martedì 22 novembre 2005

AprileOnLine, 22.11.05
Gli spagnoli e i privilegi della Chiesa

Il 63,4% degli spagnoli crede che la chiesa cattolica dovrebbe autofinanziarsi e il 78,7% è convinto che si trovi in una situazione di enorme privilegio rispetto alle altre istituzioni, secondo quanto rivela un sondaggio pubblicato oggi.
In pieno dibattito sul tema ell'insegnamento, nelle scuole spagnole, della religione cattolica, solo il 27,3% delle persone intervistate appoggia l'obbligo statale di sostenere le spese della Chiesa e solo un 14,1% vorrebbe che la sua capacità di influenza nel paese aumentasse, contro un 52% che la vorrebbe diminuire drasticamente.
Un altro dato del sondaggio che l'Istituto Opina ha svolto per la Radio Cadena Ser mette in evidenza come il 59,3% giudichi male il fatto che la Chiesa abbia appoggiato, negli ultimi mesi, alcune manifestazioni contro il Governo, e che il 55% creda che alcuni vescovi stiano attuando, congiuntamente al Partito Popolare (PP), contro il Partito Socialista di Jose' Luis Rodriguez Zapatero.
Lo Stato spagnolo contribuisce alle spese della Chiesa con un finanziamento annuale di 3 miliardi di euro, in virtù dell'accordo stipulato da Spagna e Vaticano nel 1979.
Il vice-presidente del governo, Maria Teresa Fernandez de Vega, ha annunciato martedì scorso che il contributo dello Stato alla chiesa cattolica deve diminuire fino al totale auto finanziamento.

AprileOnLine, 22.11.05
Anticlericalismo ottocentesco
Renzo Butazzi

Anticlericalismo ottocentesco. Che vergogna! Oggi i più insigni personaggi di destra e di sinistra sostengono che un vero laico, democratico, rispettoso della libera Chiesa nel libero stato, deve assolutamente evitare un atteggiamento così rozzo e riprovevole. Un atteggiamento che i più raffinati definiscono anche di “integralismo laicista”, peccato mortale.
Come se l’anticlericalismo di due secoli fa fosse nato per la perversione di pochi fanatici, sadici mangiapreti (forse perché i bambini li mangiavano tutti i comunisti?) e non come reazione all’atteggiamento di uno stato ecclesiale che si opponeva all’unità del paese. Conseguita l’unità, l’anticlericalismo sopravvisse per opporsi alle velleità di rivincita del potere ecclesiastico, sconfitto prima sul piano temporale e poi, nel 1870 su quello simbolico. Un potere religioso che aveva utilizzato il divino per dare maggiore legittimità alle sue strutture temporali e imporre l’obbedienza ai sudditi. A questo proposito è significativo ricordare che lo stato della Chiesa, malgrado si identificasse con il centro del cattolicesimo, puniva i sudditi “disobbedienti” con pene molto dure, tra le quali la pena capitale. I dettami del Vangelo venivano richiamati soltanto quando potevano costituire una giustificazione ai comportamenti del potere temporale
“Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio” è un insegnamento non contestabile nella sua semplicità, ma genera molta confusione quando Cesare si fa Dio o Dio viene rappresentato da un Papa-Cesare. L’”anticlericalismo ottocentesco” nacque e visse per spezzare questo binomio e contribuì a costruire un’Italia unita e indipendente. Questa azione meritoria mi pare dia grande prestigio a tale definizione, forse più di quanto ne diano al “laicismo moderno” le azioni compiute dai laici che sono venuti dopo.
Quale funzione hanno avuto i partiti cosiddetti laici durante il dominio democristiano? Solo quella di legittimare tale domino per ricavarne benefici, predicando benissimo – ricordate Ugo La Malfa? – ma razzolando come il dominus consentiva.
E negli ultimi anni cosa hanno fatto i laici del centro-sinistra, equilibrati, tolleranti, rispettosi, bonari e forse un po’ quacquaraquà? Hanno favorito, quanto meno per insipienza, la costituzione di una maggioranza “bulgara” a sostegno di un premier purchessia e non sono stati capaci di fermare il sovvertimento della costituzione e la disgregazione dell’unità nazionale. Anzi, hanno dato i primi colpi, forse senza rendersi conto di ciò che facevano.
Per tornare al “Papa-Cesare” battuto dall’anticlericalismo ottocentesco e alla pavidità dei laici odierni, travestita da obiettività e rispetto, concludo invitando questi ultimi a tenere presenti due proverbi assai noti: “Il lupo perde il pelo ma non il vizio”, “Chi pecora si fa il lupo lo mangia”.

