere questo fenomeno dalla clandestinità, diminuendo le ingiustizie sociali, visto che le donne ricche prendevano i voli charter per andare ad abortire a Londra e le donne povere lo facevano con le mammane nei sottoscala, senza garanzie igieniche e alcune morivano. L'altro risultato è che la 194 ha contribuito a ridurre notevolmente il numero stesso degli aborti" .
L'europarlamentare è infine nettamente contrario all'idea avanzata dall'Udc di una commissione d'inchiesta sulla 194. Per Berlinguer si tratta di "una proposta furba e demagogica. Perché non ci sono i tempi necessari e nell'ultimo scorcio di legislatura non sarebbe una commissione serena. In questo periodo i politici pensano molto più alle elezioni che a risolvere i problemi".

AprileOnline, 25.11.05
Lettere al direttore
Su Livia Turco, aborti consultori et similia
Marialaura Galante, Unione Comunale


cari compagni,
cosa si può fare per evitare che, dopo aver perso il referendum per aver scelto una linea da basso illuminismo, si continui lasciando parlare di aborto consultori et similia una donna come Livia Turco che ha come unico riferimento politico e culturale il cristianesimo? che per rispondere a Cofferati cita l'esempio di Torino in cui è stato fatto fare agli immigrati buoni il lavoro sporco contro quelli cattivi insieme alle comunità religiose? che rivendica i CPT nei pubblici dibattiti e che chiede soldi per mamme e figli continuando a separare i bisogni tra quelli che piacciono a lei e quelli che lei non pratica?
Io sono iscritta ai DS ma credo seriamente di non rinnovare la tessera e di non votare questo partito alle elezioni. darò solo il
voto alla coalizione e penso che tutti dovrebbero fare così perchè si capisca che il voto per abbattere la destra non sia un voto di condivisione di una terribile politica che no ha nè idee, nè si sforza di pensare e cercare riferimenti. Ognuno per legittimare il proprio pensiero parla delle scuole che ha fatto o si riferisce solo a sè stesso. una strana forma di autobiografia, laddove l'autobiografia dovrebbe insegnare la ricchezza delle esperienze e non la povertà di pensiero e l'autoreferenzialità.
I nostri dirigenti hanno fondato un altro partito ma non hanno avuto mai il coraggio di farlo da soli e fino in fondo. E si sono portati dietro il peggio: paternalismo,
dirigismo, attaccamento alla strategia per la conquista del potere, lotta per il potere.
Tutto questo non ci porterà da nessuna parte, forse al baratro delle coscienze.

Liberazione, 25.11.05
A colloquio con Rosaria Canciano, avvocata, del movimento delle donne di Milano. «Il problema è la consapevolezza della propria volontà. Quando la mettiamo nel piatto gli uomini vanno in bestia»
Violenza contro le donne: «Gli strumenti ci sono, manca la volontà»
di Laura Eduati

