Corriere 28.9.17
lo ius soli e il furore ideologico
di Pierluigi Battista
Ci
eravamo cullati nell’illusione che con la fine della Guerra fredda si
sarebbero definitivamente spenti i fuochi del fanatismo ideologico. Ma i
veleni che stanno intossicando il conflitto scatenato dai due fronti
contrapposti sullo ius soli dimostrano invece che i detriti di quella
mentalità ostruiscono ancora una sana, appassionata discussione tanto
importante. Più che una discussione, sembra un derby furioso che non
ammette una leale competizione, una guerra santa che non sa riconoscere
nell’altro se non la personificazione del nemico assoluto, la riduzione
dell’avversario a mostro morale. Non c’è legittimazione reciproca, che
invece dovrebbe obbligatoriamente esserci come base di una battaglia
politica anche aspra, ma onesta negli argomenti e nel rispetto dei
fatti. E addirittura non c’è considerazione per ciò che effettivamente
dispone la stessa legge proposta e ora purtroppo impaludata in
Parlamento sullo ius soli, che è una legge equilibrata, ragionevole,
prudente, che promuove diritti oramai imprescindibili rispettando tempi e
procedure.
Da una parte c’è la smania della bandierina da
piantare nel campo nemico, la voglia risarcitoria di fare di una legge
il simbolo dell’umiliazione di chi vi si oppone. Dall’altra l’allarmismo
spregiudicato di chi in questa norma scorge il cavallo di Troia di
chissà quale apocalittica invasione. La supremazia ideologica, a
sinistra come a destra, ha questo di peculiare: di voler esaltare i
simboli a scapito dei fatti, di demonizzare gli avversari ridotti a
caricature.
Tanto che del ministro Minniti, la cui azione di
governo sembra smentire questa deriva iper-ideologica e che naturalmente
in democrazia deve essere soggetta alle critiche anche più spietate, a
sinistra si è arrivati a dire che sia solo la copia malriuscita
nientemeno che di uno «sbirro». È la demolizione di una persona,
appunto. È il trionfo dell’irresponsabilità.
Il fenomeno
dell’immigrazione, invece, bisognerebbe cercare di governarlo,
combinando con intelligenza fermezza e umanità, legalità e accoglienza,
repressione e cittadinanza, sicurezza e solidarietà. Nell’isteria
ideologica, invece, si afferra solo un corno del dilemma e si dileggia,
si demolisce, si delegittima chiunque abbia deciso di non arruolarsi in
questa nuova guerra santa, e vuole insistere a leggere la complessità di
un problema, che poi sarà il problema dei prossimi decenni in tutta
Europa e già condiziona pesantemente stati d’animo, movimenti
d’opinione, gli stessi esiti elettorali.
Basta scorrere
l’aggressività bipartisan nelle arene dei social, o sfogliare la
collezione di questi ultimi anni dei giornali di destra e di sinistra
per cogliere i sintomi di questa aggressività ideologica che prende
abusivamente le forme di un tribunale morale delegato alla condanna
senza appello di chi sta sul fronte opposto.
A destra si accusa
chi sostiene lo ius soli di voler scaricare in Italia masse ingenti di
clandestini per distruggere l’identità nazionale, di essere addirittura
complici del terrorismo islamista, di perseguitare gli italiani, di
permettere lo stravolgimento del nostro patrimonio antropologico, di
spalancare le porte a chi diffonde malattie che sembravano dimenticate, a
chi sarebbe dedito senza distinzione alle attività criminali, allo
stupro generalizzato, alla devastazione delle città. Ma che c’entra con
la proposta della cittadinanza? Niente, solo ideologia da smerciare
all’ingrosso.
Nella stampa di sinistra, invece, si dà impunemente
del «razzista» a chi osa sollevare un problema, a chi ritiene che molte
paure dei cittadini, soprattutto tra le zone più deboli e disagiate
della società, abbiano un fondamento nello stress culturale prodotto da
una penosa guerra tra poveri. Si nega ogni credibilità morale a chi
pensa che non tutto sia così semplice cavandosela con l’appello
all’«accoglienza». Si manipola ogni obiezione come se fosse il frutto
malato di qualche aspirante adepto del Ku Klux Klan. Senza rispetto per
le opinioni diverse. Solo con la voglia di colpire duro, di alzare un
muro (proprio da parte di chi vorrebbe abbattere tutti i muri) per
rinchiudere in un recinto infetto chi è portatore di un pensiero
diverso. Con un fanatismo tra l’altro controproducente, incapace di
convincere, anzi con il vizio di compattare il campo avversario, come
avveniva appunto nelle guerre ideologiche. Un tuffo nel passato,
nell’incapacità di capire cosa ci porta il futuro.