il manifesto, 20.11.05
Ma Frankenstein è impotente
Ida Dominijanni

Chissà che posto spetta alle donne nelle «ampie convergenze nel solco del concordato» enfatizzate da Benedetto XVI e Berlusconi alla fine del loro «cordiale colloquio» di ieri mattina. Di certo si sa che dobbiamo dire il rosario, secondo gli auspici del papa che ne ha fatto dono alla madre del premier e a una signora al suo seguito, e secondo l'invito a usarlo prontamente rivolto a quest'ultima dal premier. Non si sa invece se tra le ampie convergenze rientri anche quella di far diventare l'aborto una via crucis, secondo le direttive del ministro Storace e i desiderata del sempreverde Carlo Casini. Ma Berlusconi, a differenza di Storace, è troppo furbo per scoprirsi su questo punto: annusa che in termini elettorali gliene verrebbero solo guai. E del resto lo sanno tutti, anche quelli che come Storace e Ruini invece si scoprono e si immolano per la causa, che l'autonomia di scelta sull'aborto è il punto di resistenza delle donne sul quale nessuno può pensare di passare. I consultori potranno pure diventare i presidi armati del movimento per la vita: significherà solo che quella risicata percentuale che vi si rivolge attualmente, tre donne su dieci fra quelle che decidono di interrompere una gravidanza, si restringerà ulteriormente. Sulla Ru486 si potrà pure cercare di riattivare l'immaginario antiscientifico mobilitato mesi fa contro la fecondazione artificiale, sulla base del cinico principio per cui se aborto dev'essere che almeno sia chirurgico e non chimico, un po' sanguinoso, visibile e tangibile: stavolta non funzionerà, l'aborto essendo un dato elementare e antichissimo dell'esperienza femminile, ben più radicato dell'uso recente della provetta e inespugnabile dal fantasma di Frankenstein. Tanto più risalta, dato il suo destinato fallimento fattuale, la strumentalità simbolica di un attacco senza precedenti alla libertà femminile come quello che le gerarchie vaticane e governative stanno scatenando in questi giorni, forti del risultato incassato qualche mese fa con il referendum sulla procreazione assistita. L'operazione simbolica è sempre la stessa e si ripete al variare delle stagioni politiche: si tratta di riaffermare l'idea che il corpo femminile e la maternità siano merce scambiabile nel mercato politico, nonché giacimento cui attingere per un potere sprovvisto di argomenti ideali, pratici e programmatici. Sinteticamente parlando, «è una vergogna», come dice il professor Carlo Flamigni. E' una vergogna che Storace convochi i soldatini del movimento per la vita, togliendogli - oltretutto - la patente del volontariato. E' una vergogna che il presidente della Camera tenti di imbrogliarci facendo finta di difendere la 194 e consentendo in realtà che la si abbatta trasformando in dissuasione la prevenzione dell'aborto cui essa parla. E' una vergogna che i cattolici del centrosinistra la pensino e la dicano allo stesso modo. E' una vergogna che le prime reazioni femminili del maggior partito della sinistra al progetto di Storace abbiano invocato la presenza «pluralista» delle associazioni nei consultori, invece di mandare il ministro a quel paese. E' una vergogna che il lessico ufficiale della sinistra, maschile e femminile, sull'aborto sia rimasto quello di trenta anni fa, dramma e piaga sociale e mai, o quasi mai, questione di responsabilità e libertà femminile.

Non è chiaro perché mai, di fronte a questo scempio, Massimo D'Alema conti sulla lista unitaria dei riformisti per superare le divisioni fra laici e cattolici. Quello che è chiaro è che l'uso, un pessimo uso, del moralismo cattolico come protesi di una politica esangue sarà l'elemento caratterizzante della prossima campagna elettorale. Sta in primo luogo non solo a chi tiene alla laicità dello stato, ma a chi ha il senso della religiosità fare di tutto per evitarlo.

il manifesto, 20.11.05
Indietro tutta
Rossana Rossanda

Non sorprende che Camillo Ruini, il più autorevole dei nostri vescovi, intervenga così frequentemente sulle scelte del governo italiano. C'è da chiedersi perché si permetta di farlo ora. La gerarchia cattolica non ha mai accettato fino in fondo la separazione di campo tra stato e chiesa. Non è una novità. È dal famoso «non expedit» che i cattolici si sono sentiti addosso l'interdizione vaticana a partecipare alla sfera politica ed è un merito della democrazia cristiana di De Gasperi essere riuscita a far ritirare di fatto questa proibizione, lasciando alla destra o alla disinvoltura di Craxi farsi portavoce dei principi e dei bisogni che oltretevere erano cari. L'avere scomunicato nel dopoguerra chi votava comunista aveva finito con il rivolgersi contro la stessa chiesa e dall'interno del suo stesso gregge. E certo anche per la riflessione aperta dal Vaticano II, sebbene dopo la morte di Giovanni XXIII e del tormentato Montini quel processo sia andato lentamente chiudendosi. In ogni modo le relazioni tra stato e chiesa parevano aver finalmente imboccato una strada corretta. Non che Giovanni Paolo II non facesse sapere quel che pensava di molti aspetti della modernità, a cominciare dalla controversa questione della libertà sessuale; ma i suoi messaggi si indirizzavano al mondo, e non erano - mi sembra - un intervento diretto nel fare quotidiano delle istituzioni pubbliche.

