Repubblica 1.10.17
Una storia politica scappata di mano
La fragilità e la paura di chi alza scheda bianca prigioniero dello scontro
CONCITA DE GREGORIO
I DUE LEADER
Il premier Mariano Rajoy e il presidente catalano Carles Puigdemont
BARCELLONA
FRAGILITÀ,
paura. Dietro al frastuono delle urla di piazza, dei trattori e degli
spari che occupano la scena, amplificati e replicati all’infinito dalle
immagini su Internet e in tv, c’è una maggioranza di cittadini
disorientata, spaventata dalla via senza ritorno che ha preso lo
scontro. Costretta, in un certo senso, a schierarsi. Incredula di fronte
all’incapacità di una classe politica che ha fatto di una palla di neve
una pericolosissima slavina. Una classe politica che passerà alla
storia per aver trasformato un dosso stradale in un muro, e di aver
guidato bendata allo scontro. Per insipienza? Per mala fede? Per
nascondere più gravi questioni? Arrivo in centro su un autobus guidato
da un cittadino spagnolo di origine peruviana di nome Riccardo: vive e
lavora a Barcellona da 14 anni, i suoi figli sono nati qui. Mi dice che
andrà a votare scheda bianca. «Pensavo di non andare, l’indipendentismo
non mi interessa, ma per come si sono messe le cose: vado». Posso
registrare le sue parole? Certo. «Siamo liberi di esprimere la nostra
opinione, no? Siamo una democrazia». In via Laietana (dove sfila oggi un
migliaio di catalani sovranisti: Catalogna è Spagna dicono gli
striscioni) incontro un avvocato sulla sessantina, esponente della
borghesia delle professioni – la colonna dorsale di questa città. Non è
indipendendista, non lo è mai stato. Tre mesi fa, in estate, mi aveva
tenuta una serata intera a spiegarmi l’insensatezza della causa. Lui, i
suoi colleghi, sua moglie, i loro amici: autonomia sì, indipendenza no.
Ora, mi dice, bisogna andare a votare. Guarda il corteo: «Ci
costringono, non ci si può tirare indietro ». Anche Ada Colau, sindaca
della città espressa da En Comù Podem, una costola di Podemos – la
novità politica più rilevante degli ultimi anni, arrivata a un passo da
governare i Paese – voterà scheda bianca.
L’autista peruviano,
l’avvocato borghese, la sindaca venuta dai movimenti. Non tutti i
catalani sono indipendentisti, né tutti gli spagnoli sovranisti. Non è
un derby, per quanto il Barça sia schierato. E’ una storia politica
scappata di mano, e bisogna avere la pazienza e l’attenzione di
decifrarla. Quando qualcosa accade è perché è già successo. «Niente
comincia davvero, tutto è il proseguimento di qualcos’altro», scriveva
Martin Caparròs sul New York Times lunedì scorso nella più equilibrata
analisi letta fino a oggi. Caparròs, scrittore argentino, fondatore di
Pagina 12, vive da anni in Spagna e lavora per il NYT. Spiega come
meglio non saprei dire, provo a riassumere. Nessuno fino all’altro
giorno ha mai parlato di indipendenza. Neppure i partiti che oggi la
invocano. Il tema è sempre stato l’autonomia – fiscale, culturale,
amministrativa: Catalogna ha sempre chiesto lo stesso regime di
autonomia dei Paesi Baschi. Perché i Paesi Baschi l’hanno avuta e
Catalogna no? Detto male, ma per capirsi: per via dell’Eta, la guerra
civile che ha insanguinato la Spagna. Il Paese Basco ha ottenuto uno
statuto autonomo quasi da stato federale, Catalogna no. Dopo decenni di
lavoro politico nel 2006 si arriva a un accordo: Maragall (l’ex sindaco
delle Olimpiadi, amatissimo) presidente della regione e Zapatero al
governo, entrambi socialisti, trovano l’intesa per lo Statuto autonomo.
