martedì 26 giugno 2018

Repubblica 26.6.18
Il futuro sul confine
di Nadia Urbinati


Saranno le frontiere a decidere il futuro dell’Europa, come sempre. Come quando le frontiere tra gli Stati del Vecchio continente erano oggetto di contenzioso, luoghi di attraversamento di eserciti, trincee di guerra. Fino alla Seconda guerra mondiale, le frontiere interne erano il problema. Da allora, la volontà di Unione e i numerosi trattati che l’hanno concretizzata hanno risolto il problema della pace tra gli Stati, creando uno spazio comune di norme, cultura e scambi. Oggi, il problema che grava sui popoli europei viene dalle frontiere verso l’esterno, soprattutto l’Africa e il Medio Oriente, terre dalle quali per ragioni di guerre civili e povertà radicale gli esseri umani scappano per cercare legittimamente di sopravvivere. L’immigrazione è avvertita come un problema perché ad essa non si intravede una possibile soluzione: i dannati della Terra si muoveranno comunque, e né i deserti né gli oceani li fermeranno. La loro impossibilità di vita è il problema da risolvere. Ma per comprendere questo occorre, almeno, che il continente europeo si consideri come un’unione di intenti, che sappia e voglia affrontare il problema dell’esternalità come un soggetto politico.
I confini europei sono un problema prima di tutto perché non sono a tutti gli effetti confini di un’Unione europea. E la strada percorribile non è quella degli accordi bilaterali, dettata da ragioni nazionaliste e anti- europeiste. All’origine dell’empasse di oggi, infatti, c’è proprio la non esistenza di un governo politico europeo. Un problema che si aggiunge a quello dei gommoni costruiti per affondare nelle acque internazionali del Mediterraneo. Le frontiere sono tali in relazione a un attore politico che le riconosca e le governi; e sono la condizione a partire dalle quali l’Europa può essere in grado di intraprendere politiche internazionali e di cooperazione economica con i continenti e i Paesi terzi. Il fatto è che, in questo momento, sono i singoli Stati gli attori protagonisti; l’Ue non ha leader ed è come sbriciolata.
La premonizione di questa frantumazione è che al problema dei confini verso l’esterno si aggiungeranno molto presto e prevedibilmente i problemi causati dai confini interni, quelli tra i Paesi europei. Il nazionalismo montante ovunque, anche nel Nord Europa, è un segno preoccupante di questa situazione radicale. Paradossale. Poiché più i governi e le opinioni nazionali si orienteranno verso il nazionalismo, più l’inimicizia fra gli Stati si farà intrattabile. Il nazionalista Salvini non ha nell’Austria nazionalista un alleato, ma un nemico. E il paradosso è che Salvini non può chiedere e pretendere solidarietà dagli altri Paesi europei, se essi sono come il suo governo interessati solo all’interesse dei propri connazionali. Siccome l’interesse dei nazionalisti è autistico e autarchico non può che incontrare porte chiuse e ostilità. Orbán sarebbe nemico di Salvini se l’Ungheria confinasse con l’Italia; e Le Pen sarebbe non meno nemica di Salvini se governasse al posto di Macron. Tra nazionalisti non ci può essere cooperazione. Ecco l’ossimoro in cui si arrovella il Vecchio continente: i governi e i partiti nazionalisti dicono di volere un’Europa a loro immagine e somiglianza ma non possono averla perché il nazionalismo che predicano e praticano è respingente. È un cul- de- sac irrisolvibile. Il non avere costruito una politica comune delle frontiere europee e verso i continenti e i Paesi terzi, è stata una scelta non solo poco saggia ma sbagliata; quel che è più grave è che si tratta di un errore impossibile da rimediare con gli attuali protagonisti dei summit europei. Con un Salvini o un Orbán o un Kurz ( e con il nazionalismo montante in Germania e nel Nord Europa) non ci sono le condizioni per una politica comune sulle frontiere: questa è la ragione della gravità del momento.