Corriere 11.10.17
Richiesta danni da 400 milioni agli ex vertici di Banca Etruria
di Federico Fubini e Fiorenza Sarzanini
Gli
ex consiglieri e sindaci di Banca Etruria sono stati citati davanti al
tribunale civile di Roma per i danni causati dalla loro cattiva
gestione. Il risarcimento richiesto dal liquidatore, con il via libera
di Bankitalia, supera i 400 milioni. Si tratta di 37 persone che hanno
governato la banca dal 2010 fino al crac. Tra loro anche l’ex
vicepresidente Pierluigi Boschi, padre della sottosegretaria Maria
Elena. I manager, accusati di aver depauperato il patrimonio
dell’istituto, dovranno presentare le memorie difensive.
ROMA Gli
ex amministratori di Banca Etruria sono stati chiamati in giudizio per
risarcire i danni causati dalla loro cattiva gestione. Il liquidatore
Giuseppe Santoni li ha citati davanti al tribunale civile di Roma per
una cifra che supera i 400 milioni di euro. In tutto si tratta di 37
persone: i sindaci e i componenti dei tre consigli di amministrazione
che si sono avvicendati dal 2010. Tra loro Pier Luigi Boschi, il padre
del sottosegretario Maria Elena, che a partire dal 2014 era
vicepresidente insieme ad Alfredo Berni quando l’istituto di credito era
guidato da Lorenzo Rosi. Ma anche i loro predecessori quando al vertice
c’era Giuseppe Fornasari.
La società di revisione
Tra gli
obiettivi della causa civile c’è la possibilità di poter utilizzare il
denaro proveniente dagli eventuali indennizzi per gli obbligazionisti
subordinati. Vuol dire che l’azione di responsabilità mira a ottenere i
fondi necessari a ristorare i creditori che hanno subito perdite quando —
era il novembre 2015 — il governo decise di mettere in liquidazione le
quattro banche: oltre ad Etruria, CariChieti, CariFerrara e Banca
Marche. Ai giudici spetterà pure il compito di valutare l’attività della
società di revisione PriceWaterhouseCoopers.
L’iniziativa di
Santoni coinvolge Ubi Banca perché al momento dell’acquisto ha firmato
una clausola contrattuale che le imponeva di aderire all’eventuale
giudizio. Adesso — dopo la notifica dell’atto che potrebbe avvenire
nelle prossime ore — saranno i manager a dover presentare proprie
memorie difensive, tenendo conto che in caso di accoglimento del ricorso
la maggior parte rischia di dover pagare più di 10 milioni di euro e
dunque di subire il pignoramento dei beni.
La prima lettera
Risale
al marzo del 2016 la lettera spedita da Santoni ai 37 ex manager
ritenuti responsabili del grave dissesto. In quella lista erano stati
inseriti anche gli eredi dei consiglieri che nel frattempo sono
deceduti. Con la missiva il commissario liquidatore concedeva 30 giorni
di tempo per versare 300 milioni di euro di indennizzo «in solido». La
base di partenza era dunque una richiesta di 8,1 milioni di euro
ciascuno, da liquidare anche con beni immobili, autovetture, titoli
azionari.
Sembra evidente che un anno e mezzo è trascorso invano e
dunque si è deciso di procedere con l’istanza depositata in tribunale.
Dell’iniziativa è stato informato il Fondo di Risoluzione presso la
Banca d’Italia, proprio come era già accaduto per gli altri tre istituti
di credito oggetto del decreto del governo.
Le tre contestazioni
I
tre motivi che hanno convinto Santoni a procedere sono elencati nel
ricorso, ma erano stati già anticipati nella lettera. In particolare
secondo il liquidatore a provocare il «buco» nei bilanci di Etruria
erano stati i comportamenti dolosi degli amministratori, ma anche quelli
colposi. E sarebbe stato proprio questo secondo aspetto a far lievitare
ulteriormente la cifra indicata un anno e mezzo fa. In particolare i
componenti dei Cda e i sindaci avrebbero erogato mutui e finanziamenti
senza richiedere le necessarie garanzie e — in alcuni casi — «anche in
conflitto di interessi». Oltre a sottolineare le iniziative di «indebito
e illecito ostacolo alla vigilanza della Banca d’Italia», Santoni
contesta ai vertici dell’Istituto aretino di non aver dato seguito
all’input di palazzo Koch che raccomandava la fusione con un partner
affidabile che invece non ha avuto seguito. E questo nonostante fosse
arrivata un’offerta, ritenuta vantaggiosa, dalla Banca popolare di
Vicenza.
In questo quadro si inseriscono le consulenze inutili e
quegli incarichi affidati a manager interni che però non hanno fornito
risultati. Non a caso nella lettera inviata un anno e mezzo fa Santoni
parlava di «depauperamento del patrimonio sociale» attraverso «numerose
iniziative contrarie alla prudente gestione», ma anche i «rilevanti
premi aziendali non dovuti». La relazione di Santoni allegata alla
richiesta di messa in liquidazione di Etruria parlava di almeno 17
milioni elargiti per pagare senza motivo esperti esterni.