lunedì 9 aprile 2018

Corriere 9.6.17
Rischio «suicidio»
Dietro l’angolo c’è l’autodistruzione
I partiti muoiono per suicidio, non per omicidio. Un partito si estingue quando ha smesso di capire la propria ragion d’essere. Il Pd sembra vicino a questa soglia
Il Pd di nuovo alla ricerca della sua ragion d’essere
di Luciano Violante


La sinistra attraversa una fase difficile in tutto l’Occidente. Dopo la fine del regime sovietico le forze socialdemocratiche si sono concentrate sulla mediazione tra le loro tradizionali aspirazioni e i modelli economici vincenti. Questi ultimi hanno prevalso. E ha prevalso non l’idea della trasformazione, ma l’idea della conservazione dell’esistente. Margareth Thatcher, richiesta nel 2002 di quale fosse il suo maggiore successo, rispose, con malizia: «Tony Blair e il New Labour. Abbiamo costretto i nostri oppositori a cambiare il loro modo di pensare». Di fronte all’arretramento della sinistra nella difesa della giustizia sociale e nei progetti di civilizzazione, la destra estrema ha occupato quel terreno proponendo progetti di difesa fondati sul nazionalismo e sulla costruzione del nemico: dazi, muri, sovranismo e razzismo.
Le difficoltà del Pd rientrano in questo quadro generale ma hanno anche cause specifiche, che vanno affrontate. Negli ultimi tempi quel partito ha oscillato tra un centro alla Macron e una sinistra socialdemocratica. Ora deve scegliere. Deve capire le domande del Paese e decidere le risposte.
L’Italia non è quel disastro che molti dipingono. Siamo tutt’ora una delle grandi economie del mondo; i nostri giovani sono richiesti da centri di ricerca e multinazionali in misura molto superiore a quella dei colleghi europei, segno che il sistema universitario funziona; alcune imprese italiane sono tra le migliori del mondo specie nella meccanica di precisione. Tuttavia permangono l’aggravamento delle diseguaglianze, la mortificazione della dignità del lavoro, l’umiliazione delle professioni della conoscenza, l’incerto destino delle giovani generazioni, relazioni tra pubblico e privato viziate da sospetto e sfiducia. I due partiti vincitori delle elezioni hanno cercato di dare risposte ai problemi più gravi. In alcuni casi non erano condivisibili, ma durante la campagna elettorale sono state le uniche risposte. Onore al merito.
Per uscire dalla gabbia in cui si è chiuso, il Pd deve riprendere l’impegno per la giustizia sociale e per il progresso civile. Combattere le rendite, favorire i lavori, sostenere lo sviluppo civile, avviare una politica dei doveri: la sua ragion d’essere è questa. Il secondo partito italiano dovrebbe avere una posizione sulle più gravi questioni; non dovrebbe lasciare che esse vengano affrontate davanti a lui senza di lui. Non è questo che serve al Paese. Fare politica significa spostare forze attraverso la persuasione e l’esempio. Bisogna perciò decidere come costruire alleanze sociali e politiche che aiutino il conseguimento dei risultati. È necessario, infine, regolare i conflitti interni ed essere capaci di chiuderli. Scelte le cose da fare, si elegge il gruppo dirigente e il segretario. La competizione tra le persone senza una alternativa delle idee diventa tumultuosa anarchia. Il rischio del suicidio è dietro l’angolo. Ma dietro l’angolo c’è anche la possibilità di tornare a essere utili al Paese.