venerdì 2 novembre 2018

Repubblica 2.11.18
Svidercoschi
"Neanche Wojtyla credeva ai legami tra la scomparsa e il caso Agca"
di Paolo Rodari


CITTÀ DEL VATICANO «Chiesi nel 2006 a Stanislao Dziwisz, segretario di Giovanni Paolo II scomparso l’anno precedente, che cosa sapesse il Papa della scomparsa di Emanuela Orlandi. Mi rispose che Wojtyla non credeva alle ricostruzioni che legavano l’attentato di Ali Agca con la scomparsa di Emanuela. Di vero, mi spiegò, c’era solo la sua angoscia per la sorte della ragazza».
Gianfranco Svidercoschi, 82 anni, da 60 segue da giornalista le vicende del mondo vaticano.
Fresco autore di "Un Papa che divide?" (Rubbettino), nel 1983, poche settimane dopo la scomparsa della Orlandi, divenne vicedirettore dell’Osservatore Romano.
Cosa accadde?
«Un giornale, viste le mie origini polacche, scrisse che ero stato nominato per le mie conoscenze del mondo dei servizi segreti dell’Est Europa. Che senz’altro mi sarei adoperato per il caso Orlandi del quale sapevo cose di cui nessuno era a conoscenza. Mi stupii molto.
Non avevo rapporti coi servizi e della scomparsa della Orlandi sapevo quello che scrivevano i giornali».
Incontrò i familiari di Emanuela?
«L’Osservatore si trovava vicino all’abitazione degli Orlandi.
Incrociai un giorno il padre di Emanuela, Ercole. Lui mi esternò il suo dolore per la scomparsa della figlia: almeno in quella fase, era convinto che fosse incappata in una morte violenta, forse vittima di un maniaco. Era girata la notizia di un uomo che aveva offerto un lavoro a Emanuela il giorno in cui sparì. E lui era convinto vi fosse un legame».
Cosa pensa delle ossa ritrovate nella Nunziatura?
«Non credo che il Vaticano c’entri qualcosa. La sua storia è piena di dietrologie senza senso. E il Vaticano di oggi è senz’altro in un periodo di confusione. Ma pensare che per nascondere una persona morta vadano a scegliere un loro palazzo è un controsenso».