È dal suo tramonto che la chiesa ha ricominciato a ribadire che il cattolicesimo non riguarda soltanto la coscienza del singolo ma è una scelta obbligata dell'intera nazione italiana. Ed è da allora che la chiesa ottiene dal governo, con la modesta correzione del capo dello stato, inchini e nuovi privilegi (come la detassazione del suo immenso patrimonio immobiliare) e riceve non solo dalla Casa delle libertà - è di ieri la «speciale convergenza» registrata da Berlusconi e Ratzinger - ma dalla sinistra un ossequio che non aveva neppure più sperato di avere.

Ed è questo, non la persuasione da parte della santa sede di detenere la verità rivelata e di imporla a tutto l'universo, che fa scandalo. Lo scandalo è tutto dalla parte della sfera statuale.

Era cominciato da prima della morte di Giovanni Paolo II, ricevuto dal parlamento più che come un ospite di riguardo come il vero maestro del paese, tanto che ormai una targa commemora l'ingresso di quegli augusti piedi nella sede del potere legislativo. Oscar Luigi Scalfaro, credente sul serio, non lo avrebbe mai permesso. È stato dunque un processo, una svolta tutta interna alla scena politica. Forse l'inizio sta nella definizione sempre più diffusa di quel pontefice come la massima autorità morale del nostro tempo - aveva cominciato Massimo Cacciari, che del cristianesimo fa davvero tutto - ma poteva essere un seppur smisurato omaggio. Ma poco tempo fa Giuliano Amato apriva dalla sua posizione di laico di sinistra un discorso nel quale riconosceva alla chiesa di Roma un alto magistero e l'additava in particolare come modello di tolleranza.

Affermazione davvero temeraria da parte di un uomo così colto giacché non occorre riandare alle crociate o all'inquisizione per ricordare che la tolleranza non è stata certo la sua principale virtù. Basta rifarsi al dopoguerra, dalle dirette pressioni esercitate su Dossetti poi sulla sinistra cristiana e infine sullo stesso Franco Rodano fino al recente gesto di fastidio con il quale GIovanni Paolo II allontanava da sé Leonardo Boss che gli si era gettato in ginocchio davanti. Ad Amato sono seguite dichiarazioni più goffe da parte dell'ex sinistra. Lasciamo stare Pera e Casini, l'ultimo dei due distintosi per la differenza che fa tra laicità, ammessa, e laicismo, condannato. Piero Fassino sentiva di colpo il bisogno di dichiarare che, essendo stato educato dai gesuiti non poteva che provare sentimenti di venerazione per la chiesa. Seguito rapidamente da Fausto Bertinotti che ha fatto sapere via stampa di avere un problema tutto interiore con Dio, si è intrattenuto con i vescovi sulla trascendenza e ieri l'altro dichiarava al Corriere della sera che soltanto la chiesa può essere ai nostri giorni un punto di riferimento morale e che chi, come lui, riflette specialmente sull'uomo, non può non riflettere anche su Dio. Il giorno seguente Piero Sansonetti, su Liberazione, glielo contestava in forma garbata con ragionamenti del tutto condivisibili.

Non so se questa improvvisa ondata di religiosità un po' sia un modo poco elegante per acchiappare voti di centro, come candidamente confessa Livia Turco, nel lodevole intento di toglierci di torno Berlusconi, o se sia ormai così enorme nella cultura dei nostri leader, sinistra e destra per una volta unite, la confusione di idee fra religiosità, cristianesimo, cattolicesimo e chiesa. Termini dei quali uno solo ha una identità storica indiscutibile ed è il cristianesimo, la religiosità essendo una inclinazione psicologica, il cattolicesimo riflettendo solo una parte dei cristiani, e la chiesa di Roma essendone soltanto l'espressione che più temporale di così non potrebbe essere, con tutti i terrestri guai che alla temporalità sono connessi.

Quale che sia l'interpretazione autentica, la leadership politica della sinistra o ex sinistra ci fa sapere che il suo revisionismo è andato molto ma molto più in là di quanto sia stato fino a un paio di anni fa. Fino a persuadersi, gli uni soddisfatti gli altri con preoccupazione, di essere del tutto sprovvisti e incapaci di un'etica. E di avere scoperto di esserlo sempre stati, come se il fatale illuminismo, con la dichiarazione che l'uomo è peribile e deve a se stesso ogni responsabilità di quel che avviene o non avviene in terra, non fosse stato una rivoluzione di ordine non solo culturale ma morale nella storia europea. Come se l'azzeramento della modernità, l'attacco alle illusioni della ragione rispetto alle ragioni non più del cuore ma addirittura delle viscere avesse ormai debordato i limiti di una riflessione critica per assumere il carattere di una esorcizzazione di tutto quel che è successo fuori dai palazzi vaticani da Montaigne ai tempi nostri.