Una legge regionale catalana ratificata dallo Stato centrale. La
soluzione. Quattro anni dopo, nel 2010, il nuovo governo di destra
guidato da Rajoy, Partito Popolare, porta lo Statuto alla Corte
costituzionale (che in Spagna è di nomina politica) che lo cassa. Fine
dei giochi, inizio della storia che ci porta a oggi. Nel 2010 in
Catalogna c’era la stessa destra catalanista di adesso: non aveva mai
parlato di indipendenza, sempre di autonomia. Irrompe però la crisi
economica. Tagli alla scuola, alla salute, ai diritti. Casse vuote,
corruzione alle stelle. Spiega Miguel Mora, che dirige la rivista
Contexto, vive a Madrid ed è stato per anni corrispondente del Pais
dall’Italia: «L’indipendentismo è una cortina di fumo delle élites che
serve a nascondere la corruzione enorme sia del Partito popolare che di
Convergencia e Uniò. Del Partito di Rajoy e di quello di Pujol. Mentre
la gente impoverita scende in piazza, nasce Podemos, le classi politiche
tradizionali ugualmente corrotte non trovano di meglio che agitare la
facile bandiera della Patria. Le Patrie. Un diversivo. Il sistema
economico controlla i media, il Psoe vira verso destra incalzato da
Podemos. Il governo di Madrid prova a nascondere gli scandali della sua
guerra sporca, una guerra di Stato fatta di dossieraggi contro i
catalani e di servizi deviati». La Catalogna, regione ricca, dà a Madrid
la colpa dell’impoverimento. La destra catalana per governare si allea a
Esquerra repubblicana, forza cattolica borghese di sinistra. Nessun
rivoluzionario all’orizzonte. Gli indipendentisti sono una esigua
minoranza, ancora, sotto il 20 per cento: tra loro i giovani dei Cup,
area centri sociali, necessari al governo catalano. Scrive Caparròs: «La
maggioranza dei catalani non può immaginare la sua regione fuori
dall’Europa, il suo tenore di vita impoverito e il Barça giocare fuori
dalla Liga». Chiaro. Artur Mas nel 2014 convoca un referendum
consultivo: va a votare la minoranza dei catalani. E’ il segnale per
avviare una trattativa, ma Rajoy si nega. Miguel Mora: «La cocciutaggine
e la miopia di Rajoy, accecato dal pericolo di soccombere sotto gli
scandali del suo governo, è lampante. Se poi mandi 15 mila poliziotti,
arresti funzionari, chiudi i siti internet costringi tutti a scendere in
piazza persino per una causa non loro». È pur sempre un paese la cui
classe dirigente, a destra, è nipote della dittatura. «Arrivano in
piazza le bandiere, che hanno la caratteristica di scappare di mano. Ora
l’82 per cento vuole l’indipendenza. È la fine della stagione della
classe politica che ha portato alla Costituzione del ‘78. Fino a pochi
mesi fa non c’erano rivoluzionari, non c’erano indipendentisti. C’era
una regione che chiedeva autonomia. Ora siamo sull’orlo di una guerra
civile». Nessuno saprà mai cosa avrebbero votato i catalani se li
avessero lasciati votare. Non era l’indipendenza la posta in palio. «Io
credo che gli stessi dirigenti catalani abbiano paura di vincere, delle
conseguenze». Paura, di nuovo. Carles Puidgemont, giornalista
pubblicista di Girona, diceva a questo giornale a giugno: «Sono
costretto ad arrivare in fondo, ormai». Costretto. Un Simon Bolivar suo
malgrado, dicemmo allora. Conservatori cattolici di destra iscritti al
ruolo dei rivoluzionari. Conservatori e cattolici anche a Madrid,
iscritti alla repressione. La violenza spinge all’illegalità. Doppio
fallo, speculare. Il re tace. Podemos si chiama fuori. Astenuti dalla
finta contesa, perché non è l’indipendenza la posta, ma chi governerà il
Paese nei prossimi anni. Un gioco politico di potere che chiama in
piazza il popolo «col vecchio trucco delle Patrie», scrive Martin
Caparròs sul New York Times. Il vecchio pericolossissimo trucco.