Il caso di Debora Rizzato, la ventiquattrenne di Biella accoltellata a morte dall’uomo che l’aveva violentata dieci anni prima, segna con una tremenda coincidenza la giornata mondiale contro la violenza sulle donne. Su quale tutela possono contare le italiane che subiscono abusi da parte degli uomini? E le cose sono cambiate negli ultimi decenni?
L’abbiamo chiesto a Rosaria Canciano, avvocata penalista specializzata in diritto di famiglia, da sempre attiva nel movimento delle donne di Milano.
Che idea si è fatta del caso di Biella? E’ utile dire che,come in molte vicende di violenza maschile sulle donne che conoscono, si tratta di una concezione distorta dell’amore?
Credo che in primo luogo si tratti di una vendetta atroce contro la ragazzina che lo mandò in carcere per stupro. Il fatto che si tratti anche di una pulsione amorosa sbagliata lo si può applicare in molti storie che coinvolgono uomini apparentemente normali, senza cioé la patologia psichiatrica di cui soffre l’omicida di Debora.
Come ci si protegge?
Denunciando i fatti alla polizia. E’ possibile anche ottenere una guardia del corpo, ma in pratica le forze di sicurezza sono talmente poche che è praticamente impossibile. E poi non sempre si può contare su poliziotti o carabinieri sensibili al problema e preparati per affrontarlo. Mi è capitato di imbattermi in un comandante dei carabinieri che consigliò a una donna picchiata dal marito di tornarsene a casa, che insomma se le aveva buscate qualcosa doveva aver fatto di male. Ciò accade
più spesso in provincia, dove manca nei tribunali una sezione speciale per i reati in famiglia contro donne e minori.
Il passo successivo alla denuncia?
Il procuratore può ordinare il divieto di dimora. In quel caso il marito deve andarsene e non farsi più rivedere. Naturalmente se a molestare è il convivente, il fidanzato o un ammiratore respinto il divieto non ha alcuna validità. E si riproprone il problema. A quanto pare, la ragazza di Biella aveva presentato varie denunce ma non si era rivolta ad un avvocato che la consigliasse. Un avvocato può chiedere un provvedimento urgente, magari di allontanamento.
Zapatero ha introdotto la legge contro la violenza domestica. A che punto è l’Italia?
In Italia non esiste una legge che porti un nome specifico, ma ciò non significa che non abbia strumenti legislativi. Tutto sta nell’interpretazione delle norme, che deve essere fantasiosa e adeguarsi al caso specifico. Spesso però il giudice istruttore è costretto a delegare tutto alla polizia giudiziaria.
Lei dice che il fenomeno della violenza contro le donne è rilevante.Perché?
Non mi baso su statistiche, ma a parer mio è un fenomeno crescente. Mi si presentano in studio donne che spesso non hanno nemmeno la coscienza di subire un abuso.
D’altra parte però registro un maggiore coraggio, derivante da una serie di conquiste personali delle donne, che quindi sono maggiormente in grado di conoscere la propria volontà, i propri diritti e la capacità di utilizzare gli strumenti della legge. Purtroppo saper usare questi strumenti non significa automaticamente avere dei vantaggi. E i tempi della giustizia sono biblici. L’altro lato della medaglia è
dare alle donne maltrattate la possibilità concreta di voltare pagina. E qui l’Italia fa difetto. L’inserimento lavorativo avviene a carico dei collettivi femminili che decenni fa costituirono in varie città le case delle donne. Qui chi subisce abusi trova una sistemazione temporanea. Ma lo Stato non contribuisce, se non con sovvenzioni minime.
La violenza maschile è diversa rispetto al passato?
Sì, è più feroce perché spesso è subdola. Nelle classi culturali più alte si giunge ad un mobbing che si nutre di ricatti e minacce, spesso di togliere l’affidamento dei figli o di negare il pagamento degli alimenti. Quando la violenza è psicologica le perizie sono inutili.
Quanto è un discorso culturale?
Credo che il concetto fondamentale sia quello della consapevolezza della propria volontà. Più una donna è consapevole, più l’uomo si imbestialisce. Meno la donna ci sta ai discorsi che la vogliono insicura e volubile, più l’uomo reagisce con violenza. Quando il confronto diventa logico e razionale spesso l’uomo perde le staffe, perché è un terreno che non conosce.
E’ una mera questione di potere?
Certo. E poi vorrei sottolineare il fatto che quando le donne menano le mani il loro gesto è bollato come isterico, come perdita di controllo. Quando a picchiare è invece un uomo, il discorso cambia: è un gesto vigliacco ma comunque di dominio, di controllo.

