domenica 10 settembre 2017

La Stampa 10.9.17
Sicilia, l’eterno teatro dei pupi dove tutti (a parole) rincorrono la “rivoluzione”
Dal grillino a Sgarbi, fino al rettore già vittima sacrificale
di Mattia Feltri

Aveva ragione il principe Consalvo Uzeda di Francalanza quando diceva che «il passato par molte volte bello perché è passato». Ma nel suo pregattopardesco adeguamento al nuovo corso democratico dell’Italia unita, lui che era della famiglia dei Viceré raccontata da Federico De Roberto, c’era una grandiosità spagnoleggiante, un’implicazione di rango e di lusso che era di per sé una promessa di opulenza; e infatti il popolino beone (e un po’ sarcastico) cantava «evviva il principino / che paga a tutti il vino / evviva Francalanza / che a tutti empie la panza». Ora se la giocano con una creatività micragnosa, non si dice un’idea per la Sicilia, non c’è nemmeno un’idea buona per abbindolarla: tutti lì con la soluzione magica e prestampata: rivoluzione. Che poi era già la parolina passata come venticello nelle rivendicazioni del governatore uscente, Rosario Crocetta, che aveva promesso la rivoluzione, e avanzato la ricandidatura perché la rivoluzione non poteva interrompersi. E avanti così, nello svilimento caricaturale di un termine apocalittico, la rivoluzione la porteranno i cinque stelle, col capofila Giancarlo Cancelleri, e sarà una rivoluzione culturale; Silvio Berlusconi riemerge per un momento dai bagni di salute altoatesini e avanza alla Sicilia la «proposta di cambiamento radicale, rivoluzionaria», intanto che mettono a disposizione le loro cartucce quelli di Rivoluzione cristiana, nel centrodestra, e i Moderati in rivoluzione, spettacolare comparsa in un fiacco teatro di pupi.
I Moderati in rivoluzione, per chi non ricordasse (non ricordavamo neanche noi), è il partito dell’imprenditore Gianpiero Samorì, il quale a un certo punto si mise in testa di succedere a Berlusconi alla guida del Pdl. Ora sta con Vittorio Sgarbi, anche lui in gara per Palazzo d’Orléans, con un’iniziativa che ha più l’aria dell’installazione d’arte che del progetto politico. È in arrivo Morgan, cantautore e stella dei talent, e siccome Sgarbi vorrebbe affidare due assessorati a Bruno Contrada e a Mario Mori, viste le loro odissee giudiziarie, verrebbe voglia di vederli tutti quanti al lavoro. In fondo il risvolto ludico di ogni iniziativa di Sgarbi ha il pregio della sfacciataggine. Ma la povera Sicilia ne ha visti di teatranti, anche bravi e bravissimi, entrare in scena e però sempre accompagnati dalla grancassa della retorica. L’ultima volta Beppe Grillo attraversò lo Stretto a nuoto, a sceneggiare un nuovo stile di sbarco sull’isola, senza barca, ma per salvarla, ovvio. Poi Crocetta si prese il sommo Franco Battiato per guidare il Turismo, e fu un colpo, il Battiato così nauseato dalle piccinerie terrene («Povera patria / schiacciata dagli abusi del potere / di gente infame che non sa cos’è il pudore», cantava), infine disposto a scendere a quote più normali, e ben presto scomparso in altre complessità. E infine arrivò il Pif, il regista, a prendere per la collottola il medesimo Crocetta in difesa dei diritti dei disabili, e fu certo una delle sue interpretazioni più apprezzate.
Dunque, a parte questi episodi di situazionismo a rischio effetto reality, rimane molto rasoterra. Il cinque stelle Cancelleri annuncia guerra senza quartiere alla burocrazia, «potente perché la politica l’ha resa tale»; cita le ventisei autorizzazioni necessarie a installare un pannello fotovoltaico, cadendo nell’eterno equivoco, e cioè che su quelle ventisei autorizzazioni campa tutta una terra, dotata del più pletorico personale pubblico dalla storia dell’umanità. Ignora, Cancelleri, la sentenza di uno degli ultimi insigni di Sicilia, Pietrangelo Buttafuoco: «Quest’isola è il tumore non solo dell’Italia, ma dell’intero Mediterraneo». Ma al grillino basta riproporre, sotto altre spoglie, la metafora della scatoletta di tonno. E gli basta davvero a guadagnare le prime posizioni nei sondaggi, visto che la sinistra prosegue in un autolesionismo che ormai ha dell’umoristico; la sinistra sinistra, quella dalemiana, per intenderci, che si appoggia a Claudio Fava, e la sinistra più di centro, quella renziana col flebile sostegno di Angelino Alfano, che punta su Fabrizio Micari, rettore dell’Università di Palermo; precisamente: punta su di lui perché è il volto giusto, e laterale al partito, a cui attribuire la sconfitta. Che poi, la sconfitta in Sicilia, in questa Sicilia (ma anche a Roma), non è il peggiore dei mali. È uno scampato pericolo. E accettano di correrlo Cancelleri e Nello Musumeci, galantuomo catanese sulla cui onorabilità s’è realizzata l’unità di centrodestra, malgrado prima Berlusconi si fosse invaghito dell’avvocato Gaetano Armao, un altro rotto a tutte le esperienze da convergere, infine, sull’esperienza di collettore d’indignazioni. Con Armao fu una sveltina, secondo stile, e ora il centrodestra ha buone chance con Musumeci, e sarà un piacere vederlo, fra leghisti, meloniani e liberali, anche solo al prossimo barcone di Lampedusa. Dài, altro che Sicilia terra di esperimenti esportabili: «La nostra razza non è degenerata: è sempre la stessa». E se lo diceva il principe Consalvo...