domenica 7 maggio 2017

Pagina 99 6.5.2017
Cina/Mazzette ed epurazione
di Cecilia Attanasio Ghezzi


Un milione e duecentomila funzionari puniti in poco meno di cinque anni. Le sanzioni vanno da semplici multe a sospensioni e retrocessioni di carriera. Nei casi più gravi possono arrivare alla confisca dei beni personali, il carcere o la pena di morte. «Colpiremo sia le mosche che le tigri», aveva dichiarato il presidente Xi Jinping appena insignito della carica più alta dello Stato cinese, che poi coincide con il vertice del Partito e quello dell’Esercito. E da allora non passa giorno che l’homepage del sito della Commissione disciplinare non venga aggiornata con nuovi nomi di funzionari di basso («le mosche») e alto («le tigri») grado incriminati per corruzione. Il sistema monopartitico, l’economia pianificata e le aziende di stato sono ovunque un terreno fertile per mazzette e scambio di favori, soprattutto in assenza della separazione dei poteri e di media liberi. Secondo diversi analisti, però, siamo di fronte alla più grande campagna contro la corruzione su scala nazionale avviata nella storia recente. La Commissione disciplinare, inoltre, è uno strumento interno al Partito e la sua attività è avvolta da totale segretezza. Agisce sui suoi membri attraverso lo shuanggui, ossia una sorta di misura di detenzione extra legale senza limiti temporali né procedura stabilita. Più che l’innocenza, si presuppone la colpevolezza dell’imputato. I funzionari che vi incappano in teoria devono semplicemente mettersi a disposizione dell’indagine interna. Ma in pratica potrebbero essere costretti a confessare qualunque crimine, con conseguente espulsione dal Partito, consegna al pubblico ministero e condanna (in Cina la percentuale di assoluzioni è irrisoria). Tra le «tigri» condannate fin’ora spiccano i nomi di Zhou Yongkang – numero nove del precedente governo che all’epoca era a capo della Commissione militare – e Ling Jihua, braccio destro dell’ex presidente Hu Jintao. Entrambi stanno scontando l’ergastolo. Così il presidente ha rotto il primo tacito accordo che ha regolato le dinamiche del Partito dopo il periodo di purghe che ha contraddistinto il periodo della Rivoluzione culturale. Da allora nessun membro (o ex membro) del Comitato permanente – il vertice di quella complessa struttura in cui Stato e Partito coincidono – era mai stato messo sotto indagine. Non è più così. Ma a molti oggi sembra evidente che il presidente Xi Jinping abbia intenzione di usare la tanto sbandierata e necessaria lotta alla corruzione per liberarsi dei suoi rivali politici. Lo vedremo il prossimo autunno, quando il19esimo Congresso del Partito comunista formalizzerà i nomi per il nuovo Comitato permanente.