La Repubblica 02.06.2017
"Non esistono buone guerre sono tutte cattive"
di John Steinbeck
NEW YORK, 3 DICEMBRE 1966
Cara Alicia,
Notizie molto eccitanti per me. Newsday vuole che mia moglie ed io andiamo a farci un giro nell'Asia Orientale, fin dove riusciamo ad arrivare, per vedere tutto quello che è possibile vedere. Ti sembra ridicolo a 64 anni? Si dice che non ci sia vecchio peggiore di un vecchio scemo, ma quando vedo quei ragazzi dai capelli lunghi che contestano contro una vita che devono ancora vivere, mi pare che noi vecchi non siamo gli unici scemi. Non che per questo siamo meno scemi, ma siamo in buona compagnia. (…). Ti racconterò tutto, se ti interessa. Io ormai non sto più nella pelle. Sono impaziente. Non si sa mai che mi sfugga qualcosa.
B
Cara Alicia,
ci siamo fermati qui per ricevere ragguagli dal Comando del Pacifico, e non sono ragguagli da poco. Per due giorni sono stato esposto a un maremoto di informazioni fornite dall'Esercito, dalla Marina, dai Marines e dall'Aeronautica militare. Lasciami dire che se i giornali hanno riportato le dimensioni e la complicatezza delle nostre operazioni nell'Est Asiatico, io devo aver letto senza molta attenzione perché non avevo idea dell'enormità di ciò che c'è da fare. Mi domando quanti in America sanno quello che si fa qui (…). La prima sorpresa è stata la relativa assenza di segretezza. Come ricorderai, durante la seconda guerra mondiale, praticamente tutto era classificato come segreto, anche quello che avevi mangiato a colazione. Sembra che questo non valga più. Per ogni domanda che ho fatto, mi hanno risposto con franchezza, quasi con ansia di raccontare: come si spiega questo cambiamento? Se non sapevano come rispondermi, me lo dicevano chiaramente. Nella mia passata esperienza con i militari, non ho mai sentito nessuno ammettere la propria ignoranza. In un certo senso la cosa è piacevole, ma fa anche un po' di paura.
SAIGON, 31 DICEMBRE 1966
Cara Alicia
(…) Non saresti orgogliosa di me. Sono qui da due giorni, quasi tre, e non ho una sahariana di sartoria, camicia azzurra e cerone per comparire in televisione, e non sono un'autorità in merito a questa guerra. Sono successe tantissime cose e ci vorrà tempo per capirle: sono in un certo senso cose incredibili. Ieri per esempio abbiamo preso un elicottero per raggiungere il 23° Gruppo di Artiglieria che pattuglia uno degli avvicinamenti alla città. Hanno obici da 105 mm che portano qua e là in aereo, come dei Babbi Natali che portano doni. Mi hanno fatto l'onore di sparare i primi colpi dalla canna n.4. È stato un momento di grande orgoglio, e mi hanno dato il bossolo da portare a casa. La logistica sarà problematica, ma la gestirò. (…) Nel pomeriggio vado al poligono per provare armi di piccole dimensioni, lanciagranate e mortai. Sono quasi tutte armi che non ho mai visto e tanto meno usato. Ma non voglio essere una zavorra: non mi sono mai piaciuti gli osservatori innocenti. Preferisco essere un osservatore colpevole, se necessario. Per quanto io ami la pace, c'è una bella differenza tra una colomba e un piccione.
SAIGON, 14 GENNAIO 1967
Cara Alicia,
questa guerra lascia davvero confusi, e non solo i vecchi osservatori ma anche quelli che in patria leggono e cercano di capire. È difficile soprattutto a causa dei preconcetti che si sono accumulati in migliaia di anni. Questa guerra non assomiglia a nessun altro conflitto in cui siamo stati coinvolti. Cercherò di raccontare alcune delle differenze che ho osservato io. Era facile raccontare le guerre di movimento, di posizioni conquistate, difese o perdute, di linee definite e ben chiare, di truppe che si affrontano e combattono fino a che una parte o l'altra è sconfitta. È possibile immaginare una grande battaglia, e la si può raccontare come si racconta un combattimento tra tori. Puoi rivedere, magari su una mappa, tutte le guerre che ci sono state finora: da una parte della linea noi e i nostri amici, dall'altra i nemici. Il Vietnam non è affatto così e mi domando se sarà mai possibile descriverlo. Forse è proprio l'impossibilità di descrivere le sue caratteristiche la causa dello scontento e della frustrazione dei giornalisti venuti quaggiù. (…) È una guerra di sensazioni, senza un fronte e senza retroguardie. È dappertutto come un gas sottile e pervasivo.
(SENZA INDICAZIONE DI LUOGO) 3
FEBBRAIO 1967
Cara Alicia,
(…) viene sempre il momento di fare i conti, e in guerra i conti sono sempre tristi. Nell'esplosione secondaria erano morte 20 o 30 persone: però erano morte mentre fabbricavano armi per uccidere noi. Ma gli esseri umani che assemblavano le granate all'interno di quella che ora è solo una voragine nera e fumante cosa avevano a che fare con l'uso di quei piccoli strumenti di morte? Chi è colpevole e chi è innocente? Ho visto cosa fanno quelle granate nei mercati dei villaggi, nei piccoli ristoranti, persino sulle barche cariche di gente. Per me tutte le guerre sono cattive. Non esistono buone guerre e non credo che esista un soldato pronto a darmi torto. Però non riesco a capire quelli che credono di essere innocenti solo perché distolgono lo sguardo e girano le spalle: quelli che distolgono lo sguardo hanno forse scoperto che c'è una guerra buona e una cattiva? Masterson, il soldato semplice di marina che guada le paludi pullulanti di sanguisughe, la famiglia di contadini delle risaie che si rintana terrorizzata nella sua capanna minata all'estremità di un sentiero pieno di trappole esplosive, io che ho visto questa guerra da vicino: tutti saremmo d'accordo nel dire che è tutto cattivo. Ma tutto il male va eliminato in una volta sola, altrimenti continuerà a esistere come è sempre esistito.