giovedì 6 luglio 2017

Repubblica 6.7.17
L’intervista. Il giurista Vladimiro Zagrebelsky
Si alla legge, ora la tortura è reato
“Niente da festeggiare il risultato è un pasticcio”
“In norme del genere ogni parola deve avere un peso specifico e in questo caso non è così”
di Annalisa Cuzzocrea

ROMA. Vladimiro Zagrebelsky è stato giudice della Corte europea dei diritti dell’uomo e dice scorato che no, quello raggiunto ieri in Parlamento non è un traguardo da festeggiare.
Cosa pensa della legge sulla tortura che il Parlamento è finalmente riuscito a varare?
«Ho sentito espressioni di soddisfazione e quasi di orgoglio che ho trovato fuori luogo. Questa legge è stata approvata dopo trent’anni dall’impegno che l’Italia si era assunta ratificando la Convenzione dell’Onu contro la tortura. Nel frattempo, i giudici italiani e quelli internazionali hanno più volte identificato nel nostro Paese delitti di tortura che non sono stati puniti».
Il problema è il ritardo o anche il merito? «Il risultato è un pasticcio. La redazione della norma è tecnicamente criticabile, il che vuol dire che sarà difficile applicarla».
Perché?
«Quando si dice che si ha tortura in presenza di “più condotte”, c’è il primo problema. Ma quell’articolo continua parlando di “trattamento inumano e degradante per la persona”, un elemento alternativo alla pluralità di condotte di cui non si capisce il senso, il che quando si scrive una legge penale è profondamente sbagliato. Possono violenze gravi, crudeltà, acute sofferenze che costituiscono tortura non essere inumane e degradanti?».
Ci sono altri punti controversi?
«Purtroppo sì. Si parla di tortura “quando la vittima è persona privata della libertà personale affidata alla custodia di qualcuno”, ma nel caso del G8 - alla scuola Diaz - le persone torturate non erano private della libertà o affidate alla custodia della polizia. Con il paradosso che questa legge potrebbe risultare inapplicabile proprio per il caso per cui la Corte europea ci ha condannati. E poi c’è un comma che dice che il delitto non si applica quando le sofferenze risultano unicamente dall’esecuzione di “legittime misure privative di diritti”. Ma quali legittime misure possono comportare violenze, crudeltà, acute sofferenze? ».
Perché l’Italia è così in ritardo?
«È difficile dire quali siano le ragioni storiche, ma per questo Parlamento c’era una via molto semplice: riprodurre la definizione che era nella convenzione dell’Onu che si dice di voler attuare».
Si sono fatti troppi compromessi?
«I lavori preparatori che hanno portato a questo testo hanno visto un rimpallo tra Camera e Senato durato anni. A Palazzo Madama per ben due anni non si era trovato l’accordo. Ci sono state resistenze enormi e messaggi lanciati alle basi di riferimento dei vari partiti ».
Il centrodestra rivendica di aver protetto le forze dell’ordine.
«È un’argomentazione assurda dire che con il solo ipotizzare l’esistenza di atti di tortura si offendano le forze dell’ordine. Se questi casi ci sono - e in Italia ce ne sono stati - l’onore delle forze dell’ordine si dovrebbe difendere espellendo i responsabili».
Ilaria Cucchi ha detto che il nostro Paese ha paura di una vera legge sulla tortura.
«Non so se paura sia la parola giusta. So che in Parlamento c’è chi non voleva questa legge e ha lavorato per affossarla, fino a far venire fuori questo pasticcio».
Meglio una cattiva legge che nessuna?
«A livello europeo, come ha rilevato il commissario ai diritti umani del Consiglio d’Europa, questa legge è insufficiente. Bisogna vedere come potrà essere applicata. Le sentenze, nei casi concreti, potranno essere valutate dalla Corte europea dei diritti umani che dirà se l’Italia continui a violare il divieto di tortura ».