Il Sole 25.5.17
Moody’s declassa la Cina
Primo taglio del rating del debito sovrano da quasi trent’anni
di Rita Fatiguso
PECHINO
 È dai tempi di Piazza Tian Anmen che Moody’s non tagliava il rating 
sulla Cina, ma ieri l’agenzia internazionale ha impugnato senza pietà la
 matita rossa declassando l’economia cinese da Aa3 ad A1, mentre 
l’outlook passa da negativo a stabile.
La stizza di Pechino non si
 è fatta attendere. Il ministero delle Finanze, che sta gestendo come 
può l’eredità scomoda dell’ex ministro riformista Lou Jiwei passato a 
dirigere il fondo pensioni cinese, ha definito la mossa di Moody’s 
«basata su un approccio pro-ciclico dei giudizi non appropriato, che 
sovrastimano le difficoltà dell’economia cinese e sottostimano le 
capacità della Cina di rafforzare le riforme strutturali sul lato 
dell’offerta e di espandere la domanda nel suo complesso».
Una 
sorta di palese excusatio non petita, anche se il giudizio di Moody’s è 
legato a elementi oggettivi e ben noti, come il rallentamento della 
crescita economica e l’aumento del debito pubblico. Quello del solo 
governo centrale nel 2018 dovrebbe toccare il 40% del Pil.
Anche 
la National development and reform commission, braccio armato del 
Partito comunista per le riforme è scesa in campo ieri, sostenendo che 
«i rischi del debito sono di norma controllabili dal momento che le 
misure per tenere sotto controllo il debito corporate hanno raggiunto i 
primi risultati e che i rischi sistemici del debito sono relativamente 
bassi».
La mossa di Mooody’s complica le cose per la leadership 
cinese a metà del guado tra la necessità di sostenere la crescita con 
l’intervento pubblico e il tentativo di evitare un rialzo del debito, è 
ancora ben evidente la mole di problemi a cascata che hanno 
contraddistinto le misure di stimolo che nel 2008 rappresentarono la 
risposta alla crisi finanziaria globale. Tuttavia Moody’s si aspetta che
 l’ampio indebitamento nell’economia cresca ulteriormente nei prossimi 
anni. Il pianificato programma di riforme è probabile che rallenti ma 
che non scongiuri la risalita del debito. Le politiche di stimolo per 
mantenere il livello di crescita devono essere sostenibili. Stimoli che 
comunque innalzeranno il debito nell’economia nel suo insieme.
La 
crescita, nelle previsioni, resterà relativamente alta, con quella 
potenziale in caduta nei prossimi anni. Per Moody’s il deficit del 
budget del governo s’è mantenuto nel 2016 al passo moderato del 3% del 
Pil, contro aspettative del debito governativo destinato a portarsi 
verso il 40% del Pil entro il 2018 e al 45% per la fine del decennio. 
Stesso trend, al rialzo, è atteso per forme di indebitamento come 
prestiti bancari e bond emessi dai governi locali e le imprese a 
controllo statale, senza tralasciare le famiglie e società non 
finanziarie.
Insomma, la pagella è negativa su tutti i fronti e 
bisognerà vedere se anche Standard & Poor’s (che l’anno scorso 
non era stata affatto tenera con Pechino) e Fitch seguiranno l’esempio 
di Moody’s. Ricordiamo anche una curiosità: il primo accordo economico 
dei 100 giorni tra Trump e Xi ha prodotto una serie di impegni ad aprire
 il mercato cinese, tra questi c’è anche il via libera in Cina 
all’operatività delle agenzie di rating straniere.
 
