il manifesto 22.10.17
Pablo Neruda non è morto a causa di un cancro
Dopo
quattro anni di indagini, un'equipe di esperti ribalta la tesi
ufficiale che ha attribuito le cause della morte del premio Nobel a un
tumore; sarebbe invece stata una tossina; riemerge così l'ipotesi
dell'omocidio politico
di Alessandra Pigliaru
Era
il 23 settembre del 1973 quando Pablo Neruda morì nella clinica Santa
Maria di Santiago del Cile. Il bollettino medico ne dichiarò il decesso
fornendo come causa la degenerazione di un tumore. Grazie a un’equipe
internazionale di esperti, oggi si può invece escludere che il poeta sia
defunto per una malattia neoplastica. Questo non significa si possa
confermare l’omicidio politico, come hanno sempre sostenuto il Partito
comunista e l’assistente personale del Nobel, Manuel Araya. Tuttavia il
patologo Aurelio Luna – figura centrale del gruppo di esperti – ha
indicato, senza tema di smentita, l’individuazione di una tossina nelle
ossa dello scrittore.
Si riaprono così le discussioni sulla morte
avvenuta non per cause naturali ma per avvelenamento e si rimettono in
gioco le controverse, seppure assai plausibili, accuse che in questi
decenni sono provenute dalla famiglia di Neruda (nonostante Matilde
Urrutia, sua terza e ultima moglie, non parlò mai di veleno ma escluse
si potesse trattare di cancro). Le date intorno a cui il poeta scomparve
da questa terra, e la sua adorata Isla Negra (dove dal 1992 è
seppellito insieme a Matilde), concorrono certo a una seria presa in
carico delle dinamiche effettive, senza facili complottismi: muore
infatti 12 giorni dopo il golpe di Augusto Pinochet di cui era un
acerrimo oppositore, e poco prima di partire in esilio in Messico, luogo
da cui avrebbe certo potuto inasprire la sua già radicale avversione
verso lo scellerato regime argentino. Desiderarne la sparizione non
sarebbe stato poi così assurdo.
La svolta decisiva per ricostruire
quanto avvenne è stata avviata 4 anni fa quando il giudice Mario
Carroza autorizzò l’apertura delle indagini e la riesumazione del corpo.
Nonostante il deperimento dei tessuti, soprattutto quelli molli, fosse
in un legittimo stato di avanzata decomposizione, il gruppo di esperti
ha potuto isolare la tossina di cui verrà ulteriormente interrogato il
ceppo e le sue componenti entro un anno, tempo che gli scienziati si
sono riservati per dare l’esito definitivo sull’avvelenamento o meno.
Se
fosse così, oltre a non destare alcuno stupore, si potrebbe annoverare
come ulteriore barbarie ordinata da un regime tra i più feroci che il
Novecento abbia conosciuto. E inferta a un testimone tra i più lucidi
che il Cile abbia conosciuto. «Ho vissuto tanto che un giorno dovrete
per forza dimenticarmi – scriveva con placida veggenza Neruda –
cancellarmi dalla lavagna: il mio cuore è stato interminabile».