Liberazione, 25.11.05
Studio dell’Oms in dieci paesi
Colpita almeno una donna su tre

Almeno un terzo, ma spesso molte di più (le percentuali oscillano tra il 35 e il 76 per cento) hanno subito un qualche tipo di violenza fisica o sessuale, oltre la metà non ha ricevuto aiuti da strutture di supporto o autorità. Così 24mila donne di dieci paesi hanno risposto alla ricercatrice Claudia Garcia-Moreno che ha curato uno studio per l’Organizzazione mondiale della Sanità discusso sulla rivista Science. Le intervistate sono donne dai 15 ai 49 anni che vivono in 15 siti urbani e rurali in Bangladesh, Brasile, Etiopia, Giappone, Perù, Namibia, Samoa, Serbia, Montenegro, Tailandia, Tanzania. La metà delle donne che hanno ammesso di conoscere per esperienza diretta la violenza di genere ha anche affermato di subirla ancora al momento del colloquio. Una percentuale compresa tra il 21 e il 66 per cento non aveva mai confessato prima a nessuno le violenze subite.
Circa la metà delle donne che hanno subito violenza dai mariti e dai partners hanno riportato ferite fisiche sul momento, ma soprattutto risentono dell’evento a livello psicologico e fisico per il resto della loro vita. Non di rado manifestano volontà suicide e soffrono di problemi psichici anche dopo anni dalla violenza subita. Inoltre, come hanno rilevato alcuni dei curatori dello studio, la violenza domestica incide sulla salute riproduttiva della donna e può contribuire al rischio di infezioni sessualmente trasmesse, compreso il virus Hiv. Non solo, una percentuale fra il 4 e il 12 per cento delle intervistate ha rivelato di essere stata picchiata anche durante la gravidanza: molte hanno perso il bambino.
Confermando la classica spirale vittima-carnefice, in almeno la metà dei siti di ricerca la maggioranza delle donne si è detta d’accordo sul fatto che è accettabile che un uomo sia violento con la moglie in determinate circostanze.
In alcuni paesi, segnala infine la ricerca Oms, dipende dalla violenza del partner il 40-60 per cento delle morti femminili. «Questo studio indica che le donne corrono più rischi fra le pareti domestiche che per la strada», ha detto Lee Jongwook, direttore generale dell’Oms, presentando l’indagine a Ginevra, «e dimostra che questa problematica va affrontata come serio problema di salute pubblica».
Uno studio Unicef richiama invece l’attenzione sulla piaga delle mutilazioni sessuali. Sono tre milioni le bambine che subiscono ogni anno l’escissione genitale femminile nell'Africa sub-Sahariana e nel Medio Oriente. Il dato, che supera di un milione la cifra nota fino a oggi, dipende non tanto da un aumento del numero di bambine mutilate quanto da una più attenta rilevazione dei dati. Lo studio conferma quanto la pratica sia radicata nelle comunità ma accredita l’ipotesi di una sua possibile eliminazione nell’arco di una generazione «quando le comunità saranno messe nella condizione di compiere scelte non dannose che emancipino gli individui e la società».

Liberazione, 25.11.05
Uno sguardo sul “prima”, quando le aggredite non sono ancora morte
Ciò che conta è riuscire a portare le donne lontano da quell’onda e da lontano guardare il mare
di Marisa Guarneri

