Il Sole Domenica 9.9.18
Fiducia nell’uomo
L’assist di Emerson alla filosofia di Nietzsche
di Armando Torno
Ralph
Waldo Emerson, nato nel 1803 a Boston, è una figura-chiave della
cultura americana. Così, almeno, lo considera un critico come Harold
Bloom. Un pensatore quale John Dewey lo intese come il filosofo della
democrazia moderna. E un poeta della grandezza di Walt Whitman
arricciava il naso dinanzi ai suoi versi e preferiva ammirarlo come
critico o diagnostico. Certo, non fu un campione di quelle passioni che
rendono interessanti le biografie, anche perché sembrava non conoscere
debolezze. Fu però autore dalle concezioni influenti. Di Dante
apprezzava «l’energia unita alla simmetria»; quando individuava un
nemico, sapeva sistemarlo a dovere: antitetico a Poe, lo definì «the
jingle man», l’uomo dei sonagli o giullare che dir si voglia. Eppure
Emerson, che era anche poeta e filosofo e ha lasciato tracce in teologia
(sosteneva: Dio è presente nell’anima e da essa direttamente
intuibile), fu amato da Nietzsche. Lo scoprì quando aveva diciotto anni e
lo lesse per gran parte della vita.
Non è facile tentare anche un
inventario degli influssi della sua opera. L’idea che ne caratterizza
scrittura e pensiero fu il nesso di finito e infinito, la capacità di
individuare il fondamento trascendente della realtà sensibile nella
percezione dello spirito umano. Il suo ottimismo antropologico, che
motiva una profonda sicurezza in se stessi, è uno specchio dell’anima
statunitense, una sorta di premessa generale al liberalismo con stelle e
strisce. Anche se Whitman ebbe riserve sui versi, ne amò lo spirito e
le notevoli intuizioni; e così fece molta letteratura americana, sino
alla Beat Generation, senza dimenticare che Thoreau gli deve molto,
altrimenti non avrebbe osato scrivere che «la poesia è il misticismo
dell’umanità». Non si può escludere, tra i contagiati da Emerson,
persino Proust; e inoltre si ritrovano in lui numerose idee del futuro
pragmatismo. Qualcuno sussurra che il compositore classico statunitense
Charles Edward Ives ne sia discepolo. Di certo - e basti questo esempio -
quando si ascolta la Quarta Sinfonia (1909-16) non occorre essere dei
critici per capire che il musicista sta inseguendo qualcosa trovabile in
Emerson, il quale considerava la morale una guida all’immensa
intelligenza divina. Si sospetta e si avverte che le note, simili agli
eoni degli gnostici, stanno cercando di compiere il singolare percorso,
anche se la complessa orchestrazione e l’uso della poliritmia richiedono
per evocare quei suoni due direttori d’orchestra e l'utilizzo di
strumenti allora nuovi, come il theremin.
È il caso di fermarsi
con influssi e altro, anche perché tali noterelle su Emerson sono state
suggerite al vostro cronista dalla ristampa di una sua opera, le due
serie dei Saggi curate da Piero Bertolucci, con testo originale a
fronte. In sostanza, ritorna con le edizioni La Vita Felice la
traduzione riveduta e corretta che uscì nella serie Enciclopedia di
autori classici, diretta da Giorgio Colli per Boringhieri. Un lavoro che
fece meglio conoscere tale autore, le pagine pacate e coinvolgenti
sull’eroismo o sulla prudenza, sulla fiducia in se stessi o sulle leggi
spirituali, sulla “superanima” o sui doni. Il lavoro di Bertolocci
archiviava la vecchia traduzione di Mario Cossa, uscita da Laterza nel
1925 nella rimpianta Biblioteca di Cultura Moderna .
Rileggere
questo americano significa comprendere meglio Nietzsche. La dottrina di
Emerson della self-reliance rappresentò per il filosofo tedesco un
breviario di coraggio e indipendenza: contribuì ad alimentare il suo
progetto di trasvalutazione morale per costruire un uomo nuovo.
Saggi
Ralph Waldo Emerson
Prima e seconda serie, La Vita Felice, Milano, due voll. indivisibili, pagg. 552 e 356, € 29,50