venerdì 6 ottobre 2017

La Stampa 6.10.17
L’immobile Rajoy assediato dagli alleati
“Ora agisci o è la fine”
di F. Oli.

La pressione aumenta man mano che arrivano i dispacci dalla provincia ribelle: «Mariano fai qualcosa». Sono mesi che lo tirano per la giacca e ora non c’è davvero un minuto da perdere: il parlamento della Catalogna ha preparato (quasi) tutto per dichiarare l’indipendenza e bisogna muoversi prima che la situazione precipiti ulteriormente. Re Filippo d’altronde è stato chiaro nel suo messaggio alla nazione: in Catalogna bisogna ripristinare l’ordine costituzionale. Detto dal capo delle forze armate, è sembrato a tutti un messaggio al governo, un via libera per gli interventi che si rendono necessari: sospensione parziale dei poteri dell’autonomia catalana e accelerazione sulle inchieste della magistratura, con tutte le conseguenze possibili, compreso l’arresto del presidente (esistono già vari dossier su come portare a termine l’eventuale operazione). Il dispiegamento di forze sul campo resta poderoso: gli oltre diecimila agenti di polizia rimangono a presidiare un territorio ormai sfuggito di mano. I rinforzi sono pronti: mercoledì sono partiti dei sostegni logistici alla polizia da parte dell’esercito, mentre ieri la ministra della Difesa, Maria Dolores de Cospedal, costituzione alla mano, ricordava che «le forze armate hanno il compito di garantire l’integrità territoriale del Paese». Ma il ministro degli Esteri Dastis dice: «Non manderemo l’esercito».
Il premier però non abbandona la prudenza, «l’immobilismo di Mariano» d’altrone è ormai quasi una categoria della politica e intorno a lui cresce l’insofferenza. Una successione non si intravede, almeno nel partito. Anche se a destra in molti apprezzano, almeno per questa battaglia, i movimenti di Albert Rivera, il giovane (e catalano) leader dei centristi di Ciudadanos.
Ieri è stata l’ennesima giornata in cui, nella capitale spagnola tutti aspettavano una mossa concreta, e invece dal premier è arrivato un ulteriore, e probabilmente inutile appello: «Fermatevi prima che arrivino mali maggiori». Ma, si nota nei settori critici: «È la stessa frase, con le stesse parole che va ripetendo da mesi senza alcun effetto».
L’ultimo a uscire allo scoperto è anche il più autorevole, almeno tra gli elettori del Partito Popolare, José Maria Aznar. L’ex premier ieri faceva pubblicare sul sito della sua potente Fondazione Faes un comunicato secco con il premier, il cui senso è: o fa qualcosa di concreto in Catalogna oppure si faccia da parte. La soluzione più verosimile è chiamata semplicemente con un numero: 155, ovvero l’articolo della costituzione che consentirebbe allo Stato di scavalcare l’autorità locale per ristabilire la legge. Uno è il caso concreto che tornerebbe utile: Madrid potrebbe prendere il comando dei Mossos, la polizia catalana che domenica scorsa non ha eseguito gli ordini, facilitando la celebrazione del referendum illegale.
A Madrid esiste quello che il vicedirettore del quotidiano catalano «La Vanguardia», Enric Juliana ha ribattezzato il «club del 155», un circolo le cui fila si ingrossano di nuovi e potenti soci: politici di destra e di centro (Ciudadanos), ministri, imprenditori, giornali (praticamente senza eccezioni) e larga fetta dell’opinione pubblica spagnola. Ieri si è aggiunta un’istituzione culturale come l’Accademia reale di Spagna, che ha chiesto di far fronte immediatamente al secessionismo.
Nel club però ancora non c’è Mariano Rajoy né Soraya Saenz de Santamaria, la vicepresidente mente della campagna catalana, oggi indebolita dallo sviluppo dei fatti. La linea del premier per ora non cambia: aspettare la proclamazione dell’indipendenza, lunedì o quando sarà, per passare all’azione un minuto dopo. Nel frattempo l’azione giudiziaria fa il resto, portando avanti le molte inchieste aperte contro i secessionisti. Ma il club del 155 lo assedia: «Fai qualcosa o la Spagna si spacca».