Ho letto con interesse il dibattito su Liberazione “Maschi, perché uccidete le donne”, ma vorrei spostare un poco lo sguardo sul.... prima. Quando le donne non sono ancora morte, ma ci sono tutte le condizioni perché la situazione possa precipitare.
La violenza che incontro tutti i giorni, di cui le donne giovani o meno mi parlano come un’onda che si abbatte su di loro giornalmente, a volte un’onda che riescono ad evitare, a volte che le coglie di sorpresa e non sono abbastanza veloci per scostarsi, a volte un’onda anomala che le travolge del tutto.
Ciò che conta veramente è riuscire a portare le donne lontano da quell’onda pericolosa insieme ai loro bambini e da lontano guardare il mare e cominciare a capire come si formano le onde, quando, e perché si scelto proprio quel mare.
Le vittime di violenza fisica e psicologica in genere sanno perché le cose accadono, e descrivono con precisione l’escalation del maltrattamento, le condizioni in cui avviene e la periodicità con cui avviene: dicono che lui è sempre stato molto nervoso, ossessivo, geloso, immaturo e tutto è peggiorato quando è nato il bambino. Ci parlano di uomini che le offendono, umiliano, isolano, ma che sembra non possano fare a meno della loro presenza in casa... Hanno bisogno di lei per sfogare le loro frustrazioni, per esercitare potere, per potersi sentire “qualcuno”, per esorcizzare il loro passato, per non affrontare i problemi del futuro. Quando lei scappa via, o semplicemente si allontana, si sottrae, inizia un processo che se non interrotto in tempo può portare anche all’omicidio.
La depressione e le lacrime dei maltrattanti, spesso insospettabili brave persone, le sentiamo spesso al telefono... e diventano minacciose se non riescono ad ottenere informazioni, a riavere ciò che ritengono appartenga a loro. Per non parlare dei silenzi e segreti familiari che nascondo abusi sessuali, fisici e psicologici sui bimbi e bambine che riescono a parlarne solo dopo molti anni, non soltanto per paura, ma per le ragnatele ed i ricatti dei legami affettivi, per non fare soffrire..., per non accusare chi amano di più, perché in fondo si sentono colpevoli e complici della violenza subita. Ed allora questi sentimenti complessi, queste confusioni di ruoli, questa lunga e silenziosa sequenza di vite disperate non ci assomigliano? Ci sono poi così lontane? Mi chiedo perché gli uomini e a volte le donne lasciano
che altre/altri muoiano dentro prima che fuori.
Non si tratta di parlare di un fenomeno che si sa esteso e può anche far crollare alcune nostre flebili certezze. Si tratta di parlare di noi stesse e di noi stessi, di analizzare la relazione uomo donna e la differenza maschile quanto quella femminile. A volte possono bastare poche parole per descriverci: spaventati ed impotenti. Attenzione, comprensione e forza possono impedire che il peggio accada, ma è necessario avere l’intenzione di vedere, anche se questo ci tira in gioco...
*presidente della Casa delle donne maltrattate di Milano

Liberazione, 25.11.05
La sopraffazione che torna a insinuarsi nelle pieghe delle vite femminili ha mille facce
I centri antiviolenza, un oblò sul lato oscuro delle nostre società
di Emanuela Moroli