Francamente più che una crisi di cultura sembra una crisi di ignoranza. Se non siamo, e non lo siamo, volgarmente progressisti, dobbiamo ammettere che la storia non è tutta un andare avanti, che le regressioni esistono, e che la riduzione della politica ai giorni nostri, forse in particolare in Italia, fa di essa il più clamoroso e mediatizzato veicolo.

il manifesto, 20.11.05
Eccoci vescovizzati
Alessandro Robecchi

Vedo che giornali e telegiornali parlano molto delle donne, del corpo delle donne, dei diritti delle donne. Quelli che ne parlano sono uomini, o vescovi, o Giovanardi, il che induce a pensare che non ci sia davvero alcuna pietà per le ragazze. Il fatto che Ruini, Storace e la regione Veneto (con l'appoggio esterno di Casini) vogliano aprire le porte dei consultori ai militanti del movimento per la vita ha del paradossale: prima si è fatto di tutto per impoverire i consultori, minarli, devastarli, e poi si pretende di infiltrarli con quei signori che anni fa se ne andavano in giro con un feto nella ventiquattr'ore. A nessuno sfugge che la nuova impennata di livore antiaborista derivi da un semplice ed elementare progresso scientifico (in cui peraltro l'Italia arriva buona ultima), cioè l'introduzione di una pillola abortiva che permette l'interruzione di gravidanza in modo meno invasivo, doloroso e chirurgico. Insomma, si sa che se non ci sono sangue e lacrime in quantità i cattolici si divertono molto meno, e rischiano di perdere per strada alcuni dei principali pilastri del loro marketing: dolore, sofferenza, violenza sui corpi, senso di colpa eccetera. Già perdono clienti su molti fronti (il fronte delle vocazioni, il fronte dei matrimoni) e veder sfumare gran parte della sofferenza (almeno gran parte di quella fisica) da una scelta che già di suo è sofferta e traumatica li turba parecchio.
Del resto, tutte le aziende che perdono quote di mercato tentano per prima cosa un marketing più aggressivo. Si aggiunga che i vescovi stanno in tivù ormai quasi più di Bruno Vespa e che hanno acquisito una visibilità mediatica che è ben superiore al loro peso nella società. O perlomeno al peso che avrebbero nella società se tutti - a destra e a sinistra - non passassero ore, giorni e settimane a corteggiarli per una questione o quell'altra. Così ci sono esponenti della sinistra che chiedono con accorati appelli di non attaccare più i vescovi, cosa che pare faccia perdere voti. E sembra che il problema non sia più quello di essere laici (sacrilegio!), ma che si debba evitare persino di essere laicisti. E ancor più strabiliante è l'affermazione di Fassino che sottoscrive in toto le parole del papa (lui dice «perfetta sintonia»). Cioè: «Laicità significa assoluta indipendenza dei valori temporali tenendo conto della fede». Tradotto in italiano, essere laici significa dividere in modo ferreo le cose dello Stato da quelle della Chiesa, fino a quando non interviene la fede. Papale papale (è il caso di dire) si può essere laici finché si vuole, ma poi interviene la fede e prende tutti a cazzotti: il laicismo è dunque una faccenda per atei e quindi, alla fin della fiera, pussa via.

Ha ragione Andrea Colombo che ieri, su questo giornale, ha analizzato in questo modo l'invadenza della Chiesa nella politica italiana: sfumato il sogno di un partitone cattolico, sono passati all'infiltrazione di entrambi gli schieramenti. Quel che si propone, insomma, è una specie di pensiero unico (come quello liberista, né più né meno) che pervada entrambi i poli, da qui la prudenza della sinistra, le conversioni improvvise, le posizioni interlocutorie che spuntano anche quando non ci sarebbe niente da interloquire. La politica insomma si vescovizza. Ma va detto che anche i vescovi si politicizzano (nell'accezione meno nobile, clientelare e cinica) e oggi la Cei sembra Mastella, da cui ognuno va con il suo cesto di doni per guadagnarsi il consenso. Ieri, per esempio, il capo del governo è andato a incontrare il papa, carico di fogli e foglietti per mostrare quanto abbia fatto il suo governo per favorire la Chiesa. Una Chiesa che parla alle anime, ma che non disdegna di risparmiare sull'Ici, e questo a casa mia si chiama laicismo. Sulla triste questione dell'Ici, ad esempio, la sinistra ha protestato vibratamente, ma non ho sentito nessuno mettere all'ordine del giorno per il prossimo dieci aprile, in caso di vittoria dell'Unione, il ripristino immediato della tassa sugli immobili della Chiesa (altro sacrilegio!). In compenso, ecco tutti, a sinistra, plaudire alle critiche ecclesiastiche alla devolution, come se i vescovi avessero improvvisamente detto «qualcosa di sinistra». Miopia spaventosa: trattasi soltanto della preoccupazione di poter controllare venti sanità invece di una sola. E visto che le regioni che chiedono l'introduzione della pillola abortiva cominciano ad essere parecchie, i vertici della Chiesa si chiedono come diavolo faranno, in futuro, a far pressione su venti ministri della sanità anziché su uno solo, che tra l'altro - non c'è limite al peggio - oggi si chiama Storace.

