Il Sole Domenica 11.12.16
Se la cultura sa vedere più lontano della politica
di Armando Massarenti
È
impressionante vedere - nel testo pubblicato qui a fianco, in uscita
nella collana Quaderni della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli - come
esattamente un secolo fa il filosofo pragmatista e grande educatore John
Dewey avesse le idee chiare su temi oggi di stretta attualità. Le
grandi ondate migratorie dell’Europa di oggi pongono problemi, sociali e
culturali, che Dewey affronta guardando allo sviluppo del sistema
educativo come al fulcro di un processo di lungo periodo e individuando
negli insegnanti, e non nei politici, dunque nella cultura, i soggetti
più consapevoli dei processi in corso. Una cultura consapevole dei
propri valori di fondo, come abbiamo ribadito più volte negli ultimi
cinque anni dopo la pubblicazione del nostro Manifesto per la cultura, è
il motore di ogni possibile sviluppo. Soprattutto se, come nel caso di
Dewey, essa si nutre di uno spirito autenticamente democratico.
La
democrazia alla Dewey ha peraltro molto a che vedere con il progetto
culturale la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli inaugurerà il 13
dicembre con l'apertura della monumentale sede di via Pasubio,
progettata da Jacques Herzog e Pierre de Meuron. «Una nuova sede iconica
per una grande casa delle culture sociali», la definisce il presidente
Carlo Feltrinelli; e il segretario generale Massimiliano Tarantino uno
«Spazio di cittadinanza. Una piazza, contemporanea, meticcia,
accessibile, utile» oltre che un luogo ospitale per i ricercatori che,
in postazioni progettate per loro, vorranno mettere a frutto la
straordinaria documentazione contenuta negli archivi.
Milano Porta
Volta. Luogo dell’Utopia possibile è il titolo del volume che presenta
il progetto. E chi se non proprio Dewey può guidarci con lucidità verso
una Utopia concreta, a portata di chiunque, per realizzare una società
di cittadini liberi ed eguali, secondo il sogno di Amartya Sen
(ricordato da Salvatore Veca) di una libertà vera per tutti? Magari
imparando anche dagli errori della storia e dalle Utopie sbagliate o mal
realizzate, come la Rivoluzione russa, cui la fondazione dedicherà nel
2017 numerose iniziative per ricordarne il centenario. O meglio ancora
dall’Illuminismo, pezzo forte degli archivi e degli studi promossi da
sempre dalla fondazione. Ebbene, l’Utopia possibile di Dewey si
identifica proprio nello stretto legame che egli istituisce tra
democrazia e spazio pubblico. Come ha ricordato il francofortese Axel
Honneth, in Dewey la sfera politica, o pubblica, «non è, come nella
Arendt o, sebbene in forme attenuate, in Habermas, il luogo
dell’esercizio comunicativo della libertà, bensì il medium cognitivo,
mediante il quale la società tenta di determinare, elaborare e risolvere
i problemi insorgenti nella coordinazione dell’agire sociale». Dewey ha
come modello una comunità di ricercatori scientifici sinceramente
impegnati a risolvere un problema. Egli osserva che, nella scienza,
l’intelligenza e la qualità delle soluzioni dei problemi emergenti sono
direttamente collegati alla democraticità della ricerca, cioè alla
possibilità da parte di tutte le persone coinvolte di scambiarsi
informazioni e avanzare critiche e considerazioni in modo libero e
aperto. Gli fa eco l’architetto Herzog: «Resto convinto che investire
nella cultura e nell’istruzione sia fondamentale per creare e mantenere
in vita una società aperta».