Maschi, perché uccidete le donne? Non c’è domanda di più stretta attualità. Tra ieri e l’altro ieri ne hanno uccise altre tre e in modo brutale, con odio, con furia. Non è una novità. Chi affronta dall’interno l’universo della violenza maschile perché ha scelto di operare nei Centriantiviolenza (in Italia ce ne sono più di cento un vero
movimento di donne che non accettano l’inevitabilità della sopraffazione) guarda il mondo da un oblò che si affaccia sul lato nascosto e oscuro delle nostre società, è un oblò sull’universo culturale degli uomini, dei tanti uomini che ancora ritengono di avere avuto mandato dalla Storia per addomesticare, segregare, sopraffare, le donne che a vario titolo entrano nella loro vita.
E’ un oblò straordinario e terrorizzante. Vi si scorge l’inferno di famiglie costruite sulla minaccia e la paura; ci si rende conto che ovunque si volga lo sguardo, nelle piccole comunità come nelle metropoli, nelle ville dei benestanti come nelle case popolari, nelle città italiane come nei villaggi del Magreb
o nei territori del Medio oriente, lo scenario è simile: mariti, conviventi, padri, fratelli, parenti che con la violenza deturpano l’esistenza di donne che, a loro volta, ritengono di essere predestinate dalla propria condizione femminile al ruolo di vittime.
Cerine Hebadi, l’avvocata iraniana premio Nobel per i diritti umani ripete che le donne «sono un solo popolo, sparso ovunque nel mondo e hanno un problema che le accomuna e le collega le una alle altre, questo problema è la violenza che devono affrontare».
La prima ragione di morte per le donne dai 16 ai 44 anni - ci comunica la ricerca del Consiglio d’Europa - non è il cancro, non sono gli incidenti, è la violenza dei famigliari più prossimi. Chi opera nei Centri antiviolenza conosce da oltre 10 anni questo dato e lo va ripetendo da convegno a tavola rotonda, da seminario a workshop e a tutti appare un dato ininfluente, da non inserire nella agenda politica, sul quale non soffermarsi. Poi un giorno per l’ennesima volta il dato emerge da una ricerca della Commissione europea e come in un corto circuito, improvvisamente questa realtà terribile e in penombra si illumina di un lampo e uomini di buona volontà si impegnano a scrivere qualcosa di intelligente, di civile, di emozionale su questo genocidio tollerato.
Poi, inevitabilmente, torna il buio e gli uomini di buona volontà riprendono le loro attività convinti di aver fatto il proprio dovere di maschio evoluto. E la palla torna alle donne, per fortuna che hanno imparato a giocare. Ogni epoca - secondo Heidegger, ha una sola cosa cui pensare. Una soltanto.
La differenza sessuale - aggiunge Luce Irigaray - è quella del nostro tempo. Era 18 anni fa quando lo scriveva, ma era il ’900, il secolo delle donne. Oggi è in corso una controffensiva micidiale, ogni giorno un nuovo più preoccupante segnale: è di ieri “l’innovazione” dei militanti del movimento per la vita sguinzagliati nei consultori per tormentare donne già colpite da una scelta che è sempre lacerante. E’ in corso una marcia per la riappropriazione del corpo delle donne, quel corpo che ha imparato a sottrarsi e a dire basta. Chi pensava di aver superato per sempre i confini della segregazione e dell’arbitrio oggi si ritrova a dover fare i conti con una violenza che torna ad insinuarsi in ogni piega della propria esistenza, perché è violenza la Commissione parlamentare d’inchiesta che vuole indagare sul dolore delle donne attraverso la vivisezione della legge 194, è violenza la campagna scatenata
