il manifesto 10.2.19
Dalla piazza avviso ai governanti
Manifestazione
Cgil Cisl e Uil. In sostanza si reclama un vero cambiamento strutturale
e si mette in evidenza il limite di una politica principalmente
affidata alla redistribuzione del reddito
di Norma Rangeri
Una
manifestazione contro la manovra di bilancio di un governo che certo
gode di un largo consenso popolare ma che ha di fronte anche una forte
opposizione che viene dal mondo del lavoro. La grande partecipazione di
lavoratori che ieri ha invaso Roma e che piazza S. Giovanni non riusciva
a contenere, ne è l’evidente, vitale, importante e imponente
dimostrazione.
L’ultima piazza unitaria di Cgil, Cisl e Uil fu nel
2013 dell’era renziana che tante batoste avrebbe regalato ai diritti
sociali e tanti soldi pubblici alle imprese. Chi stava male oggi sta
peggio e chi si arricchiva con la crisi continua a farlo. Il cambiamento
chiesto con il voto del 4 marzo e promesso da Lega e 5Stelle con le
leggi bandiera del reddito e delle pensioni, incontra l’opposizione dei
sindacati con la richiesta di un piano straordinario di investimenti e
di una politica salariale contro la piaga dei lavoratori poveri,
cresciuta con un incremento monstre del 30% ( chi ieri era in piazza,
vale ricordarlo, ha pagato con una giornata di lavoro).
In
sostanza si reclama un vero cambiamento strutturale e si mette in
evidenza il limite di una politica principalmente affidata alla
redistribuzione del reddito.
A onor del vero la manifestazione di
ieri ha messo in evidenza anche limiti e contraddizioni, come
testimoniava la presenza al corteo di una delegazione di imprenditori
emiliani favorevoli alle trivellazioni nell’Adriatico. E bisognerebbe
finalmente metterla all’ordine del giorno la questione del rapporto tra
crescita e qualità dello sviluppo, almeno finché la resistenza ecologica
del pianeta ce lo consente.
Il governo dovrebbe ascoltare e
chiamare al confronto una piazza così per due ordini di ragioni.
Innanzitutto perché è la voce di un paese che vuole poter vivere di un
lavoro dignitoso e godere di servizi sociali, questi sì, di livello
europeo. Ma anche perché i vecchi, storici sindacati italiani, con tutti
i limiti di strutture anchilosate, burocratiche e sopravanzate dalla
rivoluzione tecnologica dei nuovi padroni del capitalismo globale,
esprimono tuttavia culture politiche, sociali, costituzionali che nessun
partito oggi rappresenta. Purtroppo non è l’ascolto, né il confronto la
cifra distintiva di una maggioranza che, ogni giorno di più, si rivela,
all’opposto, allergica al rispetto della rappresentanza, incline
all’occupazione del potere e incapace di contrastare una rovinosa
recessione economica.