giovedì 29 novembre 2018

Corriere 29.11.18
Risponde Aldo Cazzullo
Dopo Matteo Renzi il pd guarderà a sinistra


Caro Aldo,
ci sono già diversi candidati alla segreteria del Pd, non si capisce però con quali programmi. Sarà un partito di sinistra o moderato?

Caro Pasquale,
Il Pd esce da cinque anni di Renzi, che divenne segretario giustappunto nel dicembre 2013. Renzi è in sostanza un centrista, che non si è mai posto come antiberlusconiano; semmai come post-berlusconiano. Aveva tentato di prendere le distanze dalla sinistra, tradizionalmente un po’ disgustata dagli italiani. A chiedergli come mai andasse a pranzo con Briatore, Renzi rispondeva: «Io non voglio cambiare gli italiani. Gli italiani mi piacciono così come sono. Io voglio cambiare l’Italia». All’evidenza, non ci è riuscito.
Ma anche quando la contrapposizione ideologica era forte, almeno attorno alla persona di Berlusconi, le politiche di governo di centrodestra e centrosinistra non erano poi così diametralmente opposte. Certo, ogni schieramento strizzava l’occhio ai propri elettori. Ma insomma la politica economica di Tremonti, uomo di formazione liberalsocialista, non è che fosse proprio agli antipodi di quella di Giuliano Amato o di Padoa-Schioppa. L’Italia della Seconda Repubblica è stata fondamentalmente governata dal centro; proprio come ai tempi della Prima.
Ora questa fase è finita. Ora l’ideologo del primo partito del Paese teorizza che bisogna superare il Parlamento e la democrazia rappresentativa, e il leader del secondo cita Mussolini tutti i giorni. Questo – lo ripeto per l’ennesima volta – non significa affatto che il fascismo sia alle porte; i fenomeni storici non si ripresentano mai due volte; e poi il fascismo fu una tragedia che va condannata, non evocata ogni momento. Diciamo che non è tempo per moderati.
In queste condizioni, è normale che il partito democratico, per sopravvivere, cerchi spazio a sinistra. La prima missione del nuovo segretario dovrebbe essere recuperare almeno una parte del voto popolare andato ai Cinque Stelle. Ma mi pare che l’ambizione maggioritaria coltivata a lungo dai fondatori del Pd e dai loro eredi, teorici del «partito della nazione», vada riposta nel cassetto. Per un bel po’.