Repubblica 9.11.17
Dallo strapotere dei gruppi criminali allo
scioglimento del municipio Ma il gesto di ieri è un salto di qualità.
Che potrà scatenare la reazione
Il pestaggio che ora può costare caro ai padroni del quartiere senza Stato
di Carlo Bonini
ROMA.
Ci sono municipi, a Roma, che si annunciano con un murales, una targa
rionale, uno sberleffo o semplicemente con il raggelante nulla dei
falansteri in cemento armato. E poi ce ne è uno — Ostia — su cui da
tempo immemore la città e la sua pubblica amministrazione hanno perso
ogni sovranità. Che parla un’altra lingua. Quella di chi di Ostia è uno
dei padroni. La lingua dell’adesivo — «Kittesencula» — che addobba le
chiappe delle Vespe o i posteriori di qualche Suv. Dei roghi della Mafia
dei chioschi sul lungomare. Della coca e dell’hashish a quintali che
arriva dalla Spagna e che viene “spinta” in ogni angolo della città. La
lingua di Roberto Spada e del suo clan di antica e ormai sbiaditissima
origine Sinti. «Nummene fotte ‘n cazzo», dice al giornalista di Nemo
Daniele Piervincenzi, prima di “partirgli di capoccia” e spaccargli il
setto nasale perché «so’ du’ ore che stai a rompe co’ le domande».
Già,
«Fatte li cazzi tua», a Ostia, è innanzitutto un consiglio, prima
ancora che una minaccia. Un buffetto che anticipa di un istante la
capocciata o il colpo di spranga. È saggezza mafiosa dispensata a chi fa
domande sulle famiglie della zona a un cameriere in un bar (accadde
nella centralissima gelateria “Sisto” nel lontano 2012, durante il
lavoro di ricerca per il libro “Suburra”) e, a maggior ragione, al
cronista che non abbassa lo sguardo (la nostra Federica Angeli, sotto
scorta da anni, e i cui figli sono stati minacciati di morte proprio da
Roberto Spada). Perché, a Ostia, i giornalisti sono appena un gradino
sotto «le guardie » e uno sopra gli «infami». Sempre e comunque «mmmerde
», come amabilmente chiosa la claque social che, puntualmente, a ogni
aggressione, a ogni intimidazione, si stringe solidale sui profili
Facebook intorno all’aggressore. A maggior ragione se porta quel
cognome. Spada. A maggior ragione se abita in quel ghetto nel ghetto
alle spalle del Porto turistico di Roma, che porta il nome di “Nuova
Ostia”, sul lungomare di Ponente. Nei casermoni anni ’70, dove le
assegnazioni e gli sfratti non li decide il Comune ma gli Spada,
appunto.
A Ostia — trenta chilometri in linea d’aria dal
Quirinale, Montecitorio, Palazzo Madama — lo Stato, la Politica, la
pubblica amministrazione, sono un simulacro. Il che ne spiega il suo
scioglimento per mafia e il suo successivo commissariamento. A Ostia, il
Mondo di Sotto si è mangiato da un pezzo quello di Mezzo e quello di
Sopra. Rompendo, se necessario con le armi, fragili paci e instabili
equilibri raggiunti con le organizzazioni criminali tradizionali,
‘Ndrangheta e Cosa Nostra. E questo mentre la giustizia penale ha
discettato per lustri — e tutt’ora discetta — se si tratti o meno di
Mafia.
Già, dici Spada e pensi ai Casamonica della Romanina, con
cui sono imparentati. Dici Ostia e pensi ai Fasciani e al narcotraffico.
Dici Spada e capisci perché nel giorno del voto per il rinnovo del
consiglio e della Presidenza del Municipio sono rimasti a casa due
abitanti di Ostia su tre. Perché qui tutti hanno un prezzo e tutto ha un
prezzo. E la politica, storicamente dal voto “nero”, non solo non ha
mai conosciuto la lettera maiuscola, ma ha sempre parlato il linguaggio
del baratto. Cominciò Gianni Alemanno promettendo casinò e una pista da
sci artificiale sul mare. Ostia come Atlantic City. Poi arrivò Ignazio
Marino, «er marziano », che di Ostia conosceva «le splendide dune» e
immaginava oasi naturalistiche in casa dei diavoli. E poi Virginia
Raggi, che non pensava assolutamente nulla, buona per qualche
comparsata, e a cui, non più tardi dell’aprile scorso, una cittadina,
Carmela De Marco, proprio dalle colonne di Repubblica, scriveva: «Cara
sindaca, lei è venuta ad Ostia e ha detto che va tutto bene. Ma lei è
per caso il sindaco di New York? È venuta a 400 passi dal mio bar finito
otto mesi fa nelle mani degli Spada e della rete dei loro complici e si
permette di dire che va tutto bene?».
Appena il 4 ottobre scorso,
per il racket delle case popolari di Nuova Ostia sette maschi del clan
Spada si sono presi condanne in primo grado dai 5 ai 13 anni con
l’aggravante del metodo mafioso. In gennaio, Armando Spada, cugino del
capo del clan (Carmine, condannato a 10 anni nel 2016 per estorsione con
l’aggravante mafiosa), ne aveva avuti 6 di anni per essersi appropriato
«con metodo mafioso» di uno stabilimento. «Embé», devono aver pensato i
maschi rimasti in libertà. Perché in fondo, a Ostia, è sempre girata
così. Un po’ di casino e poi buonanotte al secchio. Almeno fino alla
capocciata di Roberto. Perché forse — come confidava ieri sera uno
sbirro che a Ostia ne ha viste tante, forse troppe — «stavolta l’hanno
proprio fatta fuori dal vaso ». Un po’ come il funerale dei Casamonica
sotto una pioggia dal cielo di petali di rose elitrasportate. Che, detta
così, è una cosa che dovrebbero capire anche a Nuova Ostia.