domenica 25 marzo 2018

Il Sole Domenica 25.3.18
Popolo versus élite
Ilvo Diamanti e Marc Lazar, Popolocrazia. La metamorfosi delle nostre democrazie , Laterza, Roma-Bari, pagg.164, € 15
di Valerio Castronovo


Stiamo assistendo pressoché dovunque in Occidente all’avanzata del populismo: dagli Stati Uniti (dove la “pancia” dell’America bianca e xenofoba ha portato Donald Trump alla Casa Bianca) all’Europa (dove è in corso da tempo un’ondata dilagante di movimenti e partiti populisti di varie colorazioni politiche).
Quel che accomuna nel Vecchio Continente il populismo dell’estrema destra e quello della sinistra radicale, al di là delle loro diverse motivazioni, è un irreducibile antagonismo nei confronti delle classi dirigenti quanto un’esaltazione pregiudiziale del popolo, considerato alla stregua di un’entità omogenea e coerente per eccellenza, da contrapporre alle élite ritenute avulse dalle istanze e dalle esigenze della collettività. Al di là delle sue differenti matrici e declinazioni, questo duplice populismo, in quanto ricusa i principi fondamentali della democrazia liberale e rappresentativa, mira perciò all’instaurazione di una democrazia “diretta” o “dal basso”, comunque alternativa rispetto a quella prevalsa finora.
È quindi un compito impegnativo quello che si sono posti Ilvo Diamanti e Marc Lazar nel loro saggio, con l’intento non solo di ricostruire le cause preminenti dell’espansione del populismo ma di individuare anche quale sia il risultato, nei suoi tratti distintivi, della prospettiva di marca populista. Ciò che hanno fatto prendendo in esame due “case study” in contesti nazionali differenti ma, per tanti aspetti, significativi come quello italiano e quello francese.
Quanto alla diagnosi delle circostanze che hanno concorso all’affermazione nel nostro Paese del populismo (tanto più clamorosa dopo l’esito delle recenti elezioni politiche), non c’è dubbio che a spingere al successo il movimento pentastellato abbia agito la forte carica di risentimenti sociali e di pulsioni antipolitiche scaturita nel Mezzogiorno per le profonde conseguenze della devastante crisi economica esplosa nel 2008 a cui si è sovrapposto inoltre un insieme di criticità di ordine strutturale risalenti indietro nel tempo. A sua volta, il fatto che la Lega sia giunta a superare Forza Italia nell’ambito del centro-destra, lo si spiega con quello che è stato il suo principale “cavallo di battaglia”: ossia, l’ostilità nei riguardi dell’immigrazione, denunciata come una grave minaccia alla sicurezza individuale e all’identità nazionale.
Quanto all’analisi delle fortune del populismo in Francia, rappresentato sia da quello ipersovranista e xenofobo del Front National di Marine Le Pen che da quello della “gauche” egualitarista e bolivariana di Jean-Luc Mélenchon, è innegabile l’influenza che hanno esercitato, in primo luogo, la deindustrializzazione di numerose roccaforti operaie d’un tempo e il crescente malessere delle periferie urbane più degradate, nonché l’erosione di precedenti forme di tutela e protezione sociale. A non contare le reazioni suscitate dall’immigrazione e dall’offensiva terroristica dell’Isis. Esistevano pertanto tutti i sintomi di una svolta verso l’estrema destra se non fosse comparso inaspettatamente, in extremis, un nuovo attore politico come Emmanuel Macron che ha saputo avvantaggiarsi del particolare meccanismo elettorale francese per acquisire al ballottaggio una gran massa di consensi sia della destra moderata che dalla sinistra riformista.
Sta di fatto che tanto al di qua che al di là delle Alpi si è manifestato un moto di contestazione e ripulsa nei confronti dei grandi partiti di massa e, insieme, di euroscetticismo, di avversione alle Ue, vista dai populisti come depositaria di un indirizzo d’austerità rigorista e ancillare al sopravvento di un capitalismo finanziario predatorio e globalizzato. Tutto ciò ha finito per dar luogo a quella che Diamanti e Lazar definiscono col termine di “popolocrazia”, risultante di un triplice processo di personalizzazione, presidenzializzazione e medializzazione.
Ma se è venuta così delineandosi una nuova stagione segnata dal ripudio delle culture politiche tradizionali e da derive nazional-populiste, lo si deve anche al fatto che la sinistra nel suo complesso è rimasta una sorta di convitato di pietra, non avendo elaborato un nuovo progetto di società né una visione lungimirante del futuro, di fronte alle sfide cruciali in atto su più versanti, e non sapendo più esercitare una robusta attrattiva fra i giovani.