contro la procreazione assistita, è violenza l’ostracismo dichiarato contro la presenza delle donne in politica, è violenza il tetto di vetro che non si riesce a sfondare; e queste violenze le incontriamo sulla stessa strada sulla quale via via incontriamo i datori di lavoro che molestano, i clienti delle prostitute, i padri stupratori, i fratelli segreganti, e gli assassini. Ma non prendiamocela con loro. Sono solo i terminali di una società organizzata per minimizzare, occultare, segregare la violenza contro le donne. Ogni anno in Italia vengono uccise dalle 90 alle 100 donne per mano di un famigliare. Tutte ma proprio tutte, prima di essere uccise si sono rivolte a polizia, carabinieri, assistenti sociali, tribunali;
ma le loro parole non hanno peso, le loro denunce vengono archiviate, si minimizza, si incoraggia la vittima a tornare dal carnefice, a sopportare, a “capire”. E muoiono. E i titoli dei quotidiani del giorno dopo si interrogano sul perché non è stata fermata in tempo la mano dell’assassino. E’ un copione senza senso che si ripete come in un incubo. Oggi, 25 novembre è stata dichiarata la giornata mondiale contro la violenza nei confronti delle donne. E’ importante. Si alza il sipario su uno scenario di solito avvolto dal buio.
Uomini perché uccidete le donne? Chi incontra ogni giorno le vittime sopravvissute ad anni di violenze, al rischio di perdere la vita, e si confronta con loro, può rispondere riassumendo: perché è la massima espressione della libido del dominio su un altro essere umano, perché è un dominio facile da raggiungere poiché di fronte non hai il nemico, ma una donna che accoglie, che è dialogante, che spera. Ma è una risposta insufficiente, non può bastare. Serve uno sguardo che guarda insieme al futuro e al passato. Le donne come soggetto dotato di corpo, pensiero e diritti loro propri per millenni non sono esistite: lo hanno decretato i Codici, da Hamurabi al ’900. Unico protagonista della Storia il genere maschile, che ha creato Il linguaggio, il pensiero, la cultura che lo rappresenta e che ha definito universale. Così si dice: gli uomini sono tutti uguali e si sottintende anche le donne, che in questa affermazione vengono inglobate. Le donne con le loro specificità e differenza di genere non sono tenute presenti, sono semplicemente inserite in un universale neutro, che però non le descrive. La Politica, la Religione, le Leggi sono rivolte alle persone intese come neutro universale: ma se c’è qualcosa di assolutamente falso è proprio la persona neutra, quella che non ha sesso. In realtà Politica, Religione, Leggi un sesso ce l’hanno, è quello maschile che le ha concepite e modellate su i propri bisogni e immaginari. L’esclusione dal mondo della cultura/culture ha fatto delle donne vittime predestinate dell’arbitrio maschile che si è manifestato a volte con immagini d’amore a volte con la lama dell’assassino.
Ma sempre di più le donne che hanno attraversato il ’900, e che si sono dotate di una propria ottica, rifiutano di farsi raccontare dal pensiero e dal linguaggio degli uomini che hanno riservato loro solo ruoli nati dai propri personali bisogni. Ci sarà da attraversare il tempo di una recrudescenza di delitti di genere, perché le donne hanno imparato a rifiutarsi con determinazione ai ruoli imposti, a queste gabbie anguste e preconfezionate dentro le quale non intendono restare oltre.
Oggi 25 novembre, giornata per sanzionare la violenza contro le donne, ma anche giornata di sciopero generale, le donne, quelle ammazzate, quelle a rischio, quelle che dicono basta, quelle che lottano contro, quelle che hanno gli strumenti per non essere mai più vittime, tutte avrebbero molto gradito che fra i contenuti dello sciopero ci fosse anche una presa d’atto e una promessa di lotta contro questo genocidio diffuso. La sinistra avrebbe detto qualcosa di Sinistra. Peccato.
*presidente dell’associazione Differenza Donna

