venerdì 14 luglio 2017

La Stampa 14.7.17
Sono bambini e operai a pagare il prezzo più alto della crisi
Quelli bisognosi sono quadruplicati rispetto agli anni precedenti al 2008 La ripresa sociale è più lenta di quella economica: è necessario intervenire
di Linda Laura Sabbadini

La povertà assoluta non cala e per di più quella dei minori, già alta, cresce in modo consistente. Siamo il Paese dove le nascite sono sempre meno e i bambini sono sempre più poveri.
Possibile? Sì, i dati ufficiali ci dicono che la situazione è grave. La povertà assoluta tra i minori era già triplicata dal 2007 al 2013 e ora, dopo due anni di stabilità, ricomincia ad aumentare: rispetto alla situazione pre-crisi, la percentuale di bambini poveri è quadruplicata.
I minori in povertà assoluta sono 1 milione 292 mila (12,5%), circa 200 mila in più dell’anno precedente. A peggiorare sono soprattutto le famiglie con tre o più figli minori, in particolare nel Mezzogiorno, tra le quali oltre un quarto è ormai in povertà assoluta.
Nel corso degli anni, anche la situazione dei giovani (18-34enni) è enormemente peggiorata: nel 2016, i poveri assoluti raggiungono il 10%, quando nel 2007 erano solo il 2,7%. Nello stesso periodo, solamente gli anziani hanno avuto una dinamica positiva, passando dal 4,4% al 3,8%. La mappa dei rischi si è ribaltata, e oggi bambini e giovani presentano l’incidenza di povertà assoluta più elevata, gli anziani la più bassa.
Ma che cosa sta succedendo? Eppure, negli ultimi anni, sul fronte della situazione economica si registrano segnali positivi. L’Italia, infatti, dopo aver scontato una crisi più lunga e profonda rispetto a gran parte dei Paesi Ue, la cui ripresa aveva cominciato a consolidarsi già a partire dal 2013, ha avviato un lento recupero solamente tra il 2014 e il 2015. La moderata crescita del reddito disponibile e del potere d’acquisto, a cui ha contribuito la frenata della dinamica inflazionistica, ha favorito nel triennio 2014-16 un recupero della spesa per consumi e un leggero aumento della propensione al risparmio. In altri termini, le famiglie hanno ripreso a spendere grazie alla maggiore disponibilità di reddito e a livelli di propensione al risparmio inferiori a quelli del periodo pre-crisi.
Anche le forme di indebitamento, che avevano caratterizzato il comportamento di consumo negli anni più difficili, si sono in parte alleggerite, con conseguente diminuzione della vulnerabilità finanziaria delle famiglie. La crisi sociale è tuttavia più lunga della crisi economica e più difficile da riassorbire. Se il 2014 segna l’anno di uscita dalla recessione economica, segna anche uno dei valori più elevati in termini di povertà assoluta. Miglioramenti economici ci sono stati, lo abbiamo visto, ma non hanno coinvolto coloro che vivono in situazioni di grave disagio economico e non si sono quindi tradotti in una riduzione delle disuguaglianze.
La crescita dell’occupazione di questi anni ha riguardato soprattutto gli ultracinquantenni, che permangono più a lungo nel mercato del lavoro, e non ha coinvolto sensibilmente le famiglie più giovani, né quelle di età intermedia, le famiglie cioè dove vivono anche i minori. La grave condizione dei minori si lega quindi a quella dei loro genitori che se disoccupati o appartenenti alla classe operaia hanno pagato il prezzo più alto della crisi. Sì, proprio loro. Le famiglie operaie in povertà assoluta sono passate dall’1,7% del 2007 al 12,6% del 2016, quindi una quota sei volte più alta della situazione pre-crisi. Al contempo, le famiglie con a capo un disoccupato sono passate dal 7% al 23,2%. Si tratta di famiglie che vivono soprattutto nel Sud che, nonostante nel 2016 non abbiano registrato un ulteriore peggioramento, presentano livelli di povertà assoluta quasi doppi rispetto a quelli del Nord, soprattutto nel caso di famiglie composte esclusivamente da italiani.
Alla luce di questi dati è fondamentale rivedere al rialzo l’entità degli stanziamenti per combattere la povertà nel nostro Paese. Bisogna accelerare la messa in atto delle misure previste ed estenderle, coscienti che le priorità sui target devono essere identificate sulla base dei dati di povertà e dei segmenti più a rischio. Bisogna investire di più sui minori e sui giovani, piuttosto che sugli anziani, bisogna alleggerire procedure, rendere tutto più fluido. C’è l’urgenza di attivare politiche di sostegno e inserimento nel mercato del lavoro.
Arriviamo troppo tardi a definire le politiche e ci mettiamo troppo tempo ad attuarle. La gravità della situazione sociale deve indurci a fare in fretta e a tarare adeguatamente le misure. I bambini sono il futuro del nostro Paese, non possono aspettare, dobbiamo strapparli subito dalla povertà, prima che sia troppo tardi.