Corriere 19.10.17
Mezzo Pd si smarca da Renzi
di Dino Martirano
ROMA
Il secondo siluro lanciato da Matteo Renzi contro i vertici della Banca
d’Italia è arrivato quando ancora — tra Palazzo Chigi e il Quirinale —
si valutava l’entità delle macerie causate dalla mozione del Pd che, pur
non citando il governatore Ignazio Visco, aveva chiesto al governo di
individuare una «figura più idonea a garantire nuova fiducia»
nell’istituto di via Nazionale.
Quello del segretario dem è stato
un uno-due, micidiale: «Non è eversivo dire che i meccanismi della
Vigilanza sul sistema bancario non hanno funzionato... Chi ha sbagliato
paghi... Quella mozione del Pd è stata corretta e poi approvata dal
governo e non s’è mai visto un atto eversivo approvato dal governo».
Dunque, ha ripetuto Renzi, «il problema non è il nome del governatore,
dire che il Pd è contro Visco è sbagliato».
Così si è dovuto
ricredere chi si aspettava un passo indietro di Renzi. L’argine si era
ormai rotto. E con molte ore di ritardo sull’allarme lanciato dal
Quirinale, si è fatta avanti la minoranza dem del ministro Andrea
Orlando che ha preso coraggio quando anche i padri nobili del partito
hanno alzato la voce. «Incomprensibile e ingiustificabile», ha detto
Walter Veltroni commentando la mozione: «Da sempre la Banca d’Italia è
un patrimonio di indipendenza e di autonomia per l’intero Paese».
Al
Senato — dove il premier Paolo Gentiloni è andato per le comunicazioni
sul vertice europeo — l’ex capo dello Stato Giorgio Napolitano è stato
tranciante: «Fortunatamente non mi devo occupare delle troppe cose che
ogni giorno capitano e che sono deplorevoli». Pochi minuti prima l’ex
inquilino del Quirinale aveva affrontato Nicola Latorre e un drappello
di senatori dem ai quali aveva manifestato tutto il suo disappunto.
«Renzi è fuori di sé, bisogna fermarlo», è il pensiero di Ugo Sposetti
che scortava Napolitano porgendogli il braccio.
Il presidente del
Consiglio Gentiloni, almeno in pubblico, non ha detto una parola sul
caso Bankitalia ma ha trovato un quarto d’ora per prendere fiato nello
studio del capogruppo dem al Senato, Luigi Zanda. Al termine del
colloquio, il premier è filato via sorridente e agli atti rimane una
dichiarazione dell’amico di lunga data Zanda: «Quando si tratta di
questioni che hanno a che fare con il risparmio dei cittadini e con la
stabilità del sistema bancario bisogna sempre usare il massimo della
prudenza, e questo significa che di mozioni del genere meno se ne fanno e
meglio è».
E mentre alla Camera il ministro Carlo Calenda se la
cavava con un laconico «Non parlo per carità di Patria», il senatore a
vita Mario Monti in aula, davanti a Gentiloni, ha puntato il dito contro
i deputati che hanno votato la mozione: «Non mi sono tanto sorpreso»
per l’iniziativa «del capo del Pd... Sono stato viceversa molto sorpreso
dal fatto che 213 deputati si siano sentiti di approvare quella
mozione...».
Dai tabulati risulta che circa 60 deputati del Pd non
hanno votato la mozione. Tra assenti a tutti gli scrutini e missioni,
tra i non allineati spiccano Antezza, Baruffi, Boccuzzi, Causi, Cenni,
Coccia, Crimi (astenuto), Cuperlo, Dell’Aringa, Di Gioia, Fabbri, Galli,
Gandolfi, Giacobbe, Ginefra, Giorgis, Lattuca, Maestri, Malisani
(astenuto), Mazzoli, Meloni, Miotto, Misiani, Nardi, Piccione
(astenuto), Quartapelle, Raciti e Taranto. Per dirla con Gianni Cuperlo,
non hanno votato perché la mozione è «un grave errore, un autogol».