Liberazione, 25.11.05
La “riforma” del Forum famiglie e del Movimento per la vita. Pressioni sulla linea di Storace ed oltre. Non bastano i volontari pro-life, chiedono di convertire le strutture pubbliche Il consultorio ti bussa alla porta: «Ci hanno detto che vuoi abortire»
di Fulvio Fania

Nelle mani dello spione. Una donna sta decidendo di abortire. Non è certo questo uno dei momenti più sereni della sua vita. Ma ecco che le arriva una telefonata o trova una lettera in cassetta. Chi parla? E’ il consultorio, quello “riformato”, quello che non sta ad aspettare, quello «che si attiva». La rintraccia per dissuaderla dall’intento o, come spiegano gli antiabortisti, per «condividere» le sue difficoltà e «aiutarla». Consulenza imposta. Se proprio non vuole saperne, infatti, deve dirlo espressamente; l’unica libertà che le rimane è respingere il “consultorio” alla porta e, leggendo bene i testi, le è negata pure quella. Ma chi sarà stato a informare gli zelanti operatori? Chi avrà fatto la spia? Carlo Casini ha in mente quel che accade oggi nei Cav, i 278 centri di aiuto gestiti dal Movimento per la vita di cui è presidente; perciò risponde con una lunga esperienza: i casi variano, può trattarsi di un marito, un padre, una madre, una compagna di scuola, amici, parenti, insomma chiunque abbia saputo che quella donna è incinta e voglia “meritoriamente” mettere il naso nella faccenda. Durante la sua conferenza stampa a Montecitorio, il leader del Mpv tralascia un dato: nel 12% dei casi a spedire la gestante al Cav è stato il parroco.
Non dimentica invece quel 4,8% di donne che si rivolge ai Centri su indicazione della stessa azienda sanitaria. Accade già adesso, prima ancora che Storace metta in opera il suo disegno di inserire i “volontari” antiaborto nei consultori. Il Mpv ha firmato infatti una trentina di convenzioni locali con le strutture pubbliche, dalla diffusione di materiale propagandistico a vere e proprie intese per dirottare le donne al Centro di aiuto. Casini in realtà precorre un po’ gli effetti. Nel progetto di legge elaborato dal cattolicissimo Forum delle famiglie e da lui sostenuto, il compito di «informare immediatamente» il consultorio viene attribuito precisamente al medico, il quale con una mano potrà perfino rilasciare alla donna il certificato per l’aborto ma con l’altra dovrà prendere il telefono e allertare subito la più vicina squadra di dissuasori, richiamando la malcapitata «al dovere morale di collaborare» con loro.
La chiamano “riforma” dei consultori e dicono che si tratta di applicare il vero spirito della legge 194, cioè «il dovere dello Stato di proteggere il diritto dei nascituri». Ma per prima cosa escludono il consultorio «dall’iter abortivo». Gli operatori devono solo «tutelare la vita fin dal concepimento», non servono ad accompagnare la donna in una scelta comunque dolorosa ma a farle cambiare strada. Inoltre devono provvedere al «valore primario della famiglia fondata sul matrimonio», «preparare la coppia» alla vita coniugale e stipulare – per l’appunto - convenzioni con organizzazioni di volontariato.
Credete forse che non si intrufolino anche tra moglie e marito? Di fronte alla minaccia di un divorzio dovranno metter pace tra i coniugi mentre il giudice aspetterà che abbiano esperito sei mesi di tentativi.
Non occorre nemmeno che siano consultori pubblici: la legge del Forum prevede anche quelli privati, “volontari” oppure a fini di lucro. Né Carlo Casini né la deputata Udc Olimpia Tarzia, segretaria del Movimento, se la sentono di prevedere l’approvazione della “riforma” entro questo scorcio di legislatura ma l’appoggio ai 34 articoli del progetto del Forum familiare spiega bene dove vadano a parare le intenzioni del ministro Storace. «Senza escludere l’ipotesi - precisa Casini -, la presenza del Movimento vuole significare che il consultorio stesso diventa strumento accanto alle madri per difendere il figlio».
Il vecchio alfiere del referendum contro la legge mette tutta la sua buona volontà per contenersi entro la linea tattica che i vertici della Cei hanno suggerito e incoraggiato da tempo, con la preziosa mediazione di Luisa Santolini, presidente del Forum: la 194 va svuotata, non cancellata d’un colpo. Domandiamo: visto che considerate «ingiusta» la legge, che secondo voi la diminuzione degli aborti non è merito suo, e che nel frattempo è «mutato l’atteggiamento della società rispetto alla nascita», che cosa ne direste di una netta abrogazione? Casini si mostra accorto: «Non saremmo contenti - dichiara - se si tornasse alla repressione penale, ma la rinuncia - e qui aggiunge “rinuncia convinta” - al penale deve essere accompagnata ad un ripensamento complessivo».
E se poi, extrema ratio, la donna ricorresse all’aborto, non sarebbe pur sempre meglio la pillola? Tarzia ritiene che provochi maggior disagio psicologico assumere un farmaco in solitudine piuttosto che affidarsi ad un chirurgo. Il ginecologo Romano, vicepresidente dei pro-life, replica invece con dati allarmistici sulla Ru-486: iI 70% delle donne, dopo averla assunta, si rivolgerebbe al medico per un raschiamento. Davvero? Incalzato da una giornalista, Romano corregge: il 70% si sottopone ad un controllo, per il resto «i dati sono fluttuanti».