La Stampa – TuttoLibri, 19.11.05
Keats: una ribellione assoluta, metafisica, all’Inghilterra bigotta
Fazi ripercorre la breve esistenza del poeta romantico che volle sulla lapide: «Qui giace un uomo il cui nome fu scritto sull’acqua»
Mario Baudino

LORD Gordon Byron fu particolarmente maligno: «Comunque, uno che muore per un articolo di una rivista sarebbe morto per qualcosa di altrettanto futile», scrisse al suo editore commentando sarcasticamente la scomparsa di John Keats, e la tesi di Percy Bysshe Shelley secondo cui a stroncare la vita del poeta era stato un ignobile attacco della «Quarterly Review». Lo immortalò nel «Don Juan», ancora una volta non senza un sarcasmo venato di malinconia. Ma i tre poeti che in vita si erano più o meno ambiguamente apprezzati, erano affratellati proprio dalla morte. Keats era stato sepolto nel 1821 a Roma, dove nel cimitero protestante volle fosse incisa la celebre lapide: «Qui giace un uomo il cui nome fu scritto sull’acqua». Shelley naufragò al largo di Viareggio nel ‘22; Byron fu ucciso da una febbre reumatica due anni dopo, a Missolungi dove combatteva per l’indipendenza greca.
I tre grandi romantici si spensero giovani e belli, all’altezza della loro leggenda, che non sembra pur tra alti bassi avere mai dato in due secoli evidenti segni di stanchezza. Ora è forte più che mai. Ed è interessante notare come fra la primavera e l’autunno due di loro abbiano suscitato l’interesse partecipe di altrettanti scrittori italiani, che li hanno avvicinati con un atteggiamento non dissimile. Giuseppe Conte ha dedicato al naufragio di Shelley La casa delle onde (Longanesi), strutturato come un vero romanzo storico. Ora Elido Fazi, l’editore, pubblica L’amore della luna, una biografia romanzata di John Keats, incentrata sull’anno cruciale, il ‘19, in cui scrisse la sua celeberrima «Ode all’autunno». Romanzata forse non è la parola giusta: in realtà Fazi non inventa nulla, ma ricrea il poeta attraverso le sue opere e le sue lettere - e la sterminata bibliografia in proposito -; gli dà insomma lo statuto di personaggio letterario. E’ curioso come in entrambi i libri sia proprio il rapporto tra il poeta e la sua poesia quello che interessa all’autore, il cuore della ricerca e della ricreazione. In L’amore della luna la breve, febbrile esistenza di Keats (morto a 26 anni) sfugge alle trappole di una facile angeologia grazie a uno sguardo nello stesso tempo infinitamente partecipe e moderno, laico. Fazi sa raccontare, combinando il passo del biografo con quello del romanziere, ma anche con quello del lettore di poesia. I debiti, gli amori (in particolare quello con Fanny Browne, sofferto e tumultuoso, «totale», tanto da essere sentito come una minaccia per la stessa possibilità di scrivere), le puttane e le vicende famigliari, la provocazione culturale e politica di un ateo - o di un pagano - nell’Inghilterra bigotta, il senso del destino e la devozione totale alla letteratura, al «suo» Shakespeare, ci narrano la storia di una ribellione assoluta, per certi aspetti «metafisica». Keats pur senza vivere le avventure dei suoi «fratelli» romantici, si ribella radicalmente a tutto. Non solo allo status quo politico e sociale, ma anche alla stessa esistenza, ai limiti della vita. Il cuore di questo gesto estremo è la poesia, l’unico modo per decidere se si è vivi o morti, per affacciarsi tremanti sulla vertigine dell’esistere. Così nella pagina che dà il titolo al libro, dove Keats, in un campo notturno, fissando la luna ha come una percezione dell’«infinito del tempo», in una sorta di identificazione erotica tra l’anima e quella luce celeste, pare di cogliere il senso del libro, la voce dell’autore che al di là della biografia, montata con grande tecnica «romanzesca», deflagra nel personaggio e ne fa il tramite oltre che il simbolo, forse, del proprio viaggio nei territori lunari di quella poesia.

ANSA, 21.11.05
Gb: Stupri, colpa anche delle donne
Secondo studio in alcune circostanze la donna è responsabile

LONDRA, 21 NOV - Oltre un terzo di britannici ritiene che la donna in alcune circostanze sia parzialmente responsabile quando rimane vittima di uno stupro. E' quanto emerge da un sondaggio commissionato da Amnesty International reso noto oggi. Quando una donna flirta ha parte della colpa secondo il 28% dei mille intervistati (per il 6% tutta). Altri comportamenti a rischio sono: l'ubriachezza, gli abiti sexy o discinti.

