domenica 25 marzo 2018

Repubblica 25.3.18
Strada in salita per un governo “a scadenza”
di Stefano Folli

Ora che il destino ha cambiato cavallo, si capisce meglio quanto il 4 marzo sia destinato a incidere sulla storia politica dei nostri giorni. E certo Longanesi non era un veggente, però conosceva l’Italia.
Sapeva, ad esempio, che agli albori del regime la fusione fra il partito fascista di Mussolini e il partito nazionalista, determinante nelle vicende di inizio secolo, si era risolta in un’annessione: nel giro di poco tempo tutti i quadri nazionalisti trovarono ospitalità nei ranghi del Pnf, rinunciando a ogni autonomia. Al loro capo, Luigi Federzoni — figura complessa di anti-tedesco contrario alle leggi razziali — fu riservata la presidenza del Senato del Regno, carica in verità più simbolica che reale.
Senza voler spingere l’analogia oltre il lecito, e quindi senza suggerire paragoni impropri, abbiamo assistito nelle ultime ore a una sorta di annessione virtuale di Forza Italia da parte della Lega di Salvini. È una delle conseguenze delle elezioni e della vittoria leghista che nel Nord ha operato di fatto una fusione con i candidati berlusconiani eletti grazie al peso preponderante dei “neo sovranisti”. Lo strappo di venerdì, preludio alla sostanziale resa di Berlusconi, è stato ricucito confermando la presidenza del Senato a Forza Italia. Un premio di consolazione di rango, si potrebbe dire. Se a suo tempo non fosse stato escluso da Palazzo Madama, su quella poltrona si sarebbe seduto lo stesso Berlusconi, come era accaduto quasi novant’anni fa a Federzoni. Viceversa è stata eletta la senatrice Elisabetta Casellati, perfetta sintesi nordista di lealtà verso il mondo berlusconiano al tramonto e buoni rapporti con il potere leghista emergente.
Ora ci si domanda quale sarà il prossimo passo, in vista delle trattative per il governo. I dati da considerare sono soprattutto due: primo, il rapporto stretto politico e personale fra Salvini e Di Maio; secondo, il fatto che Salvini agirà sul palcoscenico del Quirinale a nome di tutto il centrodestra. Ma non è detto che le due circostanze accelerino la nascita di un esecutivo con una maggioranza Salvini-Di Maio-Berlusconi-Meloni. Al contrario, i nodi politici si aggrovigliano.
In primo luogo, nonostante la sconfitta e la perdita di ruolo, a Berlusconi rimane un considerevole potere di attrito. Vale a dire che può mettere parecchia sabbia nell’ingranaggio dell’intesa Salvini-Di Maio. Che è pur sempre un’intesa provvisoria fra due politici uniti da reciproca convenienza. O meglio, da un patto di potere: tenere la scena quanto è necessario (magari con Giorgetti a Palazzo Chigi) senza perdere nemmeno un grammo della loro popolarità per poi tornare abbastanza in fretta alle urne in vista di consolidare la nuova egemonia bipolare e sconfiggere in modo definitivo le forze tradizionali.
Un piano che si risolverebbe nella spaccatura territoriale del Paese fra un Nord leghista e un Sud a Cinque Stelle.
Ma non sarà facile compiere l’impresa.
Il patto di potere è un po’ troppo scoperto e contiene in sé, implicito, il virus del “governo a tempo”: un’idea che Mattarella ha sempre rigettato perché la considera, a ragione, incostituzionale.
In ogni caso Salvini ha ancora bisogno dei voti di quel che resta di Berlusconi: senza di essi, l’eventuale governo con Di Maio non potrebbe navigare, se non fra continui rischi di naufragio. Dopo le due presidenze, siamo appena all’inizio della vera partita, mentre affiorano i primi veti. L’esito non è scontato, così come non è scontato che il Paese, fra due o tre mesi, trovi una maggioranza politica.