domenica 24 giugno 2018

Corriere La Lettura 24.6.18
La possibilità del padre: diventare un uomo migliore
La verità e la fatica della relazione tra genitori e figli
Lacoonte deve lottare con i serpenti, Abramo è pronto a uccidere Isacco, Ettore abbandona Astianatte
di Alberto Pellai


Si entra in questa mostra con tutta la propria storia di vita. Si guarda ai padri raccontati dalle opere d’arte e ci si interroga ininterrottamente intorno a che cosa — del padre che abbiamo avuto, del padre che siamo o del padre che abbiamo accanto a noi a crescere i nostri figli — c’è in quella storia, in quell’immagine, in quella relazione che le opere ci mettono davanti agli occhi. Ogni opera mostra un padre in azione ma spesso dietro a un particolare o a un’immagine c’è un’intera storia che si dovrebbe conoscere.
Intense, nell’esposizione Padri e figli (a Illegio, Udine), sono certamente le figure paterne tratte dai miti, come Ettore pronto a partire per la guerra, che compare cinque volte. Nel partire deve salutare la moglie Andromaca e il figlio Astianatte. E la narrazione ci racconta che il grande guerriero non riesce a rimanere insensibile al pianto disperato del proprio bambino, che «sente» la dolorosa tensione della madre e che al tempo stesso non sa riconoscere il proprio padre, nascosto dall’elmo. Lui allora si toglie l’elmo per poterlo salutare e farsi riconoscere come padre nel momento del distacco. Il più terribile. C’è, in questa storia presa dal mito, la quotidianità di molti figli di oggi, che nel mondo globale vedono partire i padri, non verso la guerra ma verso terre di «speranza». Il tragitto a volte è come una guerra, se non peggiore.
Il padre che si sacrifica per la sopravvivenza della propria prole è presente in questa mostra anche nell’opera che ne è l’immagine ufficiale: si tratta della copia in gesso della splendida statua di Agesandro, Polidoro, Atenodoro (l’originale in marmo è conservato nei Musei Vaticani) che raffigura Laocoonte nel disperato tentativo di salvare i figli dalla minaccia mortale rappresentata da due enormi serpenti marini, che stanno per stritolarli. In questa statua dalla bellezza perfetta, tutto è possenza, vigore e disperazione allo stesso tempo. Noi sappiamo che il sacrificio di Laocoonte purtroppo è inutile e che lui, nel tentativo di salvare la prole, incontrerà lo stesso destino mortale. Ma nella potenza muscolare e nella forza con cui il padre cerca di fermare l’aggressione dei mostri marini, possiamo rivedere la stessa determinazione e potenza con cui alcuni padri di oggi cercano di «ri-afferrare» i propri figli persi nel loro percorso di crescita, spesso immersi in un comportamento a rischio che ne attenta la sopravvivenza. Sono situazioni in cui il dolce e protettivo amore materno non può nulla e l’unica salvezza — a volte attivata proprio dall’intervento del terapeuta — è rappresentata dal rimettere sulla scena educativa la figura di un padre Laocoonte, la cui autorevolezza ferma la caduta e ridona spinta alla crescita funzionale del figlio.
E il padre che ha dato la vita al proprio figlio e gli ha insegnato come si sta al mondo, conducendolo all’adultità, non potrà che averne, in vecchiaia, la gioia di vedersi tenuto per mano da lui, anche nel momento della difficoltà, ricevendone cure e affetto. È questo ciò che ci viene raccontato nelle due opere in cui si vede Enea che porta sulle proprie spalle il vecchio padre Anchise. Con loro c’è Ascanio, figlio di Enea: una rappresentazione in cui le generazioni degli uomini di una famiglia appaiono tutte insieme sospese tra passato e futuro. E sono tre le opere che raccontano la delicatezza e tenerezza con cui Tobia guarisce gli occhi ciechi del suo vecchio padre. In particolare la tela di Matthias Stomer incanta per la delicatezza con cui il figlio sfiora gli occhi ciechi del padre, una scena che richiama i gesti di cura che molti adulti di oggi agiscono sul corpo dei loro padri divenuti anziani e infermi.
La mostra è una galleria di immagini, ognuna delle quali richiama una storia che contiene la verità, ma anche la fatica, a volte la durezza della relazione padri-figli. C’è la scena biblica di Abramo pronto a sacrificare il figlio Isacco; c’è il Conte Ugolino chiuso nella torre in cui morirà di inedia con i figli a causa delle proprie posizioni politiche; c’è Ivan il Terribile reo di aver ucciso il figlio: insomma ci sono scene e storie di paternità connotate da figliolanze drammatiche.
Così, di fronte a padri eroici, a padri crudeli, a padri capaci di grandi gesti di cura, ognuno in questa mostra può ritrovare pezzi di sé, rivedere — nel bene e nel male — ciò che gli è successo, sentire il rimpianto per ciò che avrebbe potuto essere stato e invece non è avvenuto. Colpisce in modo intenso e profondo la tela che raffigura il padre misericordioso e il figliol prodigo finalmente ricongiunti: nella vicenda della parabola evangelica c’è tutta la saggezza di un padre che sa accogliere il figlio che ha sbagliato e che, al tempo stesso, ne perdona l’errore senza farlo sentire sbagliato. Un figlio che non sa alzare lo sguardo verso gli occhi del padre, che però lo riaccoglie a sé con un abbraccio che rigenera l’alleanza. Una storia che celebra la capacità di perdono del padre, che ne rivela la misericordia ancora prima dell’autorità. Straziante invece la separazione raccontata nel quadro Adieu di Alfred Guillou, in cui un naufrago bacia per l’ultima volta il figlio che non è riuscito a sopravvivere alla violenza delle onde. C’è tanta tenerezza in questo addio, tenerezza che si ritrova in altre opere della mostra che offrono della paternità tutte le dimensioni e tutte le caratteristiche, lontane da ogni facile stereotipo.
Rimane, a dare senso a tutto, la relazione paterna per eccellenza, quella che nel mondo cristiano ha visto un Dio Padre donarsi al mondo attraverso il proprio figlio. La paternità di Dio torna nelle molte immagini sacre di questa mostra e costringe tutti ad alzare lo sguardo, riflettendo sul privilegio che la paternità regala a ogni uomo che diventa padre: la possibilità di diventare un uomo migliore, proprio come forse sta pensando quel papà — sospeso nei propri pensieri — presente nella tela Figlioletto di un anonimo carcerato, che va a trovare suo papà e gioca con lui di Vasily Vereshchagin, una tela che ci richiama alla nostra responsabilità genitoriale, anche nelle situazioni più complesse e difficili.