venerdì 2 febbraio 2018

Il Fatto 2.2.18
Forza Mediaset tifa inciucio B. ha un partito nel partito
Nazareno - Oltre ai soliti Romani, Sciascia e Messina, sbarcano in Parlamento pure Galliani e Cannatelli: i rapporti con Renzi e Lotti su Rai pubblicità e calcio
di Marco Palombi e Carlo Tecce


La stanchezza di Silvio Berlusconi è un memento per tutti. Per chi corre all’ombra del corpo fisico e politico dell’ex Cavaliere è l’ora, gestendo il presente, di preparare il futuro. E le tribù di Forza Italia fanno quel che devono e possono: c’è chi pensa a un futuro politico comunque incardinato nella coalizione di centrodestra (Niccolò Ghedini, Giovanni Toti); chi ha in mente soprattutto le aziende di famiglia; chi prende quel che può (i potentati locali tipo “Cesaros”). Tolti i cacicchi, le prospettive politiche sono diverse: in un caso larghe intese ma senza prescindere dal rapporto con la Lega (o un suo cospicuo pezzo), governo purchessia nell’altro. Per questo nella XVIII legislatura il partito Mediaset torna in campo in forze: ai manager del gruppo già a Roma come Salvatore Sciascia e Alfredo Messina – e ai tradizionali referenti dell’azienda (Paolo Romani, Valentino Valentini, etc) – si aggiungono due pezzi grossi come Adriano Galliani e l’ex vicepresidente Fininvest Pasquale Cannatelli, più l’ex direttore di Panorama Giorgio Mulè (voluto da Marina Berlusconi) e i “comunicatori” Andrea Ruggieri e Alberto Barachini.
Questa pattuglia è, per così dire, filosoficamente allineata al presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri. E Fidel vede, anche in politica, agire la potente mano del destino e dunque, sostiene, dopo i rituali litigi da campagna elettorale, Silvio & Matteo saranno costretti a ripristinare gli antichi accordi del Nazareno. Per Mediaset, d’altronde, se proprio non si può stare al governo, è sempre vitale averne uno amico. Confalonieri non si è mai candidato perché non può lasciare l’azienda (e non gli interessa), ma Galliani è un po’ Mediaset anche lui: lo stesso Fidel lo considera un fondatore dell’impero di Cologno Monzese. Galliani ha conosciuto Confalonieri e Berlusconi in una cena a casa dell’ex Cavaliere il giorno dei santi del ’79: non il calcio, che arrivò solo sette anni dopo, ma le tv erano la portata principale. Berlusconi era interessato a Elettronica Industriale, società acquistata da Galliani, necessaria per trasmettere i canali del Biscione.
Oggi il partito di Mediaset, indebolito dai fallimentari risultati di Premium e dall’infinito contenzioso con Vivendi (azionista al 29%), s’aggrappa all’esperienza di Galliani proprio per rimediare agli investimenti sbagliati sul pallone e per proteggere il Biscione da Roma: intanto, l’azienda ha già iniziato a parlare direttamente con Matteo Renzi e il suo uomo più “Nazareno”, Luca Lotti. “Io sono un soldato di Berlusconi – dice Galliani – e non mi esprimo sul patto del Nazareno. E poi Confalonieri è più di un fratello, non mi permetto un giudizio. Ho atteso anni prima di fare politica perché al Milan mi sentivo trasversale, ma resto un soldato”. In ordine cronologico, dopo trent’anni e 29 trofei al Milan, l’ultimo incarico di Galliani è la guida di Premium e l’ultimo colpo è l’esclusiva per i diritti del Mondiale sottratti alla Rai. Viale Mazzini è il concorrente principale di Mediaset e adesso, sopite le velleità di Pier Silvio di competere con Sky, la tv generalista – come dice Confalonieri – è di nuovo il campo principale. Per campo principale, s’intende la pubblicità: al Biscione aspettano con trepidazione la nomina del renziano Mauro Gaia al vertice di Rai Pubblicità. A Cologno Monzese, però, avevano già accolto con giubilo le dimissioni dell’ex Sky Fabrizio Piscopo, che con un’aggressiva politica di sconti stava scuotendo un mercato rigido.
Oggi Viale Mazzini incassa 670 milioni di euro dagli spot (un miliardo dieci anni fa) e contribuisce a reggere un sistema che da sempre premia Mediaset: nel 2016, per esempio, il Biscione ha dichiarato in bilancio 2 miliardi di euro dalla pubblicità in Italia.
Tornando a Galliani: farà pure il soldato, ma già s’immagina ministro, magari dello Sport. Ieri il Coni ha commissariato la Figc e la Lega Calcio. Il capo Giovanni Malagò, però, non ha scelto di fare il tutore della Federazione come da tradizione, ma quello della Lega Calcio. Il denaro – più di 1,5 miliardi di euro di diritti tv – passa per la Lega. Restituita la Champions League a Sky, il campionato è l’unico prodotto che serve a Mediaset. Premium – cioè Galliani – ha tentato di conquistare all’asta la Serie A al risparmio e, intanto, con un’offerta di Tim sul pacchetto per Internet, si sono svolte le prove generali di una pace con Vivendi (azionista di controllo di Telecom). Il Coni è intervenuto dopo la mancata elezione del presidente della Figc, saltata perché Cosimo Sibilia, capo dei Dilettanti e senatore di FI, candidato contro il renziano Gabriele Gravina, ha ordinato ai suoi di votare scheda bianca: pare che alla scelta abbia contribuito una telefonata arrivata da Berlusconi. Se le larghe intese sono deboli, meglio un uomo da larghe intese. Meglio Malagò. E questo è solo all’inizio.