ANSA, 21.11.05
Cannabis pericolosa per psicosi
Dati forniti da una ricerca condotta in Australia

SYDNEY, 21 NOV - Una nuova ricerca australiana mette in luce i pericoli della cannabis per chi la fuma nell'adolescenza. Un'analisi di 5 anni delle cartelle cliniche di malati mentali ricoverati, nello stato del Nuovo Galles (Sydney), indica che quattro su cinque avevano fumato marijuana regolarmente fra i 12 e i 21 anni. "Questo rappresenta l' 80% delle persone che soffrono di disturbi psicotici di lungo termine" afferma Andrew Campbell dell'Istituto di salute mentale.

ANSA, 21.11.05
In Italia, depressi 800mila giovani
Il fenomeno è in crescita, Associazione docenti cattolici

ROMA, 21 NOV- In Italia ci sono 800 mila giovani depressi con il 'male di vivere' e il fenomeno e' in aumento, lo sostiene l'Associazione docenti cattolici. Tale sofferenza mentale non e' sempre colta dalla famiglia secondo l'Adc che tra le cause individua le pressioni sociali 'in una societa' in cui prevalgono i valori dell'avere, non quelli dell'essere', lo stress da competizione, i ritmi di crescita accelerati, la solitudine, le minori occasioni di gioco e lo sfogo dell'aggressivita'.

Le Scienze, 18.11.05
Donne e umorismo
I cervelli di uomini e donne reagiscono in modo diverso alle barzellette

Le differenze fra i sessi rappresentano da sempre una delle principali fonti di umorismo. Alcuni scienziati hanno però scoperto che proprio l'umorismo costituisce una di queste differenze, attivando il sistema di ricompensa nel cervello delle donne più frequentemente di quello degli uomini.
Studi precedenti avevano già dimostrato che donne e uomini reagiscono in maniera differente alle stesse battute. Da tempo gli studiosi erano alla ricerca di una base neurologica per queste differenze, ma senza successo. Nel 2003, Allan Reiss dell'Università di Stanford aveva scoperto che durante la lettura di una vignetta comica, il centro della ricompensa del cervello si attivava. Ora Reiss e colleghi hanno deciso di scoprire se questa parte del cervello si comportasse in modo differente negli uomini e nelle donne. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista "Proceedings of the National Academy of Sciences".
Gli scienziati hanno posizionato 10 uomini e 10 donne in uno scanner a risonanza magnetica e hanno chiesto a un gruppo separato di volontari di valutare 130 vignette in base a quanto fossero divertenti. Hanno poi mostrato ai soggetti nello scanner le 30 vignette più divertenti e le 40 meno divertenti. Anche i partecipanti hanno dovuto giudicare la comicità di ciascun fumetto. In risposta alle vignette divertenti, entrambi i sessi hanno sperimentato un'attività simile nelle regioni del cervello che elaborano il linguaggio e la semantica. Ma le aree che gestiscono processi analitici come la memoria o il pensiero astratto sono risultate più attive nelle donne, suggerendo un approccio più critico verso la vignetta. Anche il sistema della ricompensa si è attivato maggiormente nelle donne, mentre negli uomini si osservava un calo di attività quando risultavano poco soddisfatti dalla gag.
Secondo Reiss, questo potrebbe indicare che gli uomini si attendono che le vignette siano divertenti e rimangono delusi quando le battute non fanno ridere. Le donne, invece, non si aspettano inizialmente di dover ridere, come se pensassero "non è divertente finché non dimostra di esserlo", e pertanto ricavano maggior piacere dalle battute meglio riuscite. Lo scienziato è convinto che apprendere come le donne elaborano gli stimoli emozionali, come l'umorismo, potrebbe aiutare a capire perché esse siano più suscettibili di depressione.
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Corriere della Sera, 21.11.05
Le decisioni della Corte d'assise d'appello di Torino. Nuova udienza lunedì
Nuova perizia psichiatrica per la Franzoni
Accolta anche la richiesta della difesa di procedere a un nuovo interrogatorio dell'imputata. Che dice: «Voglio solo la verità»

