Repubblica 31.5.17
L’intervista.
Mario Monti: “Da più di tre anni prevale la logica del consenso, in campagna elettorale il Paese non ripartirà”
“L’Italia non può rischiare solo perché Renzi vuol fare ancora il premier”
Carmelo Lopapa
ROMA.
«Io non vedo una sola ragione valida per ricorrere alle elezioni
anticipate, in una situazione come quella italiana. Che qualcuno voglia
tornare a fare il presidente del Consiglio può essere una legittima
ambizione personale, non certo una ragione valida per anticipare il voto
quando vi è un governo che lavora con dignità ed è meno incline
all’azzardo del governo precedente. L’opinione pubblica italiana,
secondo me, accetta troppo facilmente che i politici spesso non agiscano
nell’interesse Paese ma mirino al loro potere personale». Il senatore a
vita Mario Monti, eccezionalmente in camicia e senza cravatta, parla
lentamente, poi si ferma e getta uno sguardo fuori dalla finestra del
suo studio, al secondo piano di Palazzo Giustiniani, sotto c’è Piazza
Pantheon. In 90 minuti di chiacchierata non citerà mai Matteo Renzi, ma
l’evocazione è implicita. Sospira: «L’Italia è in una fase delicata,
dopo aver superato l’emergenza finanziaria. E sì che tre anni fa era
stato detto al mondo che “l’Italia riparte e ora non ce n’è per nessuno”
».
Presidente Monti, nel 2011 lei viene chiamato dal Colle a
guidare il governo dopo le dimissioni di Berlusconi, in una situazione
di forte instabilità, proprio per evitare le urne. Cosa pensa dello
scioglimento anticipato delle Camere, quasi certo a questo punto?
«La
situazione di allora era incomparabilmente più grave rispetto a quella
ttuale, la speculazione molto più aggressiva, occorreva un governo in
grado di far approvare dal Parlamento in due-tre settimane provvedimenti
radicali. Mancava un anno e mezzo alla fine della legislatura. Nessuno
chiese seriamente elezioni in quel momento. Se l’Italia fosse caduta,
l’euro difficilmente sarebbe sopravvissuto. Oggi per fortuna la
situazione è diversa, ma l’imperativo della crescita è diventato
urgentissimo. Mai come questa volta occorre che noi italiani resistiamo
al suono magico di qualsivoglia pifferaio di Hamelin».
Da
economista, pensa sia conciliabile l’autunno elettorale con la stagione
della legge di stabilità 2018 che si preannuncia ancor più delicata e
impegnativa? Basterà un decreto a stoppare l’aumento dell’Iva?
«Saremo
gli osservati speciali della Commissione europea, dei mercati, per
tutta la durata della campagna. Al di là del metodo, mi risulta
difficile pensare che si provvederà nei prossimi mesi alla messa in
sicurezza dei conti dello Stato, al decollo della crescita, al
contenimento della disoccupazione, al risanamento delle banche, cioè a
tutto quel che non è stato fatto pienamente e tempestivamente negli
ultimi tre anni, pur caratterizzati da una invidiabile stabilità
politica e da una leadership indiscussa. Purtroppo, nell’uso delle
risorse pubblche si è privilegiata una logica politica finalizzata ad
accrescere il consenso, risultato per altro conseguito solo in parte».
Siamo ancora un Paese in emergenza?
«Se
guardiamo all’Italia in retrospettiva, negli ultimi 5-6 anni, diciamo
che l’uscita dall’emergenza c’è stata, siamo meno precari di quanto una
certa opinione pubblica internazionale voglia dipingerci. Ma è mancata
la ripresa della crescita. Da noi, non negli altri paese europei».
Le piace il sistema elettorale tedesco sul quale c’è accordo?
«Sarebbe meglio chiamarlo italiano alla tedesca. Evoca già il ricorso alle grandi coalizioni».
Sarà quello l’approdo sicuro per questo Paese? In fondo è stata la soluzione Monti.
«Può
essere la salvezza o la dannazione. Con una grande coalizione, magari
limitata nel tempo, potrebbe essere più facile promuovere riforme
radicali, distribuendone i sacrifici. Il timore è che qualcuno pensi di
trasformarla nello strumento utile a distribuire risorse che il Paese
non ha».
L’Italia dall’autunno rischia di restare in coda alla locomotiva franco-tedesca di Macron e Merkel?
«Penso
che un’Europa che ricominci a respirare con due polmoni, tedesco e
francese, sarà solo un bene per l’Italia e per tutti i Paesi del Sud del
continente. Germania e Francia vogliono un ruolo maggiore per l’Italia.
Sta a noi dimostrarci capaci di riempirlo».