Repubblica 31.5.17
José Luis Galicia era uno dei confidenti dell’artista: “Era sensibile e curioso, i libri non dicono tutto”
L’ultimo amico di Picasso rivela “Così riportammo Guernica in Spagna”
Borja Hermoso
MADRID.
Sarebbe uno dei tanti appartamenti borghesi del nord-est di Madrid, se
non fosse per i Picasso. Qui un disegno originale – un ritratto a colori
con la dedica “a José Luis Galicia, il suo amico Picasso, 26-5-59” -,
più in là, una serie di tratti a matita che compongono magistralmente il
volto di Antonio Machado; lungo la scala e al piano superiore, nello
studio, un piccolo grande museo dedicato al genio di Malaga: incisioni,
serigrafie, acqueforti e altri disegni originali, circondati da
innumerevoli libri d’arte. Siamo in casa di José Luis Galicia, pittore,
incisore e poeta, conversatore senza freni e senza filtri, nipote e
figlio di artisti, nipote del poeta León Felipe, cugino del torero
Carlos Arruza. E l’amico spagnolo di Picasso.
Galicia, 86 anni,
autore degli affreschi nella cattedrale dell’Almudena di Madrid e
protagonista di più di 60 mostre personali, conobbe Pablo Picasso nel
1952. «Dicevano di lui che aveva un bruttissimo carattere, ma non so se è
perché io gli ricordavo la Spagna o perché mi rispettava come pittore o
per altri motivi, posso dire che con me era perfetto, una persona
sensibile. Nessuno dei libri che ho letto su di lui lo descrive così
come fu con me. Sono arrivato a pensare una cosa: che quando riceveva
delle persone a casa sua, si sentisse in dovere di trasformarsi in...
Picasso, nel personaggio. Come un attore», spiega Galicia.
Fu per
colpa dei versi di Paul Éluard. L’autore di “Capitale de la douleur” era
morto da poco e José Luis Galicia, uno studente spagnolo di 22 anni in
cerca di fortuna artistica a Parigi, si recò all’incontro in onore di
Éluard che un gruppo di intellettuali aveva organizzato presso la Maison
de la Pensée Française.
«Lì, in un grande salone, c’erano tutti,
Aragon, i surrealisti, quelli del partito comunista, eccetera, e in
un’altra stanza c’era una mostra con tutti i quadri che Picasso aveva
regalato a Paul Éluard - ricorda il pittore e poeta madrileno - E
siccome non c’era nessuno, perché erano tutti alla cerimonia, decisi di
approfittarne per vederla. Improvvisamente, Picasso entra in quella
saletta. Mi avvicinai e gli dissi: ‘Lei è Pablo Picasso’. E lui mi
disse: ‘Sì, e tu chi sei?!’. ‘Un pittore spagnolo che è appena arrivato a
Parigi’. E lui mi risponde: ‘Bene, vediamola insieme’. Io, allora, ero
abbastanza sfacciato, e di uno dei quadri feci una piccola critica. Poi,
un’altra. E un’altra. Alla terza, si mise a commentare il quadro con
me. E quando finimmo, mi disse che gli sarebbe piaciuto vedere che cosa
dipingevo. ‘Sai dove ho lo studio?’, chiese Picasso. ‘Certo, in rue des
Grands Augustins’ gli dissi. ‘Bene, vieni a trovarmi domani e portami
qualcosa di tuo’».
Galicia sarebbe andato a trovare Picasso in
diverse occasioni nel sud della Francia, in particolare a La Californie,
la villa che l’autore di Les Demoiselles d’Avignon aveva a Cannes e
dove viveva con la sua compagna, Jacqueline Roque. Diventò un po’
l’ombra complice e anonima di una persona troppo abituata alle lodi
incessanti e all’adulazione interessata. «Era molto gentile con me, e mi
faceva un sacco di domande. Ma c’era sempre una pausa perché lui
potesse fare la siesta, su questo non transigeva. ‘Vieni più tardi e
continuiamo a parlare!’, diceva. E a volte andavamo avanti fino a
mezzanotte», ricorda.
Ma c’è un prima e un dopo nella biografia
dell’amico spagnolo di Picasso. José Luis Galicia ebbe un ruolo
importante - forse fondamentale - nel ritorno in Spagna di Guernica, uno
dei capolavori di Picasso, quadro-simbolo del massacro di cui fu
vittima la città basca di Gernika il 26 aprile 1937. Secondo la sua
testimonianza, fu lui a convincere il pittore a scrivere «quando si
ristabiliscano le libertà civili» invece di «la Repubblica» nella
clausola imposta da Picasso come condizione per riportare il quadro in
Spagna.
Galicia ne è l’unico testimone. Racconta: «Quando si
parlava del Guernica, gli dicevo sempre che il quadro doveva tornare in
Spagna. Ma lui mi diceva che apparteneva alla Repubblica spagnola, che
glielo aveva commissionato per il padiglione spagnolo all’Esposizione
Internazionale di Parigi. Allora erano tutti convinti che dopo la morte
di Franco ci sarebbe stata una transizione di 5 o 6 mesi e poi sarebbe
subentrata la Repubblica. Lo pensava anche Picasso. E così, credeva che
il ritorno del quadro sarebbe stata una cosa semplice. Finché un giorno
gli dissi: ‘Pablo, quando Michelangelo dipinse la Cappella Sistina ebbe
anche lui dei problemi tremendi con i papi e con altri artisti... e di
tutto questo... oggi... chi se ne ricorda? La gente oggi vede la
Cappella Sistina e basta!. Gli dissi che doveva scordarsi un po’ della
politica, che il Guernica era per sempre». A quanto pare, Galicia
convinse Picasso. «Non l’ho riportato in Spagna io il Guernica, sono
stati Javier Tussell e il governo spagnolo... ma io lo convinsi a
cambiare quella clausola. E se non lo avesse fatto, forse il quadro
sarebbe ancora dov’era, al Museum of Modern Art di New York».