TORINO - Nuova perizia psichiatrica per Annamaria Franzoni, condannata in primo grado per l'uccisione del figlio Samuele Lorenzi avvenuta il 30 gennaio 2002 a Cogne. La Corte d'assise d'appello di Torino ha infatti accolto la richiesta del procuratore generale e ha anche detto sì alla richiesta della difesa di procedere a un nuovo interrogatorio dell'imputata.
I DUBBI SUL PRIMO ESAME - «La decisione è stata determinata dal fatto che la precedente perizia psichiatrica lascia spazio a dubbi», ha detto il presidente della Corte d'assise d'appello
Romano Pettenati. Il test eseguito durante le indagini preliminari aveva stabilito che Annamaria era capace di intendere e di volere e non presentava patologie. Pettenati, però, dice che il metodo seguito dagli esperti in quell'occasione «non è da condividere», aggiungendo che è necessario scavare «nei malesseri manifestati dall'imputata» e nel suo rapporto con Samuele, caratterizzato da «inquietudini non facilmente comprensibili». Il presidente della Corte ha fatto proprie le perplessità manifestate dal consulente della procura di Aosta, Ugo Fornari, che aveva criticato il lavoro dei periti e che, all'incidente probatorio, aveva persino segnalato un indizio di «paranoia» fornito da un test sulla personalità chiamato Minnesota che non era stato approfondito.
«MANCANO 125 FOTOGRAFIE» - L'avvocato difensore dell'imputata, il deputato Carlo Taormina, ha detto che la sua cliente è «indisponibile» ad una nuova perizia psichiatrica «poi - ha aggiunto rivolgendosi al presidente Pettenati - voi farete quello che riterrete». Taormina ha inoltre spiegato che dal fascicolo di indagine sul delitto di Cogne «sono sparite 125 fotografie». Una delle possibili spiegazioni fornite da uno dei carabinieri ascoltati in udienza è che siano state adoperate due macchine fotografiche (e che quindi la numerazione non coincida), ma Taormina ha detto che è necessaria un'indagine della procura di Torino.
«VOGLIO SOLO VERITÀ» - «Voglio solo che esca la verita, solo quello», ha commentato Annamaria Franzoni, in un momento di pausa del processo di appello. Nel corso dell'udienza era stato mostrato un video girato dai carabinieri dopo la scoperta dell'omicidio e alla vista di quelle immagini la donna è scoppiata in lacrime.
SEDUTA AGGIORNATA - L'udienza si è conclusa poco prima delle 19 ed è stata aggiornata a lunedì 28 novembre. In quella occasione sará ascoltato un ufficiale del Ris che dovrá esibire tutto il materiale ricevuto dai carabinieri di Aosta. Saranno anche visionati dei cd e nominati i periti ai quali sará affidata la perizia psichiatrica. Una ulteriore udienza è già stata fissata per il 19 dicembre e riguarderà, invece, la nomina dei periti per il controllo delle tracce ematiche presenti sul pavimento della camera da letto della villa di Cogne dove nel gennaio 2002 fu ucciso il piccolo Samuele.

Liberazione, 20.11.05
Il premier a colloquio con Benedetto XVI insieme al "tutor" Gianni Letta. Non era mai capitato un faccia a faccia a tre. Visita di un'ora e mezza in Vaticano
Concordato tra Berlusconi e Papa
Fulvio Fania

Sacro, inviolabile «solco» dei Patti Lateranensi. L'Italia non lo abbondonerà, con la Santa sede resta la «comune volontà» di proseguire la «collaborazione» lungo la strada tracciata dal Concordato. Il primo scopo della visita di Berlusconi in Vaticano è realizzato: rassicurare Oltretevere, se mai ce ne fosse bisogno, che gli accordi tra lo Stato e la Chiesa non si toccano. Il premier ha tutto l'interesse a mostrarsi come il miglior garante degli accordi. Da parte loro le gerarchie ecclesiastiche, al semplice agitarsi di temi come l'otto per mille, accolgono volentieri le conferme del governo, mentre coltivano rapporti con gli esponenti ritenuti più amici in entrambi gli schieramenti.
Berlusconi non può certo fare promesse di lungo periodo, può invece rispondere di decisioni immediate sulle questioni che stanno a cuore alla Chiesa: famiglia, pillola abortiva, "ingabbiamento" della legge 194, parità scolastica - ne ha parlato a Milano il cardinale Tettamanzi -, per non dire di affari spinosi come l'Ici sulle proprietà ecclesiastiche.
Alla vigilia dell'incontro, non per caso, Ruini ha imposto una poderosa gelata sulle critiche dei vescovi nei confronti della riforma costituzionale, in un sapiente alternarsi di docce calde e fredde.
Trentaquattro minuti di colloquio con il Papa sono un record di durata rispetto alla tradizione. Se si considera poi l'incontro successivo tra la delegazione italiana e il Segretario di Stato vaticano Angelo Sodano, risulta chiaro che in un'ora e mezza non si è trattato solo di gesti d'immagine. La nota della Sala stampa vaticana precisa che vi è stato «uno scambio di opinioni sui problemi bilaterali», oltre «alcune reciproche informazioni sulla situazione internazionale». Ciò spiega la presenza al colloquio riservato tra il premier e il Papa di un terzo incomodo, quasi un "tutore" per Berlusconi: il sottosegretario Gianni Letta, vero tessitore delle relazioni tra Palazzo Chigi e Oltretevere. Il faccia a faccia si è trasformato così in un incontro a tre, come non capita mai tra un capo di governo e il pontefice.
Per il resto, lo stile Berlusconi non si smentisce. «Erano cinque anni che non venivo qui. Con lei è la prima volta». Così si è rivolto al Papa, tanto per dire qualcosa di familiare prima che gli venisse in mente di parlargli della sua mamma e di chiedere un rosario per lei. Cosa che ha puntualmente fatto al termine dell'incontro. E' mancato poco che il Cavaliere domandasse a Ratzinger: «Lei è nuovo di qui?».
Venditore nato, il presidente ha gonfiato perfino il prezzo del crocifisso in legno e avorio che stava donando a Benedetto XVI. Il prezioso oggetto risale infatti all'Ottocento francese ma Berlusconi l'ha spacciato per un'antichità del 700.
Per Ratzinger i rapporti con lo Stato italiano sono importantissimi. Non perché si appassioni alla politica nostrana ma perché pensa che l'Italia sia il paese più adatto a contrastare la «secolarizzazione» e il «laicismo» delle istituzioni. Quella di Benedetto XVI è una vera offensiva culturale e religiosa, con immediate conseguenze politiche in tutti i paesi d'Europa. E' tornato sull'argomento anche ieri, poco prima di ricevere Berlusconi, rivolgendosi al docastero vaticano per la salute che ha organizzato un convegno internazionale sul genoma umano. Il Papa ritiene che il «nichilismo» non sia riuscito a rovinare i paesi di più lunga tradizione cristiana laddove scorge, al contrario, reazioni interessanti anche da parte di molti laici, più o meno "devoti". «Il secolarismo radicale - afferma il Papa - non soddisfa più gli spiriti maggiormente consapevoli» e dunque per i cattolici «si aprono spazi forse nuovi di dialogo con la società». Ratzinger insiste sulla «dignità dell'uomo a cominciare dal primo momento della fecondazione» e ribadisce che la Chiesa annuncia «le verità» non soltanto con l'autorità del Vangelo ma «con la forza della ragione», «nella certezza che accoglierle giovi ai singoli e alla società».

