La Stampa 5.10.17
La seconda giovinezza di Massimo il radicale
Rinnegata la terza via e Blair, adesso per D’Alema i riferimenti diventano Podemos e Mélenchon. Ecco chi sono i fedelissimi
di Andrea Carugati
La
seconda vita politica di Massimo D’Alema inizia il 5 settembre 2016, in
un cinema di Roma, a Campo de’ Fiori, quando in solitaria si schiera
per il No al referendum di Renzi. Di lì a poco lo seguiranno Bersani e
gli altri della minoranza Pd, con cui pochi mesi dopo uscirà dal
partito. La sera del referendum, il 4 dicembre, in un loft dietro il
Circo Massimo festeggia la vittoria del No, con Nico Stumpo, Davide
Zoggia e altri ragazzi di Bersani che, in quell’estate di campagna
referendaria, avevano ripreso a frequentare la sede della Fondazione
Italianieuropei a piazza Farnese, ritrovando in D’Alema un punto di
riferimento per chi, dentro il Pd, di Renzi non ne poteva più. Da allora
per il leader Massimo è un crescendo fatto di impegni internazionali
(in Europa, in Canada, negli Usa, ma di recente molto spesso in Cina) e
un viaggio per tutta l’Italia per rianimare quel che resta delle truppe
diessine di un tempo: amministratori, quadri, consiglieri regionali.
Un
viaggio mosso dall’odio per Renzi, racconta la vulgata dominante dentro
il Pd. «Un percorso anche autocritico sulla sinistra dagli Anni Novanta
in poi, sul fallimento della sbornia blairiana», spiega invece Peppino
Caldarola, che lo conosce da 50 anni e che da poco guida la rivista
Italianieuropei con una netta svolta a sinistra. «Sì, sono arrivato
tardi», ha confessato D’Alema sul palco della festa di Mdp a Napoli
pochi giorni fa, rispondendo a una provocazione dello scrittore Maurizio
De Giovanni. «Sono arrivato tardi a sviluppare una critica radicale
della Terza via». Fatto sta che oggi D’Alema, dopo essere stato
disarcionato a giugno dalla guida della Fondazione dei socialisti
europei (Feps) con il contributo determinante di Renzi, è un leader di
sinistra più radicale, che dialoga con la Linke tedesca, gli spagnoli di
Podemos, Syriza in Grecia, Mélenchon in Francia e con le componenti più
a sinistra della Spd e del Labour. Un leader che punta a far rinascere
una sinistra in Italia, e poi forse a ricostruire un centro-sinistra col
trattino con forze più moderate, come il Pd, possibilmente
de-renzizzato.
Nella sua nuova vita, accanto alla passione per
il vino nella sua tenuta in Umbria, D’Alema ha trovato più nuovi amici
rispetto a quelli di quando era dominus della politica italiana. Spariti
i vari Rondolino e Velardi, Marco Minniti ha spiccato il volo nel
governo Gentiloni, il leader coi baffi si affida a due uomini chiave:
nel partito i giochi li tiene Massimo Paolucci, eurodeputato campano
(«Mi sono avvicinato a Massimo nel 2012, nel momento in cui era meno
forte») e alla Fondazione Mario Hubler, ingegnere con una passione per
la vela e un ruolo di primo piano nell’organizzazione della Coppa
America a Napoli nel 2013. Subito dopo il referendum, con oltre 600
comitati nati come funghi in tutta Italia, D’Alema a fine gennaio lancia
«Consenso», un proto-movimento che avrebbe dovuto guidare la scissione
se Renzi avesse forzato per le urne a inizio 2017. Poi, dopo la nascita
di Mdp a marzo, fa confluire la truppa in Mdp. Con un mantra rivolto ai
suoi fedelissimi: «Date una mano a Roberto». Roberto è Speranza,
coordinatore del partito, pupillo di Bersani ma anche figlioccio del
deputato lucano e dalemiano Antonio Luongo, scomparso tragicamente nel
2015. È dalla notte del 4 dicembre, quando tra le bottiglie di spumante
D’Alema lo indicò come leader del futuro, che D’Alema punta su Speranza.
Assai più che sull’«ineffabile avvocato Pisapia», con cui l’idillio non
è mai scoccato. Anzi. Della rete di Consenso facevano parte anche il
deputato molisano Danilo Leva, il siciliano Angelo Capodicasa,
l’eurodeputato lombardo Antonio Panzeri, il consigliere regionale
pugliese Ernesto Abbaterusso, il calabrese Alex Tripodi. Tutti confluiti
in Mpd, come il governatore toscano Enrico Rossi, un tempo critico con
D’Alema, e oggi suo grande amico.
Al netto del rapporto con
Bersani, che si è ricucito più sulla politica che sugli affetti dopo il
grande gelo del 2012-2013, per D’Alema Mdp è una seconda vita anche in
termini di rapporti. Dopo gli attacchi di Pisapia, tutto il partito si è
stretto intorno a lui con un moto d’affetto, quasi un richiamo della
foresta verso un padre nobile che in questo anno «non si è mai
risparmiato». E che in primavera, salvo sorprese, tornerà in prima linea
come senatore. Altro che passo indietro come chiede Pisapia. Il vero
tallone d’Achille, in questa rinascita, è proprio Italianieuropei. I
fasti e le generose donazioni di un tempo sono ormai un ricordo. «Renzi
ci ha fatto il vuoto intorno, chi si avvicina viene marchiato», spiega
un dalemiano.