Corriere 17.10.17
Legge elettorale al via in Senato Verdini e i suoi verso la fiducia
di Giuseppe Alberto Falci
A
Palazzo Madama il voto di fiducia sul Rosatellum non preoccupa la
maggioranza. «È un falso problema quello del numero legale», dissimula
un alto dirigente del Pd. Il primo nodo sarebbe già stato risolto con
l’aiuto del solito Denis Verdini. La maggioranza infatti potrà contare
sul «soccorso» di Ala che in Senato ha 14 parlamentari, pronti a
sostituire i 16 senatori bersaniani pronti all’Aventino per impedire
l’approvazione di una legge che definiscono «un imbrogliellum». «I veri
riformatori siamo noi — giura Lucio Barani, presidente dei senatori di
Ala — sosterremo e voteremo la fiducia tecnica. Daremo tutto alla
maggioranza, anche il numero legale». In questo modo sulla carta la
maggioranza sul voto di fiducia arriverebbe a quota 163 (togliendo dalla
maggioranza i senatori a vita). Tuttavia il Pd tiene aperta una sponda
con FI. I capigruppo Luigi Zanda e Paolo Romani non svelano le carte, ma
starebbero studiando una strategia per scongiurare il sostegno di
Verdini evitando così le critiche dei fuoriusciti del Pd. Una mossa che
serve anche ad impedire imboscate da parte di chi potrebbe alzarsi e
chiedere la verifica del numero legale. Dagli uffici legislativi del
Senato fanno notare che di norma il numero legale oscilla attorno a
quota 145, ma in questo caso potrebbe salire a 160. Ecco perché i
vertici azzurri starebbero preparando una lista di 15 senatori, composta
dai «più berlusconiani». Parteciperebbero al voto di fiducia ma
esprimerebbero un voto contrario, strategia che blinderebbe la
maggioranza e il patto a quattro Pd-FI-Lega-Ap sul Rosatellum.
il manifesto 17.10.17
Rosatellum, legge bugiarda
di Gaetano Azzariti
Il
senato sta per approvare una legge bugiarda: un insieme di regole
elettorali che dicono qualcosa ma intendono altro. Lo dimostra il fatto
che si consente alle forze politiche di presentarsi alleate, scontando
però che queste possano rimanere separate. Si dice coalizione, s’intende
permanenza delle singolarità. Un’unione di convenienza, tutt’al più.
Vero è che anche in passato abbiamo assistito a «clamorose» rotture
delle alleanze pre-elettorali, ma in un sistema che si pretendeva
bipolare le coalizioni erano legate ad un programma di governo ed esse
venivano definite al fine di vincere le elezioni per governare assieme.
Ora non più. Il collegamento diventa puramente tattico, sapendo che il
giorno dopo le elezioni ognuno sarà libero di unirsi con chi vuole.
Tant’è vero che ogni partito potrà presentarsi dinanzi agli elettori con
un suo programma, diverso da quello delle altre liste collegate.
Inspiegabilmente, in questo contesto, ciascuna lista dovrà ancora
indicare il capo della forza politica. In precedenza ciò veniva
giustificata dal fatto che le forze politiche coalizzate «si candidano a
governare». Qual è adesso il valore di tale indicazione? Una mera
finzione priva di motivazione istituzionale. Insomma, un altro piccolo
inganno.
Dunque, si parla di coalizioni pensando, piuttosto, ad
una strumentale associazione elettorale tra partiti finalizzata
esclusivamente ad una migliore spartizione dei seggi. Tutto ciò avviene a
scapito della chiarezza del voto. Si pensi solo che, in tal modo, si
viene a privare definitivamente l’elettore della possibilità di
scegliere oltre al partito anche una maggioranza: chi voterà a destra,
magari Salvini, potrà finire per favorire l’alleanza postelettorale tra
Renzi e Berlusconi. Per i fautori della governabilità e del «governo
prima delle elezioni» una bella piroetta. Per l’elettore un altro
piccolo imbroglio.
Ma perché partiti non intenzionati a formare
una maggioranza post-elettorale dovrebbero presentarsi tra loro
collegati? La risposta è assai semplice: per provare a vincere insieme
il seggio del collegio uninominale, che viene assegnato, in base al
sistema maggioritario, a chi ottiene un voto più degli altri. E qui si
svela un altro raggiro. La logica che presiede la competizione tra
candidati in collegi uninominali maggioritari è chiara e collaudata,
assai diversa da quella dei collegi plurinominali proporzionali. Nel
primo caso la competizione è tra persone, nel secondo tra liste (tanto
più se queste sono «bloccate»), nel primo caso vince tutto chi ottiene
un voto in più degli altri competitori, nel secondo la distribuzione dei
diversi seggi è assegnata in proporzione ai voti riportati da tutte le
liste che si sono presentate e che abbiano superato una certa soglia di
consensi. È possibile adottare sistemi misti, prevedendo che una parte
dei parlamentari siano scelti con criteri uninominali, altra parte
seguendo le dinamiche plurinominali. In tali casi, però, il voto deve
essere disgiunto, al fine di preservare la volontà espressa
dall’elettore. Se, infatti, com’è nella ingannevole legge che si vuole
approvare, l’unico voto che l’elettore esprime vale tanto per la persona
(uninominale) quanto per la lista (plurinominale), si finisce per
perdere ogni distinzione, e il primo sistema di scelta viene assorbito
dal secondo. L’uninominale diventa un abbaglio, il candidato che si
presenta di fronte all’elettore nei diversi collegi per chiedere di
rappresentare l’intero territorio, in realtà non raffigura altro che il
capolista (plurimo) di tutte le liste a lui collegate, le quali, con un
travaso di voti indecente, saranno le reali beneficiarie di un voto da
loro non direttamente conquistato. Potremmo con maggior realismo dire:
un candidato per conto terzi, quello dell’uninominale.
Un voto – e
questo è l’ultimo inganno – che non mi sembra riesca a garantire – così
come richiesto dalla Consulta nel 2014 – «la facoltà dell’elettore di
incidere sull’elezione dei propri rappresentanti», bensì riproduce una
disciplina che «priva l’elettore di ogni margine di scelta dei propri
rappresentanti, scelta che è totalmente rimessa ai partiti». Infatti, le
liste bloccate brevi che dovrebbero assicurare la riconoscibilità dei
candidati in realtà sono affiancate da una serie di norme di contorno
che tendono ad alterare la scelta dell’elettore nel momento
dell’assegnazione del seggio. Così, le pluricandidature, che fanno
variare il risultato nei diversi collegi. Anomalo anche l’uso disinvolto
– scollegato da ogni criterio di rappresentanza diretta – dei voti dati
a liste che hanno conseguito un risultato tra l’1% e il 3%, le quali,
pur non ottenendo seggi, contribuiranno comunque al risultato di altre
liste. Non è neppure detto che i voti degli elettori vengano computati
per eleggere rappresentanti nel collegio dove essi sono espressi, ma
possono servire per leggere chissà chi, in chissà quale parte del
territorio nazionale. Altro che conoscibilità dei candidati da parte
dell’elettore. Ma, in ultima analisi, basta scorrere le norme dedicate
alle operazioni che si devono compiere per attribuire i seggi: tanto
complicate che è prevista la possibilità che l’ufficio elettorale si
possa fare assistere da uno o più esperti. Ci si affida agli esperti per
mettere ordine al caos di una normativa confusa. E già questo
basterebbe per prendere le distanze da una legge bugiarda.