Liberazione 13.11.05
editoriale
Difendiamo il patriarcato

per un solo motivo: paura
Il dibattito sulla violenza dei maschi
Franco Giordano

E' onestamente impossibile sfuggire alla stringente e ragionata verità che ci ha proposto ieri su Liberazione Angela Azzaro. Le vie di fuga alla domanda secca e drammaticamente certificata "maschi, perché uccidete le donne"? possono infatti essere molteplici, quasi tutte condivisibili. Ma sempre di via di fuga si tratta. Il liberismo, la globalizzazione, la precarizzazione dei rapporti interpersonali, la violenza diffusa come effetti di una crisi delle forme di socialità. Sì, certo, ma questi contesti appaiono, per l'appunto, "neutrali", a fronte della cruenta cronaca di una guerra annunciata di uomini contro donne. Non spiegano questi contesti, peraltro, la preesistenza di un fenomeno diffuso anche in tempi non recenti. Innanzitutto, credo, che sia giusto mettere in rilievo che il luogo in cui le donne subiscono le violenze più crudeli sia quello che per secoli è stato sacralizzato e nel quale si è tentato di murare la soggettività femminile: la famiglia. E fa un certo effetto scoprire che la "normalità" della coppia eterosessuale, brandita contro ogni forma di relazione celi una consolidata aggressività maschile che le caste (siano esse politiche o sacerdotali) tendono a difendere e a preservare.

Ma queste violenze oggi esplodono come una reazione ad una forte soggettività ed emancipazione femminile. Non solo perché le donne tendono a competere con gli uomini in ogni campo, ma perché smettono giustamente di svolgere una funzione rassicurante e rinforzante della nostra immagine. La proprietà di correzione dello specchio dello sguardo femminile comincia infatti ad agire in senso contrario amplificando limiti e difetti degli uomini. Tutto ciò produce un diffuso senso di inquietudine e disorientamento. Diciamo la verità: vengono feriti il nostro egocentrismo e narcisismo essendo stati abituati sin da piccoli a riceverne in dosi massicce attraverso conferme permanenti da figure femminili come le madri. Quando viene negato quello che a torto appariva un diritto naturale, l'aggressività diventa il bisogno rabbioso di un ripristino della cultura proprietaria sul corpo delle donne. E' il disperato e disperante tentativo di ripristinare un segno gerarchico. E' una violenza fisica, ma si esprime nella politica, nella cultura, nella costruzione della Norma.

Noi uomini non possiamo deragliare dall'obbligo di riconoscere la nostra parzialità. Tanto più rimuoveremo questa assoluta necessità di rimessa in discussione della nostra identità sessuata (anche schermandoci dietro le quinte di ragionamenti sociologicamente e culturalmente ineccepibili) tanto più contribuiremo colpevolmente alla diffusione delle violenze contro le donne e al mantenimento in vita di una società maschilista e patriarcale. Il riconoscimento della contraddizione di genere, la sua autonomia e centralità, sono la leva su cui investire per rovesciare una consolidata gerarchia di poteri e culture.

Per parte mia voglio qui solo sollecitare un tema di riflessione su cui mi interrogo da tempo: il tentativo di ricostruzione di un contatto di noi uomini con la sfera del nostro mondo interiore. Per troppo tempo infatti questa dimensione è stata sostituita da un bisogno estetizzante di conferme esterne, di ricerca di verifiche mediate da figure femminili. È un percorso che porta ad imparare a prescindere dal consenso a tutti i costi, che porta a fare a meno della ricerca esasperata dell'apprezzamento e della stima degli altri come forma sostitutiva della propria autostima. È il tentativo di abbandono dei nostri bisogni infantili o adolescienziali che ci rendono così emotivamente e pericolosamente condizionati dalla immagine riflessa degli occhi altrui, degli occhi delle donne.
È la riscoperta delle passioni attraverso l'abbandono delle paure ancestrali per una possibile esposizione a rischio di sofferenza. Quando la vita si spettacolarizza la passione si svuota nella cerimonia mondana o si spegne nell'esibizione del ccontrollo e della formalità. Senza questo sforzo di ricostruzione tdentitaria noi uomini cercheremo sempre, consciamente o inconsciamente, la scorciatoia del tentativo di ripristino dei privilegi materiali ed emotivi che oggi ci appaiono sottratti o negati. Occorre pensare dunque una trama di relazioni, nuove culture un'alterità di progetti di vita per contrastare le resistenze maschili alla definizione dela nostra parzialità e alla narisistica perdita di centralità