lunedì 12 novembre 2018

Corriere 12.11.18
Medici e reparti: il caos tirocinio
In tirocinio, ma nel reparto sbagliato. E così i giovani medici si possono ritrovare a coprire turni di servizio in settori diversi da quelli di indirizzo. Con possibili lacune sulle emergenze. Sono almeno 41 le scuole di specializzazione non a norma.
di Milena Gabanellie Simona Ravizza


Ci fideremmo ad andare in un Pronto soccorso per un’emergenza, se sapessimo che il medico di turno durante gli anni di tirocinio si è occupato di tutt’altro? E partoriremmo con un ginecologo che non ha visto più di tre parti, perché nell’ospedale dove ha svolto il corso di formazione la sala parto non c’è? Quando andiamo dallo «specialista» ci rivolgiamo a un laureato in Medicina che dopo aver fatto altri 4-5 anni di studi specifici e di pratica in un ospedale è diventato cardiochirurgo, rianimatore, oncologo, ortopedico, ginecologo , anestesista, ecc. La formazione è affidata alle Scuole di specializzazione. Troppe non formano.
Università-ospedale: la rete
Quest’anno il ministero dell’Istruzione, di concerto con quello della Salute, ha accreditato 1.123 Scuole di specializzazione, che dipendono da 42 Università e sono collegate agli ospedali dove viene svolto il tirocinio. Ogni anno si iscrivono quasi 7.000 neolaureati in Medicina, selezionati con un concorso nazionale a quiz, al quale partecipano oltre 16 mila candidati. Pochi, rispetto alla necessità di sostituire chi va in pensione: la stima è che tra dieci anni mancheranno oltre settemila medici. Il problema è che ogni specializzando costa al ministero della Salute 1.700 euro netti al mese, e per allargare i numeri bisogna trovare i soldi. Ma almeno quei pochi sono messi nelle condizioni di avere una buona formazione?
Per essere accreditate le Scuole di specializzazione devono garantire spazi e laboratori attrezzati, standard assistenziali di alto livello negli ospedali dove viene svolto il tirocinio e indicatori di performance dell’attività scientifica dei docenti. Oggi — carte riservate alla mano — ci sono almeno 41 Scuole di specializzazione senza i requisiti minimi, a cui vengono affidati ogni anno 383 giovani in formazione. Il calcolo è al ribasso, perché Dataroom, insieme all’Associazione liberi specializzandi di Massimo Minerva, ha potuto accedere solo agli indicatori più «vistosi». Vediamoli.
I medici formati senza reparti
La presenza del Pronto soccorso — e sembra paradossale doverlo specificare — è obbligatoria per l’accreditamento delle Scuole di specializzazione in Medicina d’emergenza-urgenza, ovvero quelle che formano proprio i medici di Ps. A Napoli, l’azienda ospedaliera Federico II e il vecchio Policlinico, il Pronto soccorso non ce l’hanno. Eppure, nei due ospedali, svolgono il tirocinio gli specializzandi in Pronto soccorso delle università Federico II e Vanvitelli.
Solo i più fortunati vengono mandati a rotazione negli altri ospedali collegati alla rete formativa, come il San Paolo, l’ospedale Evangelico Villa Betania, il Cardarelli, oppure a Caserta o ad Aversa. Ma la legge è chiara: il Ps deve essere presente sia nella sede principale che nelle altre strutture della rete. «Quante volte sono andato in Pronto soccorso lo scorso anno? Neanche una», dice uno specializzando del Federico II; un altro aggiunge: «Io faccio le guardie di notte in Cardiologia, e siccome lì ci sono i turni da coprire, anche quest’anno in Pronto soccorso non ci andrò».
Gli altri casi fuorilegge
La presenza del Pronto soccorso è obbligatoria anche per l’accreditamento delle Scuole di specializzazione in Medicina interna, Ortopedia e traumatologia, Pediatria, Radiodiagnostica, Malattie dell’apparato digerente e cardiovascolare. Bene, 4 Scuole sono accreditate al Campus Biomedico, 6 all’Università degli Studi Magna Graecia di Catanzaro, 10 alla Vanvitelli e 12 al Federico II.
Nessuno degli ospedali collegati ha nella propria sede principale il Pronto soccorso. Le Scuole di Anestesia devono avere l’elisoccorso e una convenzione con il 118. Non ce l’hanno a Chieti, alla Vanvitelli, al Federico II e al Campus biomedico. Non hanno i reparti di Ostetricia l’ospedale Sant’Andrea di Roma, riconosciuto come Scuola di specializzazione in Ostetricia e ginecologia per La Sapienza II, né il Policlinico universitario del Campus biomedico. All’Università degli Studi Magna Graecia di Catanzaro, accreditata in Malattie dell’apparato respiratorio, non c’è il reparto di Chirurgia toracica.
Per l’Università incassare un accreditamento come Scuola di specializzazione garantisce posizioni di prestigio ai professori titolari di cattedra, mentre per gli ospedali collegati significa avere a disposizione forza lavoro a costo zero (gli specializzandi li paga lo Stato con contratti di formazione).
La complicità politica-accademia
Un sistema andato avanti per anni, al di fuori di ogni controllo e a cui hanno messo mano per la prima volta il 13 giugno 2017 gli allora ministri Valeria Fedeli (Istruzione) e Beatrice Lorenzin (Salute). Sono stati stabiliti i requisiti minimi di qualità per ottenere l’accreditamento e parametri rigorosi per valutare la qualità della formazione delle Scuole. È nato l’Osservatorio nazionale composto da 16 figure universitarie di prestigio, ordinari di Medicina e presidi di facoltà (guidati dall’endocrinologo di Padova Roberto Vettor). Il lavoro ha portato all’esclusione di 130 Scuole di specializzazione, il 10% del totale, perché senza i requisiti minimi. Come abbiamo visto, però, le situazioni irregolari continuano. L’unico modo per verificare se un’Università non dichiara il vero, è quello di andare a vedere sul posto, e dovrebbero farlo le Regioni, le quali si sono tutte dotate di un Osservatorio. Il fatto che finora non sia stata prodotta una relazione che sia una, la dice lunga sulla «complicità» locale tra politica e accademia.
Le Scuole di qualità non ci mancano
A febbraio-marzo 2019 dovrebbe esserci la resa dei conti, in vista dei nuovi accreditamenti. Una politica responsabile ha il dovere di mandare gli specializzandi a formarsi solo nelle Scuole dì qualità (e non ci mancano). Le altre vanno cancellate, o devono esse messe nelle condizioni di adeguarsi. La ricaduta finale di una cattiva formazione si scarica sui pazienti, che non ricevono cure appropriate, con conseguente aumento dei costi sanitari. Infine c’è il preoccupante fenomeno in crescita dei chirurghi che, avendo fatto pochissimi interventi durante gli anni di tirocinio, si rifiutano di entrare in sala operatoria per paura di sbagliare. È questa la Sanità che meritiamo?