Corriere 19.10.17
I divorzi «stranieri»
La richiesta al giudice per poter ripudiare la moglie o il ricorso sulla validità di nozze in videoconferenza
Ecco cosa succede nelle aule di tribunale italiane quando si applica il diritto di famiglia di altri Paesi
di Giusi Fasano
C’è
il tizio che per sua moglie avrebbe tanto voluto il Talāq , il ripudio,
secondo i vecchi precetti della sharia. C’è la coppia che ha chiesto al
tribunale civile di applicare la Kafala prevista dalla legge islamica.
C’è la moglie che invece ha ottenuto il Mout’a , dono di consolazione, e
l’ Iddà, indennizzo per la «vedovanza» post-divorzio, stabiliti dal
codice di famiglia marocchino, il Mudawwana Al’Usra . Un giudice ha
dovuto decidere se fosse valido o no un matrimonio celebrato in
videoconferenza fra l’Italia e il Pakistan, altri si sono pronunciati su
nozze decise per gioco a Las Vegas ma diventate reali quando poi uno
dei due partner le ha registrate.
La legge del 1995
Paese
che vai, divorzio che trovi. Ma la domanda è: quando e come — in caso di
coppie miste o di coniugi entrambi stranieri — i giudici italiani
tengono conto del diritto di altri Paesi nel decidere le loro sentenze
di divorzio? La risposta segue percorsi complicatissimi partiti da una
legge del 1995 — la 218 che disciplinava il diritto internazionale
privato — e approdati a più regolamenti europei che sono un’evoluzione
di quella legge (in particolare il nr. 1259 del 2010, applicato dal 2012
in poi).
In materia di divorzio un punto fermo importantissimo
dal quale partono i tribunali civili italiani è che i giudici debbano
rifiutare di applicare una legge contraria all’ordine pubblico: che
contrasti, cioè, con i valori fondamentali della società civile o non
tenga conto della parità di diritti dei coniugi. Per questo nel tempo
sono stati respinti vari tentativi di introdurre in Italia il concetto
islamico del ripudio. Non è accettabile un marito che dica a un giudice
italiano: l’ho ripudiata quindi non le pago gli alimenti, nemmeno se lei
accetta quell’accordo.
Altro principio chiave: il regolamento
europeo attivo dal 2012 non ha i confini dell’Europa. È universale,
quindi non vale soltanto per gli Stati Ue ma è applicabile a qualunque
legge straniera purché il giudice sia di uno Stato che aderisce al
regolamento.
Giuseppe Buffone, ex giudice civile a Milano e ora
alla Direzione generale della giustizia civile, dice che «purtroppo non
sono molti i magistrati e gli avvocati che si muovono con disinvoltura
fra le norme che regolano questo genere di questioni. Così capita che
molte volte la coppia non sia informata, e ne avrebbe diritto, sulle
possibilità che renderebbero tutto più semplice e veloce. Mi è capitato
di sentirmi dire che il regolamento europeo fosse escluso perché lui era
ecuadoriano, lei cilena. Sbagliato: devi chiederti di che nazionalità è
il giudice, non loro». È fondamentale sapere che, quando sono
d’accordo, i divorziandi possono scegliere la legge da applicare e
magari rivolgersi allo Stato che prevede il divorzio diretto senza
passare dalla separazione. È di questo genere l’ultimo caso registrato
dalle cronache, a Padova.
Applicato il codice marocchino
Le
avvocatesse Ghita Marziano e Barbara Gerardo hanno ottenuto il divorzio
immediato per i loro assistiti — lui marocchino, lei italiana di origini
marocchine — chiedendo al giudice l’applicazione del codice di famiglia
del Marocco che lo prevede. Ma più del divorzio immediato la novità di
quella sentenza è stata l’applicazione della legge marocchina anche ai
rapporti patrimoniali. La moglie si è vista riconoscere il Mout’a (dono
di consolazione stabilito in base alla durata del matrimonio e alla
situazione finanziaria del coniuge) e il Sadaq , la dote nuziale che
l’uomo (secondo i riti del suo Paese) si era impegnato a pagare per
poterla sposare. L’avvocatessa Marziano ha studiato il Mudawwana Al’Usra
e dice che con quel codice «il legislatore marocchino si è sforzato di
conciliare il diritto positivo con quello musulmano che prevede come
ancora possibili, a certe condizioni, il ripudio e la poligamia. Due
concetti — chiarisce — che non esistono e non possono entrare nel nostro
sistema giudiziario anche se mi sono capitati casi in cui la
controparte ha provato invano a farli riconoscere come validi».
I ricorsi in Europa
A
parte la certezza su termini come poligamia e ripudio, le regole del
gioco non devono essere poi così chiare se capita che di tanto in tanto i
divorzi arrivino fino alla Corte di Giustizia europea. Per esempio è
pendente il caso di una causa di separazione aperta in Italia alla quale
è seguita una causa di divorzio aperta successivamente da uno dei due
partner in Romania. Qual è il giudice che «vince», diciamo così? Di
norma quello arrivato per secondo dovrebbe sospendere il procedimento e
invece stavolta non è successo e il magistrato romeno ha concesso il
divorzio facendo così cessare la separazione in Italia. Un errore? O
l’oggetto in discussione è diverso quindi è tutto corretto? La questione
è aperta e i nodi non saranno sciolti in fretta.
È stato
piuttosto complicato venire a capo anche di un’altra storia singolare.
Distretto giudiziario di Bologna. Lei italiana, lui pachistano. Si sono
sposati in videoconferenza senza essersi mai conosciuti di persona, come
consentono le leggi del Pakistan, ma poi è arrivato il tempo
dell’addio, in Italia. La causa, fra ricorsi e controricorsi, è
approdata in Cassazione. Risultato: il matrimonio era valido perché non
in contrasto con i nostri valori fondamentali. Come non lo era in
un’altra vicenda (e anche in quel caso c’è voluto l’intervento delle
Sezioni unite) l’applicazione della kafala , la regola che in alcuni
Paesi islamici stabilisce che, in accordo fra loro, i genitori
separandosi possono affidare un figlio che viva laggiù a parenti o
amici.