venerdì 26 ottobre 2018

il manifesto 26.10.18
Brexit, tensioni su tutta l’isola d’Irlanda per il nodo del confine
Il fantasma del conflitto. Nessuna delle parti in causa garantisce che non si torni a breve a una divisione materiale e militarizzata tra le due parti. Sull’argomento sono volate parole pesanti
di Enrico Terrinoni


Si infittiscono le nebbie sull’accordo di fuoriuscita del Regno Unito dalla Ue. Le ultime dichiarazioni assai fumose di Theresa May la fanno apparire sempre più in bilico tra gli equilibri interni di partito, le minacce degli hard brexiteer e quelle ancor più pericolose degli unionisti nordirlandesi del Dup che tengono in piedi il suo governo.
Il primo ministro inglese ha scandito che «bisogna impegnarsi per un territorio doganale comune tra Uk e Eu» così da rendere inutile un accordo che si applichi soltanto all’Irlanda del Nord». Non è chiaro se ciò significhi che il backstop, ossia la clausola di salvaguardia che consentirebbe al Nord di restare all’interno delle regole dell’unione doganale europea, sia da considerarsi superato, o soltanto se vada tolto dall’accordo, alla luce di un sua versione allargata che includa tutto il territorio del Regno Unito.
L’incertezza provoca tensioni evidenti in tutta l’isola d’Irlanda. Il Dup dichiara che le posizioni del governo di Dublino, tese a evitare il ritorno di un confine tra nord e sud, possono provocare la rinascita del conflitto. Il primo ministro, Leo Varadkar (Fine Gael), ha infatti mostrato ai leader europei riuniti a Bruxelles le immagini di un attacco terroristico del 1972 che coinvolse proprio un varco doganale nei pressi di Newry, in cui morirono quattro impiegati, tre volontari dell’Ira e due camionisti.
Il portavoce del Dup, Sammy Wilson, ha stigmatizzato il gesto di Varadkar: «Sta raschiando il barile con le sue minacce, i suoi inganni, e la sua retorica». Ma in realtà, il taoiseach ha semplicemente specificato che quello fu solo uno delle migliaia di simili attentati che coinvolsero postazioni di controllo, ed è indicativo del rischio di un ritorno al conflitto. Rischio che, a detta del suo ministro degli esteri, Coveney, sia i conservatori che il Dup stanno negando o ignorando.
D’altro canto, nessuna delle parti in causa garantisce che non si torni a breve a una divisione materiale e militarizzata tra le due parti dell’isola (il cosiddetto hard border). Sull’argomento sono volate parole pesanti. Da parte del Dup si paventa una strategia di resistenza nei confronti del backstop in termini di «guerriglia», e Jamie Bryson, noto esponente del lealismo ha minacciato una «violenta reazione unionista».
La leader del Dup, Arlene Foster, aveva insinuato che le negoziazioni in corso sono segnate da invalicabili linee «rosso sangue», e il messaggio andava chiaramente al di là delle discussioni all’interno dell’agone democratico. Su questa linea anche le dichiarazioni di un noto esponente tory, Stanley Johnson, padre dell’ex ministro Boris, secondo cui «se gli irlandesi vogliono tornare a spararsi, lo faranno comunque».
Nel frattempo, all’interno della fazione repubblicana un certo numero di gruppi paramilitari, di certo marginali ma comunque bene armati e pericolosi (lo dimostra la giornaliera strategia di repressione da parte della Polizia nordirlandese, che non manca di tenerne sotto stretto controllo gli affiliati) danno segni di vita e compattezza.
Nello specifico, Oglaigh na hEireann, che solo l’anno passato aveva detto di voler mettere da parte la lotta armata, ha lasciato intendere in un comunicato di essere in contatto, a livello locale e su questioni di controllo della criminalità, sia con la New Ira che con la Inla (Irish National Liberation Army), legata quest’ultima all’Irish Socialist Republican Party. Si sono poi uniti ai contatti anche gli affiliati del North Derry Republican Group, mentre Sinn Féin getta acqua sul foto, con la leader Mary Lou McDonald che dichiara: «Non possono esserci scuse per il ritorno al conflitto, neanche di fronte alle provocazioni».
Oggi nella Repubblica si vota per l’elezione del presidente. I sondaggi danno largamente in testa il poeta socialista Michael D. Higgins, già eletto nel 2011, i cui consensi sfiorano il 70%.
Appare già chiaro che i prossimi sette anni di presidenza saranno in gran parte incentrati sulla questione della riunificazione dell’Irlanda, o sulla limitazione dei danni per un possibile ritorno a una frontiera che farebbe tornare l’isola intera indietro di vent’anni almeno.