martedì 4 luglio 2017

Corriere 4.7.17
Xi-Putin, prove di alleanza Messaggio agli Usa di Trump
di Guido Santevecchi

Russia e Cina provano a dimenticare i rancori e a unirsi in una nuova grande alleanza anti Usa. Ieri, nella cena che ha aperto la visita del leader cinese a Mosca, Putin e Xi Jinping hanno detto che i rapporti tra i due Paesi «non sono mai stati così buoni». Al Cremlino saranno firmati numerosi accordi. È Trump il «facilitatore» del riavvicinamento. Proprio Xi gli ha lanciato un duro monito: «Le relazioni bilaterali tra Cina e Usa hanno alcuni fattori negativi». Sfida nel Mar Cinese: nave Usa davanti alle isole reclamate da Pechino.

La luna di miele tra Donald Trump e Xi Jinping è finita, affondata tra le isole del Mar Cinese meridionale, la penisola coreana e Taiwan. Un cacciatorpediniere della US Navy è andato a mostrare la bandiera di fronte a Triton Island, un isolotto dell’arcipelago delle Paracel occupato dai cinesi nel 1974 dopo uno scontro a fuoco con il Vietnam, ma rivendicato anche da Taiwan. Secondo la legge del mare il caccia americano ha compiuto un «passaggio innocente», in base alle regole sulla libertà di navigazione, ma Pechino ha reagito con furia: «È stata una grave provocazione politica e militare contro la nostra sovranità».
Che sia stata una provocazione (o un bluff) è possibile, perché il «passaggio innocente» della USS Stethem davanti a Triton è stato pianificato con un tempismo sospetto: poche ore dopo era in calendario una telefonata del presidente americano a quello cinese. Ma sulla «sovranità» Pechino ha torto. Lo ha stabilito l’anno scorso la Corte dell’Onu per la legge del mare, giudicando illegali e antistoriche le sue pretese sul Mar Cinese meridionale. Nelle sue mappe, Pechino ha chiuso l’area dentro nove tratti di penna che segnano la rivendicazione di sovranità sul 90 per cento dei 3,5 milioni di chilometri quadrati di quell’oceano. Con tutto ciò che c’è sopra e sotto. Però basta dare uno sguardo alla mappa per rendersi conto dei motivi di vicinanza geografica per i quali altri Paesi, oltre alle Filippine il Vietnam, la Malaysia, Taiwan e il Brunei possono vantare diritti.
Occupate le Paracel (che in mandarino si chiamano Xisha), per controllare le Spratly (dette Nansha), Pechino ha ordinato al suo genio militare di far sorgere una serie di isole artificiali: riempiendo di cemento scogli semisommersi e atolli corallini, in poco più di due anni sono spuntati sette avamposti con la bandiera rossa che sono stati rapidamente dotati di moli per la flotta d’alto mare, piste per cacciabombardieri, radar, batterie antiaeree e silos per missili anti-nave e terra aria (lo dimostrano le foto dei satelliti). Inviando di tanto in tanto le unità della US Navy a pattugliare le zone contese Washington cerca di ricordare ai cinesi la sentenza che ha rigettato le loro pretese.
Ma questa ultima missione a Triton ha un significato più ampio e strategico. In campagna elettorale Trump aveva detto tutto il male possibile della Cina, accusandola di «stuprare l’America nei commerci» e minacciando sanzioni. Poi, a inizio aprile, nel tepore del suo resort di lusso a Mar-a-Lago, il capo della Casa Bianca aveva incontrato l’uomo di Pechino e si era fatto conquistare: «Tra noi è scoccata una relazione chimica, Xi mi ha spiegato che risolvere la questione nordcoreana non è semplice, ma ha promesso di fare il possibile», disse. Luna di miele dunque. Ora però Trump si è reso conto che a Pechino non sono pronti a spingere la stretta su Pyongyang fino al punto di rischiare il crollo del regime «cliente» di Kim Jong-un.
La telefonata di ieri, spiega la Casa Bianca, era diretta proprio a rinnovare la richiesta alla Cina di fare di più di fronte alla «crescente minaccia» della Nord Corea. E per rafforzare il messaggio, nei giorni scorsi sono partiti segnali duri: sanzioni americane a una banca cinese accusata di ripulire denaro nordcoreano; l’annuncio di nuove forniture militari Usa a Taiwan per 1,4 miliardi di dollari; la minaccia di punire l’export cinese nell’acciaio. E poi la missione dell’unità della US Navy intorno all’isola contesa.
Xi non vuole rompere, prende tempo e contromanovra rafforzando l’asse con la Russia di Putin. A Pechino riferiscono che il leader cinese durante la telefonata di ieri ha sottolineato come le relazioni sino-americane abbiano registrato progressi, anche se sono condizionate da «fattori negativi». Xi, riferendosi a Taiwan, ha premuto perché la Casa Bianca si comporti secondo la politica «Una Cina»: il riconoscimento di un unico governo legittimo, quello di Pechino. L’accettazione di questa politica «Una Cina» e la rottura (formale e un po’ ipocrita) delle relazioni diplomatiche con Taiwan permise nel 1972 il grande disgelo tra Richard Nixon e Mao Zedong. Dicono che Trump ieri abbia rinnovato la sua adesione a quel principio, ma intanto all’isola «ribelle» e democratica di Taiwan arriveranno armi americane per 1,4 miliardi di dollari. Il Mar Cinese continuerà a essere caldo.