Liberazione, 20.11.05
Ru486, sarà usata in Emilia-Romagna

La pillola abortiva RU486 sarà utilizzata dagli ospedali dell'Emilia-Romagna, e non si tratterà di una sperimentazione. L'assessore regionale alla sanità Giovanni Bissoni ha emanato una circolare, inviata ai direttori generali delle Ausl, in cui vengono spiegate le modalità per acquistare la pillola abortiva all'estero e indicate le linee guida per il rispetto della legge 194.

Liberazione, 20.11.05
Si è tornata a riunire a Roma la Camera di consultazione permanente della sinistra radicale
Asor Rosa: trovare una convergenza sul programma
Castalda Musacchio

Trovare una convergenza progammatica. E' il pressing all'Unione che quell'area della sinistra critica e dei movimenti - la Camera di consultazione permanente - riunita di nuovo a Roma da Alberto Asor Rosa continua a sostenere. Un'attesa precisa per le forze radicali affinché si possa superare quella dicotomia "radicalismo riformismo" per una forza di sinistra "l'Unione" che si appresta a governare. Lo sostengono a più voci i vari esponenti di quell'agorà di forze politiche, di movimenti, di associazioni che ne fanno parte. Una richiesta - nota lo stesso Asor Rosa - che ad oggi resta disattesa. «A questa impostazione di programma - riflette - non è corrisposto un analogo processo politico tra le forze di centrosinistra». E ciò fa sì che prevalga anche all'interno della sinistra un preoccupante "moderatismo". E comunque il prossimo leader di governo non potrà non tener conto anche delle posizioni espresse da questa sinistra. Il monito è chiaro e si misura nelle parole dei vari esponenti che ieri per tutta la giornata si sono alternati ai microfoni del residence Ripetta. Le questioni aperte sul tavolo restano molte. A partire dalla risposta che le stesse forze di centrosinistra hanno dato in politica estera per esempio - come sottolineano Raffaella Bolini dell'Arci e Alberto Burgio (della direzione nazionale di Rifondazione) - dove si sono continuate a registrare a quel "via dall'Iraq senza se e senza ma" posizioni sempre più caute e ambigue. Per continuare con i diritti sociali e del lavoro su cui pesano - denuncia Gianpaolo Patta (ex membro della segreteria nazionale Cgil) - le posizioni sostenute da Prodi sulla direttiva Bolkestein. In definitiva un'agenda programmatica che riporti al centro della discussione il ruolo del pubblico - Valentino Parlato del "Manifesto" parla persino di un «ritorno dell'Iri» - anche per la tutela della democrazia e del pluralismo informativo su cui ha riflettuto Giulietto Chiesa. Infine e non da ultimo per aver modo di costruire una base di ascolto per una vera reale alternativa di democrazia partecipata come propongono i rappresentanti dei movimenti. «Ma non lo si può fare - denuncia Guido Lutrario - creando una confusione sul nascere. Da parte di uno schieramento del centrosinistra non vi è stata alcuna apertura al dialogo con i movimenti come anche le recenti vicende della protesta nata in Val di Susa hanno dimostrato». Il rischio - conclude - è che al momento di fare scelte governative quel dialogo venga meno e in ragione del fatto che si teme l'apertura a quella conflittualità spontanea che nasce dalla società civile. E allora perché no? «Se sarà necessario proporremo anche noi un "deputato" che sia espressione di questa parte della società che resta inascoltata».